7 maggio 2025
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Biografia di Vittorio Sgarbi
Vittorio Sgarbi, (Vittorio Umberto Antonio Maria Sgarbi), nato a Ferrara l’8 maggio 1952 (73 anni). Critico e storico dell’arte. Scrittore. Politico (Fratelli d’Italia, dal 2024; in precedenza, principalmente Forza Italia). Già sottosegretario al ministero dei Beni e delle Attività culturali (2001-2002) e al ministero della Cultura (2022-2024). Già deputato (1992-2006, 2018-2022) ed europarlamentare (1999-2001). Già assessore ai Beni culturali della Regione Siciliana (2017-2018) e assessore alla Cultura del Comune di Milano (2006-2008). Sindaco di Arpino (dal 2 giugno 2023). Già sindaco di Sutri (2018-2023), di Salemi (2008-2012) e di San Severino Marche (1992-1993). «Sono un mito vivente» • Primo dei due figli dei farmacisti Giuseppe «Nino» Sgarbi (1921-2018) e Caterina «Rina» Cavallini (1926-2015). «È cresciuto in una famiglia colta. “Papà giocava a tennis con Bassani”. […] Che genitore è stato? “Aveva in casa l’intera collezione della Biblioteca Bur, leggeva Anatole France, m’introdusse a Céline; era un borghese abitudinario, il farmacista di Ro Ferrarese, un uomo che privilegiava l’ombra, con un suo senso intimo della tradizione”» (Concetto Vecchio). «Mia madre era severa. Sentivo che i miei erano un ingombro, e litigavo con loro; poi però li ho rieducati e sono diventati miei coetanei, hanno assunto il mio pensiero, e mia madre è diventata modernissima. […] Mio zio, il mitico zio Bruno, aveva una personalità più simile alla mia: per me è stato un secondo padre» (a Eleonora Barbieri). «Il primo ricordo pubblico? “L’eclissi del febbraio 1961. Avevo otto anni. Dissi: ‘La Terra crea molti dubbi alla mente’”. Anche poeta… “Un giorno l’insegnante portò in classe una rosa del deserto e ci assegnò un tema. Io scrissi versi ermetici: ‘Ho visto la sabbia del deserto./ Era rossa/ come gli attimi/ del suo eterno silenzio/ percorsi dal vento del tempo’”. Le avrà dato 10. “Mi diede ‘visto’. Si era sentito preso in giro”. Come ricorda sua sorella Elisabetta? “Molto bellina; ma ogni volta che provavo ad avvicinarmi mi graffiava. Per spaventarla la portavo in bicicletta al cimitero, ad ascoltare gli spiriti dei morti. Da grande pensavo di fare il generale, l’imperatore o il capo indiano. Mi feci una corona di penne, e una la regalai a Elisabetta”. Come erano i compagni delle elementari? “Era una scuola di campagna, non avevano mai visto un bambino con gli occhiali. Mi chiamavano ‘Uccialina’, con una venatura femminea. Ricordo il primo insulto che mi gridarono in faccia: ‘Carogna!’”. E i suoi genitori? “Mia madre disse solo: dagli più pugni di quelli che prendi. Li considerava ignoranti. […] Purtroppo mi impedirono di imparare il dialetto e mi mandarono a Ferrara dai preti”. Quali preti? “I Fratelli delle scuole cristiane. Mi alzavo alle 6 per prendere la corriera che faceva il giro delle frazioni, e tenevo il posto a Sandra Romanini, che saliva alla frazione Ruina”. Primo amore? “Sì. Avevo nove anni”. Precocissimo. “No, invece. Al liceo mi mandarono in collegio dai salesiani a Este. Clima oppressivo e neanche una ragazza. Ci si masturbava l’un l’altro nei bagni”. Anche lei? “Un sacerdote mi sfiorò una guancia: un’avance, non una molestia; ma l’omosessualità è una tentazione che non ho mai avuto. Al mare mi fidanzai con Ornella, le scrivevo poemi filosofici. Era tutto un gran scrivere”. È stato uno studente brillante? “Mi rimandarono in quattro materie. C’era l’elenco dei libri proibiti: quasi tutti. Così nascondevo Pavese, Sartre, Svevo nel breviario o nella sintassi latina. Mi beccarono a leggere Senilità. Convocarono i miei genitori”. E loro? “Si schierarono con il potere. Il prete disse: ‘Leggi piuttosto I dolori del giovane Werther!’