Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  luglio 05 Sabato calendario

Biografia di Alberto Stasi

Alberto Stasi, nato a Sesto San Giovanni (Milano) il 6 luglio 1983 (42 anni). Commercialista. Condannato in via definitiva (il 12 dicembre 2015) a 16 anni di reclusione per l’omicidio della fidanzata Chiara Poggi, avvenuto il 13 agosto 2007 a Garlasco (Pavia). «Nel dizionario non scritto dei grandi delitti italiani è “Alberto”. Per la fisiognomica spicciola che da sempre semplifica e racchiude nei contorni di un meme l’autore di un crimine efferato è il “biondino dagli occhi di ghiaccio”. Alberto Stasi, o anche il “bocconiano gelido”» (Paolo Berizzi). «Quante volte ho sentito dire “occhi di ghiaccio”: serviva a creare l’immagine del cattivo. Che vuol dire? E poi il ghiaccio fa venire in mente occhi azzurri, e invece guardi: i miei sono verdi…» (a Giusi Fasano) • «Papà Nicola è originario di Ruvo di Puglia (Bari). […] I parenti più vicini si occupano di auto come i cugini del Nord. Una zia, Rosa La Mura, li ricorda così: “Il nonno, Rocco, ha lavorato per anni in Africa, faceva il camionista, poi è morto e Nicola e il fratello Luigi si sono trasferiti vicino a Milano con la mamma”. In Lombardia Nicola, negli anni Settanta, conosce Elisabetta Ligabò, milanese di nascita, del 1956. Poi il matrimonio, la casa a Sesto San Giovanni, in via Gioberti, la nascita di Alberto. Dal 1982 al 1990 Nicola manda avanti la Autoricambi Segrate, nell’omonimo comune. In quegli anni la famiglia Stasi si trasferisce a Liscate (Milano), in via Don Bosco, in una palazzina senza pretese. […] Alberto studia a Milano, dai salesiani, raggiungendo sempre il massimo dei voti. Nel 1998 la svolta: Nicola apre una rivendita di autoaccessori sul corso principale di Garlasco, la Nuova Invernizzi srl. Il figlio si trasferisce al liceo scientifico di Mortara» (Giacomo Amadori). «Alberto era amante della compagnia e, approdato in piena adolescenza in un luogo dove non conosceva nessuno, aveva fretta di stringere nuove amicizie. Per un certo periodo fa l’animatore presso un locale di Garlasco, ed è lì che incrocia per la prima volta Chiara Poggi, anche lei animatrice. I due, però, ancora non sembrano essere attratti l’uno dall’altra. Passano gli anni, Alberto si inserisce a pieno titolo nel nuovo contesto sociale ed entra a far parte di una compagnia molto ampia composta da circa venti persone di varia estrazione sociale. Alcuni di questi amici, se li ritrova anche all’università, la Bocconi, dove si iscrive alla facoltà di Economia. È il 2003 – e lui ha 20 anni – quando a scuola guida, mentre sta cercando di ottenere la patente per la moto, incontra nuovamente Chiara, che, di anni, ne ha due in più e che sta prendendo la patente automobilistica. I due iniziano a parlare, scoprono di avere in comune gli studi in Economia, lei gli presta qualche libro. In poco tempo, si fidanzano. […] Dopo quattro anni di relazione, la coppia è ancora unita. Certo, le rispettive famiglie quasi non si conoscono, non si parla di andare a convivere, men che meno di matrimonio o figli. Dopotutto, Chiara, da poco laureatasi, è appena entrata nel mondo del lavoro, e Alberto, dal canto suo, sta terminando il percorso di studi e ha la testa piena di progetti. È un ragazzo ambizioso e determinato e nell’estate del 2007, a luglio, decide di passare un periodo a Londra per perfezionare l’inglese, che comunque già padroneggiava abbastanza bene. […] La fidanzata va a trovarlo poco prima del suo rientro, che avviene a inizio agosto. Il 7 di quel mese, infatti, una sua amica gli ha combinato un colloquio di lavoro presso la Price Waterhouse, una grande società di consulenza a Milano. Il colloquio va molto bene, gli assicurano che se fosse riuscito a laurearsi entro settembre sarebbe stato assunto. Peccato che a Londra non avesse praticamente fatto granché. In suo soccorso, per fortuna, viene Chiara, che lo accompagna in una corsa contro il tempo per scrivere la tesi. Il destino sembra andar loro incontro. Infatti, i genitori e il fratello di Chiara partiranno per le vacanze senza di lei. I due avranno l’occasione – per la prima volta in quattro anni – di assaporare ciò che significa una convivenza. Le cose, per Alberto, non andranno come previsto» (Gianluca Zanella). «Chiara Poggi, 26 anni, fu uccisa in casa sua, a Garlasco, la mattina del 13 agosto 2007. Qualcuno le sfondò la testa con un oggetto mai identificato e la buttò giù dalle scale che portano in taverna. Alberto Stasi, all’epoca 24 anni, era il suo fidanzato, e fu lui a trovarla e a finire