31 maggio 2025
Tags : Orietta Berti
Biografia di Orietta Berti
Orietta Berti, (Orietta Galimberti), nata a Cavriago (Reggio Emilia) il 1° giugno 1943 (82 anni). Cantante. Circa 16 milioni di dischi venduti («Forse sarebbero di più ma non lo dico, sennò mi fanno pagare la percentuale pure su quelli»).
Titoli di testa «Mi sono adeguata ai tempi e mi diverto»
Vita «Mia mamma si chiamava Vittoria Anna Vitali, ma la chiamavano tutti Olga. Non lo so perché… La mamma era di Traversetolo, un paesino non lontano da Cavriago, ma già in provincia di Parma. In un primo tempo doveva andare sposa a un medico, ma all’ultimo momento, quando lei aveva già pronto l’abito da sposa, lui ci ripensò e portò all’altare un’altra donna. Qualche anno dopo la mamma conobbe Mafaldo Galimberti, che faceva il commerciante di foraggi ma aveva la mania della musica lirica, e che poi diventò mio papà. Mia mamma era una ammiratrice di Liala, e quando era incinta di me stava leggendo un romanzo in cui la protagonista si chiamava Orietta. Così decise di darmi questo nome. […] I miei genitori non erano più molto giovani, e dopo di me non hanno avuto altri figli. Non erano molto ricchi, ma non avevano nemmeno grandi difficoltà economiche. La mamma lavorava, gestiva la pesa pubblica di Cavriago. […] Da piccola io ero un vero e proprio maschiaccio. La passione per le bambole mi è venuta da grande. A quei tempi, appena me le regalavano, le rompevo. Preferivo giocare con i servizi da tè della mamma, che facevano la stessa fine delle bambole. […] Devi sapere che Cavriago è chiamata “la piccola Russia”, tanto che in piazza c’è ancora un busto di Lenin in bronzo. Quando è morto Stalin, il paese intero si era messo a lutto, e tutti i cavriaghesi si erano riuniti nella piazza principale, dove su un enorme telone proiettavano un documentario sugli ultimi giorni di quell’uomo con i baffoni. Be’, io e la mia amica Sofia (avevamo 8 anni) non riuscivamo a piangere, anzi abbiamo cominciato a ridere, e non smettevamo più. Allora la mamma mi ha mollato un manrovescio che me lo ricordo ancora. La mamma era molto cattolica, ma allo stesso tempo era una comunista sfegatata. Aveva avuto un fratello partigiano. […] Dopo le scuole dell’obbligo, mia mamma avrebbe voluto che studiassi per diventare maestra, e anche a me non sarebbe dispiaciuto: diventare una maestra brava come lo era stata la mia, la signora Rosanna Cilloni. O anche una maestra d’asilo. […] Papà aveva […] una voce bellissima, da tenore. Da giovane aveva anche iniziato a studiare musica, ma poi è successo che suo padre (cioè mio nonno paterno) scappò in Francia con un’altra donna, lasciando la moglie con tre figli. Papà era il maggiore: dovette smettere di studiare musica e andare a lavorare, ma la passione gli era rimasta. Si ricordava le poche romanze che era riuscito a imparare a scuola, perché nei primi anni aveva fatto solo dei vocalizzi, e le cantava quando andava a fare le serenate. Quindi ha riversato tutta la sua passione su di me. Fin da piccola mi diceva che io dovevo cantare; non sapeva nemmeno se avevo una bella voce, ma lui aveva già deciso. […] La prima volta che mio papà mi portò da un maestro di canto lirico, quello disse: “È ancora giovane! Una donna deve venire quando è adulta, perché la voce poi cambia. Tra due o tre anni potrò lavorarci sopra, ma, se lavoro adesso sulla voce da bambina, la sforzo e la rovino. Non sappiamo se diventerà un soprano o un contralto”. Ma mio papà era impaziente, e allora iniziò a farmi cantare a casa. Mi comperava i dischi di Paul Anka, Diana, You are my destiny, e mi faceva cantare sempre quelle canzoni lì. Aveva poi degli amici che erano musicisti: uno, il Bertani, era stato anche nel complesso di Van Wood. […] Io avevo il registratore Gelosino, a bobine. Ce l’ho ancora. […] Me l’aveva comperato mio papà. Mi comperava tutto, purché io cantassi. Il Bertani mi passava bobine di musica sudamericana, che lui amava molto, e io da allora le ho imparate. […] Il fatto è che avevo paura del pubblico, ancora più fifa che dell’acqua! Però il giorno del mio debutto in pubblico si avvicinava. Devi sapere che a Cavriago non c’era un teatro, e a un