9 luglio 2025
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Biografia di Lele Adani (Daniele A.)
Lele Adani (Daniele A.), nato a Correggio (Reggio Emilia) il 10 luglio 1974 (51 anni). Ex calciatore, di ruolo difensore. Commentatore televisivo. Ha vinto un campionato di Serie B con il Brescia (1996-1997) e una Coppa Italia con la Fiorentina (2000-2001). Ha giocato anche per la Fiorentina, l’Inter, il Cesena. Cinque presenze con la Nazionale. «Io sono un lupo e il lupo non va al circo come i leoni o le tigri. Il lupo non lo addomestichi».
Vita «Qual è il suo primo ricordo? “Spagna 1982, Italia-Brasile. Avevo otto anni. Papà e lo zio si abbracciavano ai gol di Paolo Rossi. Fu allora che compresi l’immensità del calcio. Il suo segreto”. Qual è il segreto? “Il legame tra quel che senti guardando i campioni, e quel che senti giocando per strada”. Lei ha iniziato nella Sammartinese. “E ho finito nella Sammartinese. Il più clamoroso dei salti all’indietro: dieci divisioni, dalla serie A alla seconda categoria. Avevo 34 anni, offerte dall’estero. Ma volevo tornare a casa”. Dove? “San Martino in Rio, Reggio Emilia. Famiglia contadina. Di sinistra: il mito era Berlinguer”. […] Cosa facevano i suoi genitori? “Papà Sante era artigiano, anzi artista: era più bravo a lavorare il legno di quanto non fossi io con il pallone. Mia madre Vanna, operaia, non c’è più da dieci anni. Anche se la sento sempre con me”. Dove la sente? “Nella brezza che spira qui al diciannovesimo piano, nel caffè che stiamo bevendo, nel mare all’orizzonte...” (Ad Aldo Cazzullo) • «Metà anni 80, spogliatoio dei Giovanissimi del Modena. Un compagno chiede all’altro cosa vuol fare da grande. Lui risponde “il calciatore”. L’amico lo incalza, disincantato: “Ma perché, tu credi davvero di riuscirci?”. E allora lei, Lele Adani, cosa gli ha risposto? “Non siamo forse qui per questo?”. Crederci sempre, fa la differenza? “Io non avevo piano B, davo tutto per giocare a calcio”. Era un sognatore? “Avevo un sogno, legato a quello che sentivo nel cuore. Ma ero anche molto pratico e sapevo che non mi sarebbe arrivato nulla per niente. Un atteggiamento verso la vita che ho ereditato da mio padre artigiano e da mia madre, operaia”. Tanti si chiedono se lei “ci è o ci fa”. I giovani sentono prima degli adulti che è “uno vero”? “Credo di sì e del resto io mi sento come loro, perché ero anch’io così, senza idoli o esempi. Mi approcciavo al calcio con tutta la purezza e la devozione verso quella magia. Loro sentono come tu tratti la materia e non puoi deluderli. Danno un gran valore all’attenzione che gli dai anche in uno scambio di battute per strada. E questo seguito va rispettato, è una grande responsabilità, che sento molto”. Ci sono momenti in cui la sente maggiormente? “Ricevo messaggi di ogni tipo: persone che parlano dei loro problemi, sul lavoro, in famiglia, di salute. O chiedono consigli, aiuto. È tutto profondamente umano e l’unico dispiacere è non riuscire a rispondere a tutti. Ma se posso interagisco sempre”. Com’era da ragazzo a San Martino in Rio? “Totalmente appassionato e curioso di tutto quello che avevo attorno. Non avrei mai accettato un no come risposta alla mia passione, piuttosto mi sarei ammazzato. Anche da giocatore chiedevo molte cose, con gran rispetto. E cercavo di ascoltare tanto: credo che questo nuovo mestiere di comunicatore nasca proprio dalla capacità di ascoltare”. Il territorio dove è nato che formazione le ha dato? “Siamo contadini della bassa reggiana, gente di sinistra che lavorava e credeva nei valori della politica di una volta, che mio padre vedeva in Berlinguer: ricordo quando apriva il frigo e diceva c’è “troppa roba”. Ogni cosa bisognava conquistarsela ed è una lezione che mi è rimasta dentro: ti devi meritare tutto”» (a Paolo Tomaselli) • «Oggi Adani è il più apprezzato commentatore di calcio in circolazione. Apprezzato da tecnici e giocatori, da giornalisti e colleghi. Apprezzato dai telespettatori. “Per uno che ama questo sport, la televisione è un punto di vista privilegiato. Preparandoti, lo vivi nella sua totalità. Segui la partita, il fatto agonistico, gli allenamenti, le abitudini dei calciatori, la tattica, la psicologia, il lavoro degli allenatori, le cose che dicono in conferenza stampa… C’è sempre qualcosa da approfondire, qualche talento da scoprire. Per questo dico che la curiosità è la prima dote. Il calcio non è fatto di verità assolute. L’unico suo dogma è non averne. Vale