per primo nella lista dei sospettati» (Fasano). «“Credo che abbiano ucciso una persona”, ma non è sicuro, “forse è viva”. Le 13.50 e 24 secondi di quella torrida mattina: la voce di “Alberto” rimbalza alla centrale del 118. Chiede un’ambulanza. La persona che forse hanno ucciso, o forse è viva, è Chiara, la fidanzata, in quei giorni è a casa sola. Un mese e mezzo dopo Stasi viene arrestato: quattro giorni dopo è già fuori, il gip lo scarcera per insufficienza di prove. Nello spazio stretto degli indizi, delle incongruenze, le indagini a suo carico non reggono» (Berizzi). «Immediata scarcerazione. Il flop delle indagini che inseguono presunte collezioni pedopornografiche sul pc (smentite dalle perizie), analisi informatiche che prima incastrano e poi scagionano Alberto Stasi, che quella mattina, mentre Chiara veniva uccisa, stava davvero lavorando alla tesi. Stasi godeva dell’antipatia lombrosiana per un ragazzo troppo serio per la sua età, troppo studioso, troppo gelido. La sentenza del gup di Vigevano Stefano Vitelli del dicembre 2009 smonta punto per punto le convinzioni della procura. Lo stesso fa il primo appello, mentre ancora si discute di bici, pedali smontati, orario della morte e arma del delitto. Ancora assolto. Nel 2013 la Cassazione riapre tutto. Nuovo giudizio d’appello e nuove perizie, anche sulla camminata. La procura mette in fila indizi e incongruenze. Il giudizio viene ribaltato: Stasi ha ucciso la fidanzata in un momento di rabbia improvvisa, poi ha simulato il ritrovamento del cadavere» (Cesare Giuzzi). «E qui arriva la prima condanna a sedici anni. Si torna in Cassazione. Il procuratore generale, cioè l’accusa, chiede un nuovo processo in quanto il verdetto non sta in piedi: mancano prove e perfino indizi, che devono basarsi su elementi di fatto e non su congetture, per quanto logiche. Tutti si aspettano che Stasi debba subire un nuovo giudizio. Invece – sorpresa – viene confermata la sentenza (passata in giudicato) che gli affibbia sedici anni di galera» (Vittorio Feltri). «All’epoca molti osservatori ribadirono una massima che ben conoscono gli avvocati italiani: “poca prova, poca pena”. Per significare che, nella prospettiva del difensore, il giudice non era pienamente convinto che il materiale probatorio dimostrasse davvero la colpevolezza dell’imputato, ma non ha avuto il coraggio di assolverlo, e lo ha condannato a una pena relativamente mite, almeno in relazione all’efferato delitto» (Claudio Romiti). «Manca il movente, manca l’arma del delitto, due buchi capitali in qualunque corte di giustizia. […] I punti forti dell’accusa sono questi: le scarpe di Stasi erano pulite, e questo non sarebbe stato possibile se avesse davvero camminato nella casa di via Pascoli dopo il delitto. Il pavimento infatti era un lago di sangue. Stasi disse poi che Chiara era pallida, e invece aveva la faccia coperta di sangue, dato che era rotolata per le scale a testa in giù. Infine nel sapone del bagno c’erano le tracce di due soli dna, quello di Chiara e quello di Stasi. “Dopo il delitto”, ha sostenuto l’accusa, “lui è andato a lavarsi le mani”. La difesa ha sempre controbattuto che le scarpe avrebbero benissimo potuto non sporcarsi e che anche se si fossero sporcate i frammenti di sangue secco si sarebbero potuti disperdere sulla via del ritorno. Quanto alla saponetta, Alberto avrebbe potuto benissimo lasciare le tracce del suo dna la sera prima» (Giorgio Dell’Arti). «Non si sa perché lo abbia fatto. In nove anni di indagini […] non è stato trovato un movente. Ma ai giudici della Cassazione, che […] hanno condannato definitivamente Alberto Stasi a 16 anni di carcere per l’uccisione della sua fidanzata, basta tutto il resto per dire che “ciascun indizio risulta integrarsi perfettamente con gli altri, come tessere di un mosaico che hanno contribuito a creare un quadro d’insieme convergente verso la colpevolezza di Alberto Stasi oltre ogni ragionevole dubbio”. […] In nove anni Alberto Stasi non ha mai cambiato versione: “Non sono stato io: un giorno dovranno credermi”. Parole pronunciate anche il 13 dicembre, quando accompagnato da sua madre si è presentato in carcere a Bollate» (Fabio Poletti). «Il carcere nel Milanese è uno dei più soft e sperimentali del circuito penitenziario italiano. Nel 2023, a 39 anni, Stasi inizia a lavorare all’esterno dopo il via libera del Tribunale di sorveglianza: deve 700 mila euro alla famiglia di Chiara Poggi, la gran parte li ha saldati, gli altri li tira su facendo il contabile in un’azienda a Milano. È un abitudinario, e non solo per gli obblighi