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 2025  luglio 15 Martedì calendario

Biografia di Margaret Smith

Margaret Smith, sposata Court, nata a Albury, nel New South Wales (Australia), il 16 luglio 1942 (83 anni) • Ex tennista (e, dal 1991, pastore pentecostale) • Attiva dal 1960 al 1977, iniziò a giocare quando si usavano ancora le racchette di legno • Ha vinto 24 titoli di Grande Slam in singolare (11 Australian Open, 5 Roland Garros, 3 Wimbledon, 5 Us Open) e 64 titoli complessivi • È la tennista ad aver vinto più titoli major di sempre – anche se solo 11 dopo il 1968, quando iniziò l’«era Open», cioè quando si esclusero i giocatori amatoriali dalle competizioni (dietro di lei Serena Williams, con 23 titoli in singolare. Nel 2017, quando Williams giocava ancora, Court disse: «Se batte il mio record, vuol dire che se lo è meritato. Ma non ci perdo il sonno» [a Clarey, NewYorkTimes]) • Di 1.287 match giocati, ne ha vinti 1.180.
Titoli di testa «Ho ancora negli occhi Margaret che si allenava nel salto del canguro, ginocchia flesse al petto, per dieci minuti, prima di scendere in campo. In qualsiasi specialità olimpica si sarebbe impadronita di una medaglia d’oro» [Clerici, 2016, venerdì].
Corpo Soprannominata «l’amazzone australiana» («the Aussie Amazon») per la sua eccezionale forma fisica • «Con tutto l’esercizio che facevo nella palestra di Frank Sedgman, prima che arrivassero ad allenarsi gli uomini – sollevamento pesi, corsa a circuito, sulle dune di sabbia, e altro –, sapevo che sarei diventata una delle giocatrici più in forma al mondo, perché potevo resistere più a lungo delle altre. Mi svegliavo alle 4 e mezza! Andavo a correre per strada e c’erano dei dobermann che mi venivano dietro. Stavo al freddo e all’umido. Sono cose che ti formano» [a Smith, SportTennis] • Come Serena Williams, è alta un metro e 75 centimetri • È mancina, ma ha sempre tenuto la racchetta con la mano destra perché a scuola, a quei tempi, forzavano i mancini a cambiare mano dominante • «Il fondamento del notevole successo di Court fu un mix avvincente di determinazione e di imponenti doti fisiche. Altezza, allungo (si diceva spesso che le braccia di Court fossero tre pollici più lunghe della media delle donne della sua taglia, il che le valse il soprannome “the Arm”, “il braccio”) e potenza furono sufficienti per battere la maggior parte delle avversarie. “Un animale superbamente atletico”, così ne parlò Gwilym Brown di Sports Illustrated, definendo Court “fisicamente pari a moltissimi uomini”» [Jackson, Guardian].
Vita «Vengo da una famiglia che non aveva niente» [a Steve Flink] • «Al parto sua madre rischiò di morire e Margaret nacque in condizioni di salute precarie. La famiglia viveva in una modesta casa con due camere da letto, fatta con pannelli di amianto» [Ross, ChristianToday] • «Iniziò a giocare da sola a 8 anni ad Albury, una città sul fiume Murray nel Nuovo Galles del Sud. Iniziò usando un paletto di recinzione per colpire le palle raccolte contro un garage […] poi prese a intrufolarsi nei campi locali con gli amici, entrando attraverso un buco nella recinzione. Il suo prodigioso talento fu infine riconosciuto, anche se scelse di giocare con la mano destra non dominante e non tornò mai a usare la sinistra. Si trasferì a Melbourne e a 17 anni vinse il suo primo titolo singolare australiano nel 1960, sconfiggendo a sorpresa Bueno, l’elegante brasiliana testa di serie numero 1, nei quarti di finale» [a Clarey, cit.] • Nel 1962 a Wimbledon fu eliminata al primo turno da Billie Jean King. Dopo la sconfitta telefonò a sua madre, che le disse: «Immagino che ora smetterai di giocare a tennis e tornerai a casa». Court rispose: «No, andrò in America e vincerò tutto» • «Probabilmente con Wimbledon sono partita con il piede sbagliato. Nei miei primi anni lì mi sono ritirata dalla squadra australiana e per questo sono stata in un certo senso marchiata dalla stampa inglese. Ero sui cartelloni pubblicitari e su tutti i giornali, dove si parlava molto male di me. Ho avuto molte difficoltà a Wimbledon. Non era il mio posto preferito in cui giocare. Preferivo gli Stati Uniti, l’Australia, persino il Roland Garros. All’epoca non avevi la famiglia o altre persone intorno a te come oggi, quindi è stato davvero brutto per me avere 18 anni ed essere additata in quel modo. Non conosco molte persone che sarebbero in grado di sopportare una cosa del genere oggi. Pensavano che fossi un ribelle per essermi ritirata dalla squadra australiana, ma è una cosa che feci per principio. Ricordo di essere andata lì come testa di serie nel 1962 e di aver perso contro Billie Jean al primo turno, quando lei era la numero due americana con un infortunio. Oggi non potrebbe succedere. Sono stata gettata tra i lupi che ero giovanissima» [a Flink, cit.]