. Gli mostrai che pure quello era tra i libri proibiti. Passai al liceo Ariosto, e scoprii che nel frattempo era cominciato il ’68”. Anche lei è stato comunista? “No. Anarchico insurrezionalista. Contestavamo il Pci da sinistra. Mi colpì il suicidio di Jan Palach: nel suo nome arringai una folla di 800 studenti”» (Aldo Cazzullo). «“Alla mia formazione letteraria ha contribuito in modo determinante mio zio Bruno Cavallini. Mi regalò I fiori del male. In chiesa invece di leggere il catechismo leggevo Baudelaire. Era la mia risposta ai preti, visti da me come simbolo del potere”. Quando scopristi la tua passione per l’arte? “Quando incontrai a Bologna Francesco Arcangeli”. Fu il primo allievo di Longhi. “Il più anziano. E prediletto. Vedevo in questo professore così poco accademico il senso dell’avventura, della provocazione, della rivolta. Arcangeli è quello che mi ha indotto a muovermi dalla letteratura verso l’arte”» (Antonio Gnoli). «Che ambizioni aveva? “La mia unica regola morale è rispettare le scadenze. Presi la patente a diciotto anni, la laurea a 22, a 40 ero parlamentare”. È vero che mandò a quel paese il relatore della tesi di laurea? “Era un importante storico dell’arte, Carlo Volpe. Mi cacciò dicendomi che avevo un brutto carattere, salvo poi richiamarmi per darmi 110 e lode”» (Vecchio). Primo impiego «“a vent’anni, come supplente di latino nelle scuole. C’era un gran bisogno di supplenti. Iniziai vicino a casa, a Codigoro, a Ferrara, a Tresigallo”. […] Dal 1977 però sei prima un ispettore, poi un soprintendente dei Beni culturali. “Quella è una storia paradossale”. Cioè? “Era il 1976. Ero andato a letto con una bella signora, di cui non faccio il nome. […] Dopo aver consumato i piaceri della carne, lei mi disse: ‘Sai? Sto preparando il concorso al ministero. Perché non lo fai anche tu? Sei preparato’”. Come andò a finire? (Sorriso). “Che sostenni l’esame. Lei fu bocciata, io vinsi. Vedi l’utilità sociale delle relazioni sessuali?”» (Andrea Soglio). «A 24 anni ero ispettore delle Belle arti a Venezia: conobbi Pasolini, Borges, Arbasino. Giulio Einaudi mi chiedeva di accompagnarlo per le calli: era attratto dal mio dongiovannismo, le donne della bella società veneziana volevano conoscermi». «Nel 1977 iniziò anche una seconda carriera, da scrittore. “Il mio primo libro: Il populismo nella letteratura italiana del Novecento. Era una dialogo con Alberto Asor Rosa. Lo pubblicò l’editore D’Anna, 1977. La prima monografia che ho scritto, nel 1979, è su Carpaccio”» (Soglio). La popolarità nazionale giunse comunque nel 1989, quando, ospite del Maurizio Costanzo Show (Canale 5), si contraddistinse subito tanto per capacità affabulatorie quanto per impeto polemico: è passato agli annali della televisione lo «stronza» con cui, il 23 marzo di quell’anno, appellò una poetessa dilettante che, vistisi stroncare i suoi versi, gli aveva appena dato dell’asino. «“Con tre interventi da Costanzo raggiunsi la popolarità assoluta”. La sua invettiva contro Federico Zeri (“Lo voglio vedere morto”) resterà a lungo negli archivi televisivi. “Il mio ruolo era di stabilire contrasti, creare sconcerto. Un po’ come quando al casinò ti riesce di sbancare il banco. Volevano farmi parlare di una cosa e io li spiazzavo parlando d’altro. Benché avessi vinto il premio Estense, contro Bocca, Pampaloni e Villari, ero isolato: il riconoscimento diffuso era di là da venire. In quel contesto fu proprio Costanzo a