prima di tutto per me che pure ci sto dentro tutto il giorno. Anche se mi documento, se studio, non potendo essere tutta la settimana a bordo campo come un tecnico, mi mancherà sempre qualche informazione. E allora penso che devo andarci piano con i giudizi”. Più controtendenza di così… “Il nostro ruolo ci fa stare sopra una collinetta a guardare in basso dove fischiano le pallottole. Se ti controlli un attimo puoi essere più analitico, più rispettoso della complessità di uno sport di squadra fatto da ventidue giocatori e un’infinità di variabili”» (a Maurizio Caverzan) • «L’attaccante più forte con cui lei abbia mai giocato? “Ronaldo Luis Nazario da Lima: faceva cose che non si erano mai viste fare a nessuno. Poi Batistuta. L’ho incontrato qui l’altro giorno, in un parcheggio. Ci siamo abbracciati. Aveva le caviglie a pezzi. Ora sta meglio, ha ripreso a camminare. Il calcio è anche sofferenza” […] Lei aveva iniziato ad allenare. “Mancini mi chiese di fargli da vice all’Inter. Ma lavoravo già a Sky, e avevo dato la mia parola”. Perché con Sky è finita? “Non lo so. Non me l’hanno mai spiegato. Il rapporto prima si è raffreddato, poi si è interrotto”. Come nasce la sua passione per i calciatori sudamericani? “Ho sempre legato molto con loro. Lunghe serate in ritiro a parlare e a bere mate: Hernan “Valdanito” Crespo, El Pupi Zanetti, El Chino Recoba, Carlos “Colorado” Gamarra...”. […] Cosa diavolo è la garra charrua? “È l’artiglio degli indios. È la rabbia con cui i nativi si difesero dagli invasori. Non si capisce il calcio sudamericano se non si coglie quel senso di ribellione che viene da dentro, che non accetta un No come risposta. È una passione al bordo della follia”. La sua passione è l’Uruguay. “È una delle due grandi passioni della mia vita”. Non voglio sapere l’altra. “Invece gliela dico: Mohammed Alì. Sono andato a piangere sulla sua tomba”. […] Perché ce l’ha tanto con Allegri? “Non ce l’ho con Allegri. Per due volte ho interagito con lui, per due volte si è tolto l’auricolare e se n’è andato”. Cosa gli rimprovera? “Non si è evoluto. Lo farà, ne sono certo. Per ora, non mi piace come gioca e non mi piace come parla. Corto muso... Allegri non ha capito che il calcio contemporaneo deve dare emozioni”. Ma il mito del possesso palla è finito. “Il possesso è un mezzo, non un fine. Conta pressare, avanzare, calciare in porta”. Con Vieri vi siete inventati la Bobo tv. “È la cosa più rivoluzionaria. Mi sa che qualche suo collega giornalista la patisce un po’”. Cassano però non ne azzecca una. “Bugia. Antonio è un generoso. Siete voi che volete sempre ridurlo al trash. L’avete preso in giro quando disse che Julian Alvarez era meglio di Haaland; e adesso Alvarez è la sorpresa del Mondiale”» (a Cazzullo) • «Come si prepara? “Non ho un piano prestabilito, mi faccio trasportare in modo naturale da una partita, da un articolo, da uno spunto. Oggi ci sono tanti strumenti che ti consentono di rispettare il mestiere di comunicatore”. Legge anche altre cose, oltre a quelle legate al calcio? “Rimpiango di non aver studiato, perché non avevo passione. Ho una comunicazione da strada, non da scuola. Faccio con quello che ho, per rispettare il mio compito: avvicinare la gente al calcio”» (a Tomaselli) • Nel 2021 ha lasciato Sky Sport. Ed è passato in Rai (90° minuto, poi La domenica sportiva). «È finita male la storia tra Lele Adani e Sky Sport, un rapporto di collaborazione che andava avanti da nove anni con soddisfazione reciproca. La coppia Riccardo Trevisani e Lele Adani sembrava destinata a scalare i primi posti, a scalzare il duo Caressa-Bergomi e invece sono volate parole pesanti. Adani, riferendosi probabilmente a Federico Ferri, direttore responsabile di Sky Sport, ha parlato di valori e libertà non negoziabili. Non so cosa sia successo, è un episodio che dispiace, ma è anche un’occasione per riflettere sul ruolo della seconda voce (al di là della persona, che tutti descrivono come molto simpatica) che in questi ultimi anni è diventato preponderante. In generale, le seconde voci si dividono in due categorie: ex calciatori che sognano ancora di entrare nel giro come allenatori ed ex calciatori che hanno deciso di starne fuori. I primi fanno commenti insulsi, per non scontentare nessuno. […] Se vedo un film, se assisto a uno show, se leggo un libro troverei oltremodo fastidiosa la presenza di qualcuno che, dietro le spalle, spiega quello che sta succedendo. Magari alla fine (nell’intervallo, nel caso del calcio) è bello saperne qualcosa di più da un esperto, ma non durante il gioco. Le seconde voci sono gli ultimi semiologi in attività, sono la funzione veridittiva delle immagini, sono la eco del telecronista. È un ruolo tutto da ripensare, sine ira et studio. Senza animosità e pregiudizi» (Aldo Grasso) • «Quando firmai con la Rai, avevo l’accordo di fare la finale se l’Italia fosse uscita. Ci fu una stretta di mano. Poi al Mondiale la Nazionale non ci è andata. Sarebbe toccata a me ma Rimedio e Di Gennaro furono costretti a saltare la telecronaca della finale degli Europei nel 2021 (quella vinta dagli Azzurri di Mancini e Vialli, ndr) perché Alberto aveva il Covid. Nel frattempo c’era stato anche un cambio di direzione in Rai… avrei potuto far valere quell’accordo ma sono staAlessandro Cattelan) • È finita male anche con Christian Vieri e con la “Bobo Tv”, che avevano creato insieme a Antonio Cassano e Nicola Ventola. Nell’estate 2024 ha lancia un nuovo talk-show su Twitch e YouTube dal titolo Viva el Futbol, con Antonio Cassano e Nicola Ventola • «Per un outsider non dev’essere facile la convivenza in un team di opinionisti farcito di vincitori di Mondiali e Champions League. “Sono ben consapevole di essere in mezzo a calciatori blasonati. E ovviamente mi spiace non aver vinto quanto loro. Sono pieno di rispetto e ammirazione. Però poi, quando dobbiamo commentare le partite, quello che abbiamo fatto dieci o quindici anni fa è solo un piccolo bagaglio di esperienza per egli argomenti che sviluppiamo. Documentarsi, entrare nei contenuti, non è un compito per fuoriclasse e persone speciali, ma per persone normali. Pensare che chi ti ascolta si accontenta delle tue opinioni nate in base alle tue vittorie del passato è qualcosa di incompleto e anche un po’ presuntuoso. Se devi parlare del Bruges conta poco quante coppe hai vinto. Se devi commentare il Carpi di Castori e non sai quali sono i suoi schemi non ti basta avere la Champions in bacheca. A me piace fare il calcio che diventa show, non fare show parlando di calcio”» (a Caverzan).
Critica «Si è raccontato in una bella intervista a Sorrisi e Canzoni. Tra le varie cose dice che a volte guarda “anche due partite per volta, sulla tv e sul tablet”. Si può fare molto di più, Lele. Ma soprattutto rivela che la passione risale a molto tempo fa: “A scuola il lunedì mattina prima che arrivasse l’insegnante spiegavo ai miei compagni le partite del giorno prima”. Tecnicamente è bullismo, ma di quelli tollerabili» (Antonio Dipollina) • «Tutti contro Adani. Per il suo eccesso di partecipazione, per la sua esaltazione di Leo Messi, per i suoi inviti ad alzarsi in piedi alle giocate dell’albiceleste. Le sue frasi sono diventate ormai oggetto di studio e di scherno: “Il sinistro migliore del Mondo! Da Di Maria a Messi! Sempre Rosario, la città del calcio, dalla Bajada alla Perdriel, uno per l’altro! Si sblocca la partita!” […] La mia posizione è nota da tempo: i telecronisti sono fermi alle radiocronache (dopo circa 70 anni di tv) e le seconde voci dovrebbero intervenire solo nell’intervallo e nel dopo partita, a spiegarci quello che noi non sappiamo o capiamo. Lo predico da anni, inascoltato. Se vado a vedere una partita allo stadio, non ho bisogno della telecronaca. Se vado al cinema, se leggo un libro, se ammiro un paesaggio, mi darebbe molto fastidio una voce tautologica che mi dice cosa sto guardando. Detto questo, o chiudo l’audio della tv o provo a capire il “fenomeno Lele Adani”. Roberto Mancini lo voleva come suo secondo, quindi credo che le credenziali di competenza siano a posto. Vive la partita con passione e cerca di trasmettere questo sua infatuazione totale nei confronti del calcio, specie quello sudamericano. La passione a volte fa debordare, ma preferisco sempre un passionale agli altri commentatori che fanno il loro compitino, sempre sospeso tra banalità e noia» (Aldo Grasso) • «Nelle telecronache Adani interviene su tutte le palle. Comprese le mie» (Antonello Piroso).
Religione «Lei crede in Dio? “Certo. Non può finire tutto qui”» (a Cazzullo) • «È religioso? “Penso che la fede mi abbia migliorato come uomo. Per me Dio è amore e lo sento, come sento costantemente quello della mia povera mamma, in una canzone, nella brezza mattutina, in una tazza di tè. Lo riconosco ovunque ed è questa la mia forza in più. Non è un percorso di preghiera, ma di avvicinamento costante a Dio”» (a Tomaselli).