certo punto i miei concittadini avevano deciso di costruirne uno. Tutti gli abitanti avevano offerto una piccola somma per la costruzione. […] Quando poi il teatro fu finito, tutti i giovani del paese lo hanno inaugurato con una specie di recital in cui prendevamo in giro gli abitanti più conosciuti di Cavriago. […] La sera dello spettacolo, io avevo un abitino bianco che mi aveva cucito mia zia. Ho ancora le foto… Una cosa un po’ da oratorio, ma quello è stato il mio vero debutto: dovevo ballare e poi cantare due canzoni allora in voga, Blue Canary e Il torrente, quest’ultima di Claudio Villa. […] Il torrente, l’aveva scelta papà Mafaldo. La sera mi accompagnava alle prove, che facevamo nel palazzo del Municipio, e quando mi vedeva sul palco impazziva. La mia esibizione fu comunque un vero successo. Dopo quella sera e quel piccolo trionfo, papà Mafaldo era completamente convinto che avrei dovuto cantare. E ormai ne ero convinta anch’io, perché cantare mi piaceva. Allora siamo andati prima dalla signora Carla Ragni e poi dal maestro Neri, che stava a Bologna. […] Con il maestro Neri studiavo canto e pianoforte. Perché, non lo sanno in molti, ma io so suonare il pianoforte. […] Restava però un fatto importante, e cioè che io continuavo ad avere paura del pubblico […] Ma era destino che dovessi cantare in pubblico, sai. Perché […] il maestro Speroncini venne a sapere che a Reggio Emilia, al Teatro Municipale, ci sarebbe stato un concorso Enal per voci nuove organizzato da un talent-scout noto di quel periodo, Giancarlo Conte. Avevo deciso di cantare Il cielo in una stanza, la canzone di Gino Paoli, che io amavo da impazzire nella interpretazione di Mina. Sin da allora io ero una appassionata di Mina, che forse è stata il mio unico punto di riferimento. […] La sera del concorso mi sentivo morire dalla paura, però ce la misi tutta e arrivai prima. Sai cosa ci hanno dato come premio? Un disco d’oro. Non vero, però, solo dipinto. Però è stato di buon augurio, visto che poi ne ho vinti davvero, di dischi d’oro! Non vinsi da sola al concorso: arrivai prima ex aequo con un’altra aspirante cantante della provincia di Reggio, la Iva Zanicchi. Dopo quella vittoria, la Iva e io facemmo anche delle serate insieme, e dividevamo a volte la stanza d’albergo. La Zanicchi poi andò alla Ri-Fi a fare un provino, ma anche io fui fortunata. Nella giuria del concorso di Reggio c’era il maestro Giorgio Calabrese, che è stato autore di moltissimi brani di musica leggera. Calabrese rimase colpito dalla mia voce, e mi propose subito di andare a Milano per sostenere dei provini presso una casa discografica. […] Ho preparato la mia borsa e mio papà mi ha accompagnata, in treno, perché non aveva la patente. […] Era il 1961. […] Arrivata a Milano, trovo Calabrese che mi porta negli studi di questa piccola casa discografica, la Karim. Era di proprietà di un ricco armatore genovese, che aveva cercato in quel modo di investire i suoi soldi. Il 18 febbraio registriamo quattro canzoni, che poi il 21 furono stampate su due 45 giri. Le canzoni del primo disco erano due motivi di stile sudamericano che io, grazie ai nastri che mi passava il Bertani, sapevo interpretare senza problemi. Erano Non ci sarò, che era stata scritta da Calabrese insieme al maestro Isola, e Franchezza, un pezzo brasiliano con il testo italiano di Calabrese. Il secondo disco comprendeva invece due canzoni francesi, mi sembra anche di Aznavour, Se non avessi più e Canzone di novembre. Non ero l’unica esordiente della Karim […]. Uno era Memo Remigi, che poi avrebbe scritto Io ti darò di più, e l’altro era Fabrizio De André. Ma guarda che non erano per niente noti, erano due esordienti come me. […] E come inizio devo dirti che non è andata molto bene, perché, proprio dopo aver stampato i miei due 45 giri, l’armatore proprietario della Karim decise che quello non era un mestiere per lui, che c’erano troppe spese, chiuse l’etichetta e tornò a fare le navi. Quindi i miei primi due dischi in realtà non sono mai stati pubblicati. Io e qualche mio parente ne abbiamo delle copie, ma sono delle vere rarità! […] Ormai mi ero convinta di fare la cantante. Insomma, avevo