restrittivi. Esce la mattina, prende il tram, va in ufficio, pranza con un panino e alle 19 è di nuovo in cella» (Berizzi). «Una lunga, tormentata storia giudiziaria, passata attraverso cinque gradi di giudizio, due assoluzioni prima della condanna, due richieste di revisione e un ricorso straordinario tutti respinti. L’ultimo capitolo si chiude con la decisione della Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha dichiarato “irricevibile” il ricorso presentato nel 2016 da Alberto Stasi contro l’Italia per lamentare la violazione dei suoi diritti. Fallito anche questo tentativo, Stasi ora può solo aspettare. […] Il fine pena nel 2030 potrebbe essere anticipato al 2028 per buona condotta con lo scomputo di 45 giorni di liberazione anticipata ogni 6 mesi» (Gabriele Moroni). L’11 aprile 2025 Stasi è stato ammesso al regime di semilibertà, confermato poi il 1° luglio successivo dalla Corte di cassazione respingendo il ricorso avanzato dalla Procura generale di Milano. «Il regime di semilibertà concesso dal Tribunale di sorveglianza gli consente di uscire la mattina dal carcere di Bollate, dove ha vissuto finora, e rientrare in serata, seguendo orari precisi. Può muoversi liberamente nella provincia di Milano, guidare (gli sono stati restituiti i documenti, tra cui la patente), frequentare bar, negozi, cinema, pranzare fuori dal luogo di lavoro. Non ha l’obbligo di frequentare comunità o svolgere attività di volontariato, ma deve comunque comunicare e concordare con i magistrati qualsiasi attività diversa da quelle abituali. Nel frattempo, Alberto Stasi continua ad andare a lavorare. […] Garlasco, per lui, è un capitolo chiuso. Quel paese della Lomellina, dove tutto è cominciato e dove ancora vive sua madre, è diventato per lui un luogo da evitare. “Non posso tornarci, nonostante mia madre viva ancora lì. La incontro dai parenti, l’ho fatto quando ho avuto i permessi. E poi, dico la verità, non ho nemmeno tutto questo interesse a tornarci. Un po’ per quello che è successo, un po’ perché la mia vita e i miei interessi sono ormai tra Milano e l’hinterland, dove cercherò casa quando potrò”. […] Il passo successivo nel percorso giudiziario sarà l’affidamento in prova ai servizi sociali, ma Stasi non sembra avere fretta. Sembra cercare, più che altro, il silenzio» (Monica Coviello) • Nel febbraio 2025 la Procura di Pavia ha aperto un nuovo fascicolo d’indagine a carico di Andrea Sempio, storico amico del fratello della vittima Marco Poggi, sospettato di «omicidio in concorso (con ignoti o con Alberto Stasi)». «È troppo presto per speculare su indagini ancora in fase poco più che embrionale. Già anni fa i sospetti si erano addensati sull’amico del fratello di Chiara, Andrea Sempio. Le indagini della Procura di Pavia, aperte sulla base di analisi della difesa su due tracce di dna maschile intorno alle unghie della vittima, lo avevano scagionato completamente. Troppo in fretta e con tesi poco provate, dicono oggi gli stessi magistrati pavesi. […] Se un giorno il “biondino dagli occhi di ghiaccio” sarà libero, allora se ne parlerà come di un nuovo Beniamino Zuncheddu, scagionato dopo 33 anni di carcere. Però Zuncheddu era uno sconosciuto pastore sardo, mentre Stasi è un volto riconosciuto, rimasto incredibilmente identico in questi 18 anni. Un volto con lo stigma del killer. Perché non essere più l’assassino è forse ancora più difficile dell’essere di nuovo libero» (Giuzzi) • Laureatosi alla Bocconi il 27 marzo 2008 con una tesi intitolata «Profili tecnici e normativi nella tassazione delle imprese d’assicurazione», Stasi «è diventato commercialista nel 2014, in corrispondenza con l’inizio del giudizio d’appello bis, studiando nello studio dei suoi avvocati, dove passava anche 15 ore al giorno. Naturalmente non gli è stato possibile iscriversi all’albo. In carcere si è iscritto a Giurisprudenza, ma ha mollato prima della laurea» (Zanella) • «Una volta uscito dal carcere vorrei mettere a frutto tutte le esperienze negative che ho vissuto. Sono strumenti che puoi mettere a disposizione degli altri, e io voglio fare questo» • «Quando gli hanno chiesto “Perché non ti sei mai pentito?” – il primo a far notare l’assoluta mancanza di ammissione di responsabilità è stato il legale dei Poggi, Gian Luigi Tizzoni –, Alberto ha risposto così: “Un innocente non si pente: persegue la propria innocenza, e aspetta”. Comunque la si voglia vedere, e al netto di una storia giudiziaria lunga diciotto anni, è dal 13 agosto 2007 che Stasi “aspetta”» (Berizzi) • «Io non aspiro a nient’altro che a un’esistenza normale».