invitarmi in tv per raccontare l’anomalia della mia critica d’arte”» (Michele Anselmi). Era solo l’inizio di una lunga serie di intemperanze televisive, che sarebbe continuata poco dopo con l’acqua gettata in faccia a Roberto D’Agostino (ricambiata con una sberla) all’Istruttoria di Giuliano Ferrara e con il diverbio con un insolitamente furioso Mike Bongiorno a Telemike, fino alle sfuriate con Alessandra Mussolini e alle sequele di «capra!» dispensate dapprima agli inviati di Le iene e poi a chiunque gliene sembrasse degno. Nel frattempo, parallelamente alla carriera televisiva, decollata con la conduzione di Sgarbi quotidiani (tredici minuti tra arte e politica ogni giorno su Canale 5 dal 1992 al 1999), aveva intrapreso anche il cursus politico, iniziato con l’elezione a deputato nel 1992 tra le file del Partito liberale italiano e proseguito negli anni successivi nell’orbita di Forza Italia o comunque del centrodestra, tra alterne vicende (clamorose cacciate dal governo Berlusconi e dal Comune di Milano guidato da «suor Letizia» Moratti, ma anche grandi riscontri a livello d’immagine e di visibilità internazionale per i comuni da lui guidati). Cofondatore nel 2017 insieme a Giulio Tremonti del movimento politico «Rinascimento», in vista delle elezioni politiche del 2018 strinse un patto federativo con Forza Italia, grazie al quale fu rieletto deputato. «Lei ha votato la fiducia al primo governo Conte. “Vero. Dissi: ‘Vedo il vostro futuro: disordine e ignoranza. E io, nel disordine e nell’ignoranza, prospero’. Fui facile profeta”. E non ha votato la fiducia a Draghi. “Lui ci rimase malissimo. Mi chiese: perché ti sei astenuto?”. Già, perché? “Il suo era il più politico dei governi. […] Draghi aveva nominato ministri i capi dei partiti, anzi i capi delle correnti, per salire dopo un anno al Quirinale. Non è andata; e il suo governo è finito allora”» (Cazzullo). Alle elezioni politiche del 25 settembre 2022 si candidò invece tra le file di «Noi moderati», ma, nonostante l’appoggio del centrodestra, fu sconfitto da Pier Ferdinando Casini, sostenuto invece dal centrosinistra. Ciononostante, il 2 novembre successivo entrò a far parte del governo Meloni in qualità di sottosegretario al ministero della Cultura guidato da Gennaro Sangiuliano, carica dalla quale si dimise poi il 13 febbraio 2024, dopo che l’Autorità garante della concorrenza e del mercato, sollecitata da una segnalazione del ministro Sangiuliano a propria volta debitrice a un’inchiesta de il Fatto Quotidiano, ebbe sancito l’incompatibilità tra il ruolo istituzionale ricoperto da Sgarbi e le sue attività extrapolitiche remunerate quali conferenze, inaugurazioni e lezioni magistrali. Vano, nel giugno successivo, il tentativo di essere eletto al Parlamento europeo tra le file di Fratelli d’Italia. Negli ultimi anni Sgarbi ha inoltre dovuto affrontare alcune vicissitudini giudiziarie non ancora risolte, le principali delle quali sono un’imputazione per esportazione illecita di opere d’arte e una per furto di beni culturali, accuse da lui sempre fermamente respinte. A tali traversie si sono aggiunti anche alcuni problemi di salute: già cardiopatico, nel marzo 2021 annunciò di essere affetto da tumore alla prostata, dal quale si disse poi guarito nel giugno successivo grazie alla radioterapia. «“Ho fatto portare un quadro di Adelchi-Riccardo Mantovani e l’ho appeso al soffitto: lo guardavo mentre mi bombardavano”. Cosa pensava in quei momenti? “Ho smesso di ritenermi invincibile”» (Vecchio). Da ultimo, sta attraversando una grave forma depressiva, che l’ha persino costretto al ricovero ospedaliero, in