visto i primi guadagni e avevo pensato che così potevo aiutare la mamma. E poi avevo meno paura di esibirmi in pubblico. C’era sempre papà che mi seguiva: lui era convinto più di me di quello che facevo […]. E oltre a papà Mafaldo c’era ancora Calabrese, che non mi aveva abbandonato. Anzi, mi aveva procurato un’audizione alla Polydor. Era una casa discografica molto importante che faceva capo alla Philips. […] Mi hanno presa. Eh, ma, se le cose andavano bene dal punto di vista della musica, andavano meno bene da quello privato. Nel 1963, quando sono arrivata alla Polydor, ho perso mio zio Pietro, […] che io amavo tanto. E poi l’anno dopo […] è scomparso il papà, […] in un brutto incidente stradale. […] Senza nemmeno poter vedere un mio disco pubblicato. I primi tempi alla Polydor mi fecero cantare canzoni di altri. Per esempio, mi fecero incidere la versione italiana di un successo della Brenda Lee, che si chiamava Losing You e che in italiano era Perdendoti. Con la Polydor feci tre o quattro 45 giri, ma il successo arrivò con le canzoni di Suor Sorriso. […] Nel frattempo, alla Phonogram [che aveva acquistato la Polydor, ndr] erano cambiati i produttori, […] erano […] arrivati i tedeschi. Questi si accorsero della mia voce e si resero conto che il repertorio finora affidatomi e fatto di pezzi stranieri non andava bene per le mie corde. Nonostante ciò, gli stessi tedeschi pensarono che la voce adatta per eseguire le canzoni di Suor Sorriso con i testi in italiano scritti da Lucio Lami sarei potuta essere io. […] Non ero molto entusiasta di farlo. Perché pensavo che dopo mi avrebbero fatto fare sempre la suora […]. La vigilia di Pasqua del 1964 ho anche fatto la mia prima partecipazione televisiva. Non mi ricordo nemmeno che trasmissione fosse. Però mi ricordo che mi avevano fatto accoccolare su una sedia a dondolo, con la chitarra in mano, e mi aveva fatto cantare Dominique. […] La Phonogram aveva deciso di far partecipare un suo artista al Disco per l’estate. Il pezzo era già pronto, una canzone di Luciano Beretta e Alberto Anelli che, almeno all’inizio, si doveva chiamare Tu sei quella e doveva essere interpretata dallo stesso Anelli. Ma i tedeschi dissero “no”, che ci voleva la voce di una donna, e me la fecero incidere. Alla fine, la decisione, però, non la presero i discografici. Senti un po’ che storia: fecero ascoltare le due versioni a tutti quelli che capitavano, anche agli operai che stampavano i dischi, e proprio questi dissero che la mia interpretazione era più convincente. Così, preso ancora una volta il treno, partii per Saint-Vincent senza troppe speranze, vè: ero una debuttante, anzi una quasi-debuttante come scrivevano i giornali, e alla manifestazione partecipavano nomi che magari oggi non ti dicono più niente, ma che allora erano famosi, da Peppino Gagliardi a Isabella Iannetti, da Bobby Solo [etc.]. Tra tutti loro vinsi io, perché avevo forse il pezzo più convincente, con una bella frase melodica all’italiana… […] Alla vigilia del concorso tutti dicevano che avrebbe vinto il Jimmy Fontana, e ormai ci credeva anche lui. Figurati come era rimasto quando una debuttante gli portò via il trofeo» [a Tommaso Labranca, La vita secondo Orietta Sperling&Kupfer] • «Precisamente il 18 giugno 1965, vinsi Un disco per l’estate con Tu sei quello. Considero questo l’inizio della mia carriera, perché fu l’anno del primo grande successo» [ad Andrea Direnzo] • L’anno successivo, la Berti partecipò al primo di undici Festival di Sanremo. «Non volevo andare a Sanremo per forza. Il primo anno – era il 1966 – Gianni Ravera mi mise in coppia con Ornella Vanoni: cantavamo Io ti darò di più». L’anno successivo, la tragedia di Tenco. Lei cantava Io, tu e le rose, che il cantautore cita nel suo biglietto d’addio: “Faccio questo non perché sono stanco della vita (tutt’altro), ma come atto di protesta contro un pubblico che manda Io, tu e le rose in finale”. Sono passati 50 anni: quanto ci ha pensato? «Sempre. La vita rovinata l’ho avuta anch’io: sono sempre stata trattata come una ciabatta dalla stampa. Potevano dare una mano a questo ragazzo di talento, ma quando è stato il momento di ritirare