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 2025  giugno 02 Lunedì calendario

Biografia di Rafael Nadal

Rafael Nadal, nato a Maiorca (Spagna) il 3 giugno 1986 (39 anni). Ex tennista. In carriera ha conquistato 14 Roland Garros (record assoluto), 4 Us Open, 2 Wimbledon e 2 Australian Open. Assieme a Roy Emerson, Rod Laver è uno dei tre tennisti capaci di aggiudicarsi almeno due volte tutti i Major. Con 22 successi su 30 finali disputate, è il secondo tennista più vincente nelle prove del Grande Slam dietro a Novak Djoković. È stato numero 1 del mondo per un totale di 209 settimane, terminando 5 stagioni al primo posto del ranking. Unico tennista della storia ad aver raggiunto la posizione numero 1 del ranking Atp nel corso di tre decenni diversi (2000-2009, 2010-2019, 2020-2029) ed è il primatista assoluto per numero di settimane consecutive in top 10 (912: dal 25 aprile 2005 al 19 marzo 2023). «Vincere e perdere fa parte della nostra vita quotidiana. Ciò che mi ha reso felice per tutta la vita, più che vincere, è stato dare il massimo. Raramente ho avuto la sensazione di tornare a casa senza aver fatto tutto il possibile perché le cose andassero bene».
Vita «Qual è il suo primo ricordo, qui a Maiorca? “Sono bambino, e sto giocando con il mio papà. Nel corridoio di casa. A pallone, a pallacanestro. A tutto, tranne che a tennis” Suo zio Miguel Angel fu centrocampista del Barcellona e della nazionale spagnola. Anche lei era un calciatore. Perché ha scelto il tennis? “Non è stata una scelta. Ero un buon calciatore; ma come tennista ero un po’ più speciale. E poi mi allenava un altro zio, Toni”. Con lei fu durissimo. “Sì. Era molto esigente; ed è stata la mia fortuna. La tensione, se la sai dominare, è fondamentale” Ora non la segue più. “È stata una sua decisione”. È vero che da bambino lei pensava che zio Toni avesse poteri magici? “Diceva di essere stato campione di qualsiasi sport, di aver vinto il Tour de France a braccia alzate, di aver giocato centravanti nel Milan. Una volta a bordo campo mi assicurò che, se fossi andato in difficoltà, lui avrebbe fatto piovere. Sullo 0 a 3 per il mio avversario cominciò a piovere. Quando recuperai gli dissi: ‘Zio, ora puoi anche far tornare il sole’”. Lei porta il nome di suo nonno: Rafael Nadal, musicista. “Direttore d’orchestra. Dopo la guerra civile portò in paese la Nona di Beethoven. Poi diresse Alfredo Kraus, il tenore. Ero legatissimo al nonno. La sua morte fu un dolore terribile”. Come mai lei tifa Real Madrid e non Barcellona? “Mio padre e tutta la famiglia sono madridisti da sempre. Quando lo zio giocava nel Barça ovviamente tifavamo per lui. Poi però è tornato al Maiorca, e lì ci siamo divisi: qualcuno è rimasto con il Barcellona; altri hanno ritrovato il Madrid”» (ad Aldo Cazzullo) • «Famiglia è borghese, unita, dai forti valori e dallo spirito sportivo, tanto che un fratello di papà, Toni, gestiva un circolo tennis di 5 campi in terra rossa e l’altro, Miguel Angel, era calciatore professionista e colonna della difesa del Barcellona e della nazionale spagnola. Fortuna è stato quindi avere testa e fisico da atleta. Fortuna è stato nascere a Manocor, nell’isola di Maiorca, dove i campioni dello sport spuntano come funghi. Fortuna è stato avere un “fratello maggiore” come il collega e corregionale Carlos Moya. A 4 anni Rafa, come l’hanno sempre chiamato, teneva spesso gli occhi bassi alla ricerca di una palla: piccola e gialla come quella di tennis o grande