seguito al suo rifiuto di alimentarsi. «“Ho perso parecchi chili. Faccio fatica in tutto. Riesco a tratti ancora a lavorare. Ho sempre dormito poco. Ora passo molto tempo a letto. […] Trascorro una fase di meditazione dolorosa su quello che ho fatto e sul destino che mi attende. […] La mia attuale malinconia o depressione è una condizione morale e fisica che non posso evitare. Come abbiamo il corpo, così ci sono anche le ombre della mente, dei pensieri, fantasmi che sono con noi e che non posso allontanare”. Una condizione per te del tutto nuova. “Non ne avevo mai sofferto. Mi sembra un treno che si è fermato a una stazione sconosciuta”. […] C’è la tua vicenda giudiziaria, sulla quale tu non vuoi intervenire. Ma una cosa te la voglio chiedere: in che misura una tale esperienza sta minando questa fase della tua vita? “In modo intenso, direi devastante. Di alcuni atti, eseguiti in assoluta naturalezza, mi vengono imputati una serie di comportamenti che non erano i miei. Ho sempre cercato di avere cura e attenzione per le opere. Che dal loro studio, e in certi casi dal loro acquisto, se ne ricavino le mie cattive intenzioni mi crea certamente dei turbamenti sgradevoli”. Come pensi di uscirne? “Sperando che si affermi una verità, che è la verità dello spirito con cui ho fatto queste cose”» (Gnoli). «Nessuno solidarizza con Sgarbi, nessuno dice una parola d’indignazione sulla persecuzione a cui è sottoposto, simile a quella patita da Pasolini mezzo secolo fa per mano di questo Paese invidioso e analfabeta allora come oggi. Gli dànno addosso i suoi nemici, e stanno zitti, ben contenti, i suoi supposti amici. Solidarizzo io, pienamente, che non sto né con quelli né con questi. […] Sgarbi è il più grande intellettuale italiano, e ci sarà tempo, troppo tardi, per rimpiangerlo» (Giorgio Dell’Arti) • Tra le sue ultime pubblicazioni, Arte e fascismo. Nell’arte non c’è fascismo. Nel fascismo non c’è arte e Natività. Madre e Figlio nell’arte, entrambi pubblicati presso La nave di Teseo nel 2024. «A nulla tengo più che alla mia scrittura, che è di un virtuosismo dannunziano» • «Dopo le lezioni di Bruno Cavallini, mio zio letterato, e di Francesco Arcangeli, il primo e più appassionato allievo di Roberto Longhi, l’impulso a collezionare arte mi venne con la frequentazione di Mario Lanfranchi, collezionista-maestro perfetto. Fu grazie a lui che potei rompere il dogma universitario, quello cioè che mi faceva guardare le opere d’arte come beni spiritualmente universali ma indisponibili materialmente. Fino a quell’incontro, le opere mi erano sembrate idee, pensieri, non cose. […] Dal 1983, quando acquistai uno straordinario San Domenico di Niccolò dell’Arca, decisi che non avrei più cercato ciò che era possibile trovare, o di cui si poteva presumere l’esistenza, ma soltanto ciò che per sua natura era introvabile» (ad Antonio Carnevale). Nel corso degli anni ha costituito una notevolissima collezione privata di oltre quattromila opere, per lo più acquistate per suo conto alle aste dalla madre, «che del figlio fu per quasi mezzo secolo segretaria, agente, vestale e archivista» (Camillo Langone) • Il padre Giuseppe esordì come scrittore a 93 anni con Lungo l’argine del tempo. Memorie di una farmacista (Skira, 2014), riscuotendo subito un grande successo, replicato dai tre titoli successivi, tra cui Lei mi parla ancora (Skira, 2016), scritto in memoria della moglie, dal quale nel 2021 Pupi Avati trasse l’omonimo film • La sorella Elisabetta è una nota e brillante editrice e regista, storica direttrice editoriale della Bompiani e fondatrice nel 2015 de La nave di Teseo. «Alla