fuori la canzone hanno ripescato La rivoluzione. Io che colpa ho? Tuttora non penso che abbia scritto lui il biglietto, ma una persona legata ai discografici». Perché dice così? «Perché Tenco era troppo intelligente, sensibile. Sandro Ciotti me lo disse subito: “Orietta, non crederò mai che Tenco abbia scritto questa cosa”. E la stessa cosa me l’ha detta il fratello di Luigi. Nell’animo ero serena, ma un certo tipo di stampa aveva trovato il capro espiatorio”» [Silvia Fumarola, Rep] • «Sanremo è sempre stato molto emozionante per tutti, anche se spesso non eravamo noi cantanti a volerci andare, ma erano le case discografiche che ci obbligavano, in quanto rappresentava una grande vetrina. […] Un errore durante la diretta o un’esibizione sotto tono sarebbe stata molto negativa, anche perché allora non erano tanti i contenitori televisivi dove promuovere il proprio lavoro. Ricordo Io ti darò di più nel 1966, Quando l’amore diventa poesia nel 1969, Occhi rossi nel 1974, Futuro nel 1986, tutte bellissime partecipazioni. Allo stesso modo, ricordo con tanto affetto l’accoppiata del 1992 con Giorgio Faletti in Rumba di tango: fu molto divertente». «L’ascesa dei cantautori penalizzò gli interpreti puri? “Tanto. Per questo iniziai ad autoprodurmi, scegliendo Umberto Balsamo come autore. […] Però negli anni Settanta, quando incisi tre album di canti operai e delle mondine e un lp sulle musiche degli zingari che mi diede un nomade di origini bulgare, ero l’unica a lavorare. Andavano di moda multisala che alternavano disc jockey, liscio e canzone: io grazie a quegli dischi divenni icona della musica italiana non cantautorale…”» [ad Andrea Pedrinelli, Avvenire] • «Il suo più grande successo è la celeberrima e nazional popolare Fin che la barca va, del 1970. Nei primi anni ’70 ha ancora un discreto risultato con brani come Ah l’amore cos’è, In via dei ciclamini, Città verde e Stasera ti dico di no, cui segue una lenta ma inesorabile decadenza di consensi commerciali, compensata in termini di popolarità da una massiccia presenza televisiva» [Enrico Deregibus, Dizionario completo della canzone italiana] • «A un certo punto è stato come se la televisione si fosse ricordata di me o si fosse accorta della mia natura ironica […]». Ma il connubio con Fabio Fazio come è nato? «Ero negli studi Rai, dove lui stava facendo Quelli che… il calcio. Ci incontrammo nei corridoi, e mi chiese il perché non andassi ospite da lui. Gli risposi la verità, e cioè che non so nulla di calcio, e lui di ribattuta mi disse che ero quindi perfetta. Ho fatto 5 edizioni e sono andata in viaggio ovunque, in posti meravigliosi, per i collegamenti» [Fabio Fiume] • Tuttora attiva anche sulla scena musicale, dopo aver festeggiato nel 2015 i cinquant’anni di carriera con la raccolta Dietro un grande amore – 50 anni di musica (quattro cd di grandi successi e uno di canzoni napoletane, per un totale di 109 brani) e con la relativa tournée • Nel 2020 pubblica la sua prima autobiografia Tra bandiere rosse e acquasantiere per Rizzoli Libri (ben scritta, ndc) • L’anno successivo torna, dopo ben 29 anni, al Festival di Sanremo, con Quando ti sei innamorato: nono posto. Seguono l’album di inediti La mia vita è un film, Todo Cambia in duetto con Cristiano Malgioglio, una cover del brano Lupin e il singolo Mille con Fedez e Achille Lauro. Brano che la fa tornare in cima alle classifiche • Sempre in tv come giurata od opinionista (Che tempo che fa, The voice, Io canto, Gf Vip) • Nel film d’animazione Luca doppia il ruolo di Concetta Aragosta • Con Mara Maionchi e Sandra Milo gira docu-reality Quelle brave ragazze • Il 15 novembre 2022 pubblica il ricettario Nella mia cucina, le ricette di una vita edito da Gribaudi • Nel 2023 il disco d’oro con Rovazzi per La discoteca italiana • Nel maggio del 2024 a Viva Rai2! Orietta Berti e Fiorello lanciano il singolo Una Vespa in 2, singolo nato da un jingle scritto da Fiorello stesso • Prende una pensione di 900 euro al mese: «Per fortuna nella vita ho lavorato molto e ho messo da parte tanto. Adesso non canto solo per bisogno, ma perché mi piace ancora. Poi sono una persona semplice, non faccio spese folli».