e a rombi come quella di calcio. Zio Toni gli aveva appena messo in mano la prima racchetta: era stato un buon seconda categoria nazionale, anche se il fenomeno era sempre l’altro fratello, Miguel Angel, già campione delle Baleari. Il moretto coi capelli tagliati da paggetto parlava poco e velocissimo, quanto correvano le sue dita sui tasti dei videogames, ma batteva coetanei e ragazzi più grandi anche di un paio d’anni, senza problemi. Si fermava solo per ascoltare zio Toni: “Gli raccontavo che ero stato calciatore anch’io, gli dicevo che avevo battuto tutti anche a tennis, e soprattutto gli facevo credere che avevo virtù superiori, che potevo forzare il destino. Erano trucchi per educarlo alla disciplina”, racconta il suo angelo. Perché Rafa è testardo e quando partiva per la tangente non si fermava più, tanto alla fine vinceva lo stesso: “Allora andava anche spesso a rete”. Solo che a 7 anni incontrò un tipo più forte e stava perdendo netto, 3-0, quando zio Toni gli disse: “Che combini? Ragiona, non farti battere dalle emozioni, altrimenti io che sono un mago fermo la partita con la pioggia”. Ma, una volta in trance Rafa continuò come diceva lui e arrivò a 3-2, quando la pioggia cominciò davvero a cadere. Allora il ragazzino corse in tribuna, in lacrime: “Ti prego, zio, io voglio vincere. Giuro che gioco con calma, giuro che penso, ma fai riprendere il match”. Così, imparando ad ascoltare sempre zio Toni, l’aspirante tennista Rafael Nadal ha imparato a rispettare gli avversari (“è la prima regola dello sport e della vita”), a non rompere mai racchette (“C’è tanta gente che non può permettersene una, non è giusto distruggerla così, per un gesto di rabbia”), a essere umile (“Siamo tutti uguali, non si è migliora solo perché si tira la palla di là di una rete, ci sono cose ben più importanti”), a non bruciare le tappe (“Ha fatto tutta la trafila normale, senza tante wild card per giocare tornei superiori alle sue possibilità e senza lussi”). Così, a 8 anni Rafa batteva quelli di 12, ma soprattutto, a 10 anni, superava lo zio campione, Miguel Angel, e a 12, dovendo decidere fra calcio (“Che preferiva”) e tennis (“Do era appena diventato campione d’Europa”), scelse definitivamente la racchetta. Intanto gli era nato il primo grande amore tennistico della sua giovane carriera, quello per l’altro majorchino, Carlos Moya: “Appena l’ho visto giocare ho pensato: “Un giorno voglio lottare come lui’” [...] Figurati che emozione provò quando, a 14 anni, Moya riuscì a svicolare dalla scuola della fatica di Barcellona e a tornare a casa solo a patto di allenarsi col fenomeno Nadal: un po’ nella capitale, un po’ a metà strada da Manocor, a 50 chilometri, sui campi veloci dell’hotel Marriott di Son Antem. Intanto il ragazzino s’era fatto un nome anche fra i professionisti: aveva sostituito all’ultimo momento Boris Becker nel torneo seniores di Santa Ponsa contro Pat Cash, campione a Wimbledon 1987, lui che ancora vegetava nei tornei Futures, e l’aveva clamorosamente battuto. “Al momento mi vergognai pure, mi sono ripreso solo quando quel terribile mancino spagnolo di 14 anni eliminò Ancic a Wimbledon 2003”, ha raccontato poi l’australiano. Allora, nel 2000, nella trionfale finale di coppa Davis Spagna-Australia di Barcellona, Rafa giocava solo come raccattapalle. Solo nel 2001 cominciava la calata fra i pro, bruciando come al solito le tappe e guadagnando 715mila dollari di premi che, aggiunti alle sponsorizzazioni Nike e Babolat, lo