scomparsa della mamma Rina si è trasformata pure lei nella protettrice e musa del figlio-fratello. E oggi il rapporto vero e solido è proprio quello con lei» (Michele Masneri) • Tre figli accertati (Carlo, Evelina e Alba) da tre donne diverse, ma «posso avere una quarantina di figli». «Io sono un padre preterintenzionale. Tuttavia, posso solo compiacermi che i figli siano nati. Alle madri, ho sempre detto: dovete comunque farli, io sono per la vita. […] Le verifiche di Dna, non le ho mai fatte, perché io, i figli, li riconosco dalle orecchie. […] Se le hanno spigolose e taglienti come le figure rinascimentali del pittore ferrarese Cosmè Tura, le ritengo la prova genetica che sono figli miei» (a Candida Morvillo). Da molti anni è sentimentalmente legato a Sabrina Colle, con la quale ha però dichiarato di non avere più «dal 1999» rapporti sessuali, che, almeno fino a quando i problemi alla prostata non ne hanno minato la vigoria, consumava esclusivamente con altre donne. «Vado oltre il nono comandamento. Non voglio la donna d’altri: desidero solo quella che non conosco» (a Stefano Lorenzetto). Con la Colle, invece, «abbiamo uno straordinario rapporto di anime, il punto più alto dell’amore. […] La gente fa la morale, ma fai mica la morale a Rimbaud?» • «Vittorio ha preso da mio padre, affabulatore nato e gran seduttore. Aveva un trasporto verso le donne quasi istintivo. Un giorno accarezzò le mani persino a due giovani suore che s’erano presentate al mulino a chiedere un’offerta per i poveri» (il padre). «Tutte le donne che ho avuto – sono più di 1.500, credo –, le ho conquistate e dedicate a mio padre e a mio zio, Bruno Cavallini, grande letterato, lasciato dalla moglie perché gli aveva trovato le lettere d’amore scritte dall’amante» • «Lei crede in Dio? “Credere è una forma di presunzione; al massimo si può credere di credere. La ragione non ne darebbe motivo: Dio è indimostrabile, quindi non c’è. La dimostrazione che Dio esiste è una sola”. Quale? “L’arte. C’è della divinità nell’uomo, perché l’artista aggiungendo bellezza al mondo continua la creazione. Attraverso l’arte l’uomo si immortala. Dante direbbe che ‘s’etterna’”» (Cazzullo) • «Quali sono i suoi artisti prediletti? “L’artista la cui pittura supera la vita stessa è Diego Velázquez. Poi Ercole de’ Roberti. […] E Tanzio da Varallo, in alternativa a Caravaggio e dalle ancora più radicate contraddizioni”» (Francesco Rigatelli) • «Sgarbi è il Robin Hood della comunicazione, colui che regala alla provincia negletta la notorietà rubata alle capitali e ai mass media. […] Sgarbi, prestando a ogni artefice e a ogni borgo l’attenzione che mai nessuno ha prestato loro, è il santo patrono dell’Italia minore» (Langone). «Sgarbi […] è un misto tra D’Annunzio e Bruno Cortona: la sua vita oscilla tra Il piacere e Il sorpasso» (Masneri). «Sgarbi è un uomo babele, dove cento lingue fanno chiasso insieme, e l’una viene dagli umori, che sono irrefrenabili, l’altra dall’intelletto vivace, l’altra dall’ironia, l’altra dalla cultura» (Salvatore Merlo) • «La televisione ha svelato la parte irruenta, provocatoria e perfino più sgradevole di te. “Non c’è dubbio. Non era una recita a teatro ma la rappresentazione del mio temperamento. Questo è stato il senso della televisione per me”. Questo tuo lato ti piace? “Oggi lo vedrei come una parte di me distante, come un calore di fiamma lontana. Oggi guardo le cose senza il desiderio di essere coinvolto. Senza rappresentare una parte”» (Gnoli) • «Un giudice chiese di sottoporla a perizia psichiatrica. “Non sono matto, sono libero. Ho fatto quello che volevo”» (Vecchio).