Curiosità Due gli storici soprannomi: «l’Usignolo di Cavriago» e «la Capinera dell’Emilia» • «Sono un filino vanitosa, per niente permalosa e zero gelosa. Purtroppo, su quest’ultimo aspetto, Osvaldo è come me…» • «La politica le piace? “Macché. Anche se Osvaldo, mio marito, mi obbliga a vedere i talk show”. E lei si annoia. “Mi piacciono gli spettacoli musicali e le fiction”» [Antonello Caporale, Fatto] • «Mi veste da tanti anni Nicolò Cerioni, lo stesso stilista dei Måneskin, di Lauro, Nannini, Jovanotti... a ognuno dà il suo abito, immagina dei vestiti che rispecchiano il carattere e la personalità di chi li indossa. Così mi sento me stessa» [Renato Franco, Cds] • Numerose collezioni: dalle bambole alle scarpe, dai crocifissi alle camicie da notte, dalle acquasantiere alle parrucche. Grande passione anche per le guêpière: «Le ho sempre portate, sono comode: tengono dritta la schiena, fanno sparire i rotolini. Le compro ovunque» • «Io studio due ore al giorno, voglio i fiati giusti, l’orecchio allenato, non fumo, parlo poco, faccio le prove al pomeriggio quando ho un concerto per sentire i musicisti e me stessa. E non sparo i “do” nelle prime canzoni: quante volte mi sento dire di essere stata preceduta in una piazza da un giovane che dopo tre brani non aveva più voce… Va usata con gentilezza» • Il segreto del suo successo? «Il peperoncino. Lo compro a Vasto quando è la stagione, quelli piccantissimi fanno bene alla voce. È come prendere il cortisone, che però a me fa ingrassare e non va bene. Il peperoncino, oltre a essere un concentrato di vitamina c, pulisce le corde vocali, la voce esce cristallina. L’ho sempre usato».
Amori Un solo uomo Osvaldo Paterlini e due figli, Omar (1975) e Otis (1980). Incontrò Oslvaldo alla fiera di San Simone: «Magro magro, con un trench alla Bogart, molto serio. Lo invitai a bere un caffè al cioccolato a casa mia, gli davo del lei. Portò in regalo un grosso pezzo di formaggio. Il nonno disse: bene, è generoso. La nonna invece era sospettosa: è troppo secco, non è sano, informati bene». […] E il flirtino con Teo Teocoli? «Ma no, nessun flirt: eravamo quattro amici, io, lui, Ricky Gianco e Gian Pieretti, beh, lì in mezzo Teo era il più bello e mi faceva tanto ridere, niente più. E poi poco dopo ho conosciuto Osvaldo» [a Giovanna Cavalli, Cds] • Per anni Osvaldo le ha fatto da manager. Poi a lei ci hanno pensato i figli • «Noi in famiglia abbiamo questa fissa per i nomi che cominciano con la “O”: Orietta, Osvaldo, Omar, Otis, mamma Olga, Odilla (mia suocera), Oreste (il nonno di Osvaldo). Otis l’avevo sentito in America. Poi c’era Otis Redding, quel cantante di rhythm’n’blues che era morto in un disastro aereo con tutto il suo gruppo. Ma il nome l’ho scelto perché mi piaceva, era dolce. Omar, invece, era un omaggio a uno dei miei attori preferiti, Omar Sharif». La tradizione continua con le nipoti Olivia e Ottavia, figlie di Otis. «Ho avuto parecchi corteggiatori, ma ho sempre fatto quella che cadeva dalle nuvole. Fare la finta tonta serve».
Titoli di coda «Non ho eredi: nessun cantante ne ha, perché non conta solo la voce, ma la personalità».