fanno già un milionario (in dollari). A 18 anni chiede il premesso a papà per uscire la sera, non ha né la moto né l’automobile. Appena può torna a Maiorca e scappa a pesca, ben felice di cucinare poi per la famiglia la sua ultima invenzione di “pasta ai frutti di mare”. Più fortuna di così» (Vincenzo Martucci) • «Simil-analfabeta, si esprime non si dice in castigliano, e neanche in catalano, ma in un gergo meno comprensibile, che - mi dicono gli amici spagnoli - si chiama maiorchino. […] Viene infatti dall’ isola di Maiorca, un posto fin qui noto per gli amori di Chopin e George Sand, e per ospitato una raffinata colonia inglese, nella quale primeggiava il poeta Robert Graves: non certo per i tennisti. A Mallorca, in un tempo non lontano, è nato però un bellissimo ragazzo, che in altri tempi sarebbe stato bagnino. […] Questo tipetto dal viso paffuto, non dissimile da Charlie Brown, ha avuto in sorte un braccio mancino col quale avrebbe potuto gestire irresistibili affondo, centrare un canestro da tre, mettere ko un peso massimo. Per la nostra fortuna di aficionados, ha trovato sul suo percorso una racchetta, e un campione come Moya, bisognoso di allenarsi. E tanto bene lo ha allenato, che alla prima occasione, ad Amburgo, ne è stato battuto. Rimaneva il dubbio che questo piccolo arrotino potesse smarrirsi, trasportato sui prati dalle native spiagge. Ma, con qualche ragionevole riluttanza nei riguardi della rete, il piccolo non solo allenta liftoni, ma, alla prima necessità, stacca la manina bruna dalla presa bimane, e perpetra taglietti avvelenati quasi fosse nato sulle rive del Tamigi. Di questo fenomeno ha raccontato un aneddoto interessante Cash al mio amico Cazzaniga: “Dovevo giocare una esibizione a Mallorca con Becker. Mezz’ora prima della partita, Boris si nega, per una bua. Giocherai con un ragazzino quattordicenne, l’unico tennista disponibile, mi dicono. Vado in campo preoccupato di fargli fare qualche game, perché magari non mi si metta a piangere. Perdo facile, in due set, e solo allora gli domando come si chiami: Rafael Nadal”» (Gianni Clerici nel 2003) • Grande rivalità con Roger Federer. «Chi è per lei Federer? “Roger Federer è uno dei più grandi uomini nella storia dello sport”. Certo, ma per lei? “Un altro compañeros. È stato il mio grande rivale; e questo ha giovato a entrambi, e un poco pure al tennis. Abbiamo diviso un tratto di vita. In alcune cose ci assomigliamo: teniamo alla tranquillità, alla famiglia. In altre siamo diversi”. In cosa? “Be’, lui è svizzero. Io sono latino. Abbiamo caratteri, culture, modi di vita differenti”. È vero che con Federer tutto è cambiato quando lui venne qui nella sua Accademia? “Non è cambiato nulla, perché i rapporti erano già buoni; altrimenti non sarebbe mai venuto. E io sono andato da lui in Svizzera e in Sud Africa, a giocare per la sua Fondazione”. E Djokovic? È vero che lei si è offeso quando imitava i suoi tic in campo? “Ma no! Io non mi offendo mai”. La gente si chiede il motivo del suo rituale: i due sorsi d’acqua da due bottigliette, le righe da non calpestare… Superstizione? “No. Non sono superstizioso; altrimenti cambierei rituale a ogni sconfitta. Non sono neanche schiavo della routine: la mia vita cambia di continuo, sempre in giro; e gareggiare è molto diverso dall’allenarsi. Quelli che lei chiama tic sono un modo di mettere ordine nella mia testa, per me che normalmente sono disordinatissimo. Sono la maniera per concentrarmi e zittire le voci di dentro. Per non ascoltare né la voce che mi dice che perderò, né quella, ancora più pericolosa, che mi dice che vincerò”. Ma quando negli spogliatoi indossa la bandana e grida “Vamos!” è lei a mettere paura agli avversari. “Io non grido negli spogliatoi! Faccio una doccia ghiacciata, ascolto la musica nelle cuffie e, sì, lego la bandana. Ma non mi sono mai permesso di intimidire un avversario” (Rafa Nadal) • «In 23 stagioni da professionista causa guai fisici è stato lontano dal tennis per 58 mesi, fanno quasi cinque anni. È sempre sopravvissuto, senza mai accettare il ruolo della vittima. Era in alto, è ripartito dal basso, numero 672 del mondo, da tennista qualunque lui che con 22 Slam proprio qualunque non è. Ha riallineato i suoi tic, i suoi tocchi, le sue nevrosi, i suoi asciugamani, e anche il suo tennis […] Piede, ginocchio, coscia, anca, spalle, schiena, addominali, gomito, mano, polso: non è un corso di anatomia, ma la lista dei suoi guai» (Emanuela Audisio nel gennaio 2024) • Grande passione per il golf, ha una sua squadra, la Rafa Nadal Academy.
Amori Sposato dal 2019 con María Francisca Perelló, alla quale è legato dal 2005. I due hanno un figlio, nato l’8 ottobre 2022 e chiamato a sua volta Rafael. «Il fuoriclasse aveva conosciuto la futura moglie, di due anni più giovane, ai tempi del liceo. I due, dopo vent’anni di fidanzamento, si sono sposati il 19 ottobre 2019 a Sa Fortaleza, un castello del XVII secolo nel borgo di Pollensa. Una cerimonia a cui avevano preso parte anche il re spagnolo Juan Carlos e la consorte Sofía. La coppia è stata sempre molto riservata sulla propria vita privata» (Corriere della Sera).
Religione Crede in Dio? “Non lo so, e non me lo chiedo. Per me l’importante è comportarsi bene, aiutare chi ne ha bisogno. Credo nelle brave persone. Se poi Dio esiste, sarà meraviglioso”. Come immagina l’aldilà? “Non lo immagino”» (ad Aldo Cazzullo).
Critica «Da anni vado scrivendo che Rafael Nadal è il più grande tennista e uno dei più grandi atleti di ogni tempo. Ora che questa personale opinione assume una dimensione oggettiva, forse è il caso di chiederci come possa questo immenso campione conciliare la correttezza assoluta con la mostruosa forza mentale, l’educazione che tutti gli riconoscono con la ferocia agonistica da dio incaico con cui ha demolito in semifinale un tennista italo-monegasco (Nadal è uno dei principali contribuenti del regno di Spagna). Altri campioni, come il grande Ibra, si alimentano dell’odio altrui, si caricano con il tifo avverso, cercano la rivalità. Anche Nadal ovviamente ha delle inimicizie. Una volta litigò con Berdych, ottimo tennista oggi dimenticato, che l’aveva battuto agli Open di Madrid e si era lamentato per il tifo del pubblico. Dopo quella partita, Rafa sconfisse Berdych per diciassette volte di fila. Quando gliel’ho fatto notare, ha risposto: “Ti assicuro che non coltivo inimicizie. Anzi, ho voluto recuperare il rapporto con Berdych, dovevamo anche giocare il doppio insieme. L’inimicizia "me cansa", mi stanca”. Questo non vuol dire che Nadal sia buono (anche se lo è); vuol dire che è totalmente concentrato sulla partita, sullo sport. Che vuole usare ogni energia del suo corpo e ogni scintilla della sua intelligenza per vincere. Per battere l’avversario, o per recuperare da un infortunio che pareva definitivo. Perché la debolezza, la fragilità, la sfortuna non possono essere rimosse o negate; possono essere trasformate in forza» (Aldo Cazzullo).