. L’anno seguente, nel 1963, vinse il torneo, prima australiana a riuscirci • Stanca di viaggiare e pensando di aver ormai vinto tutto, nel 1966 si trasferì stabilmente a Perth, smise di giocare e aprì un negozio di vestiti. Si fidanzò con Barry Court, figlio dell’allora primo ministro dell’Australia occidentale, che non sapeva nemmeno come si tengono i punti a tennis, e la cui madre, incontrando Margaret per la prima volta, disse: «Oh, interessante, ti chiami come la tennista». I due si sposarono nel 1967 e oggi stanno ancora insieme. Hanno avuto quattro figli, Daniel (1972, del quale Court era incinta durante la finale di Wimbledon del 1971, che perse contro Evonne Goolagong), Marika (1974), Teresa (1977) e Lisa (1983), e nove nipoti • «La gente dimentica che mi sono preso due anni di pausa. Mi sono ritirata per la prima volta, come Ash Barty, a 25 anni, pensando che non sarei mai più tornata al tennis. Mi sono sposata, ho avuto un bambino, ma poi ho avuto uno dei miei anni migliori, vincendo 24 tornei su 25 [nel 1973, ndc]» [a Brown, Telegraph] • Tornò a giocare nel 1968, «quando arrivò l’era Open. I suoi allenatori – come Frank Sedgman, Wally Rutter e Keith Rogers – vollero prepararla per il nuovo modo di giocare a tennis che stava arrivando. “Mi allenava Keith quando mi trasferii da Albury a Melbourne; era un campione di pugilato, ma era anche un buon tennista, di primo livello”, ricorda Court a Inside Sport. “Fu lui a lavorare con Frank Sedgman; Frank mi portò a Melbourne. Mi diceva: ‘Se vuoi andare in Francia e vincere il campionato francese, dovrai imparare a giocare sulla terra battuta’. All’epoca non avevamo campi in terra battuta come quelli francesi – ora ci sono ovunque anche qui in Australia –. Frank mi diceva: ‘Dovrai imparare a colpire la palla più di 100 volte di fila’. Se arrivavo a 92 e sbagliavo, mi faceva ricominciare da capo”» [a Smith, cit.] • Nel 1970 vinse tutti e quattro i titoli singolari del Grande Slam (Wimbledon, gli Australian Open, gli Us Open e il Roland Garros) nello stesso anno solare, prima donna nell’era Open a farcela e seconda nella storia dopo Maureen Connolly • Nel 1973 «accettò di affrontare il 55enne Bobby Riggs [che era stato un grande tennista ma che all’epoca aveva già 55 anni, ndc], autoproclamatosi “porco maschilista”, che la sbaragliò in tre set a Ramona, in California, a maggio […]. La sua sconfitta aprì la strada al match conosciuto poi come “battaglia dei sessi” [è stato girato un omonimo film qualche anno fa, ndc] tra Riggs e Billie Jean King, quattro mesi dopo all’Astrodome di Houston. “È stato un errore che ho fatto; mi sembrava un match facile da vincere”, disse Court riferendosi al suo incontro con Riggs, che a suo dire perse perché non si era preparata con sufficiente serietà e perciò, una volta in campo, si bloccò. King, sua rivale di lunga data, non commise lo stesso errore, e sconfisse Riggs di fronte a 90 milioni di persone che seguirono il match in televisione» [a Clarey, cit.] • Nel 1977, a 35 anni, si ritirò dal tennis professionistico – «probabilmente se non avessi avuto il mio secondo figlio quando l’ho avuto, avrei potuto giocare più a lungo. Ma con un secondo figlio, diventa difficile» [a Flink, cit.] – si dedicò a crescere i figli e ai lavori in fattoria. Ma cadde in depressione. Cresciuta cattolica, nei primi anni 80 si avvicinò alla chiesa pentecostale. «Sono state le Scritture a cambiarmi la vita. È stato come se i pezzi di una nave naufragata fossero stati rimessi insieme, come se avessi scoperto che la vita valeva davvero la pena di essere vissuta. Vorrei solo aver saputo alcune delle cose che so ora sulla mente quando giocavo. Qualche finale in cui ero a terra, non l’avrei mollata. Ne avrei vinte altre» [a Clarey, cit.] • Nel 1991 venne ordinata pastore, e nel 1995 fondò la chiesa cristiana pentecostale Victory Life Center a Perth, dove è pastore tutt’oggi, e attraverso la quale gestisce tre centri di distribuzione di cibo ai poveri • La chiesa ha una pagina Instagram con poco meno di duemila follower, con alcuni video dove Court – capelli a caschetto, spesso con rossetto rosso e filo di perle – commenta il vangelo • «Oggi insegno a molti giovani e utilizzo esempi tratti dal tennis per spiegare cosa sono la disciplina, l’impegno e la concentrazione» [a Brown, cit.] • Nel 2012 si oppose pubblicamente alla legalizzazione del matrimonio tra persone dello stesso sesso in Australia e nel 2017 dichiarò che avrebbe boicottato la compagnia aerea nazionale Qantas per il suo sostegno alla causa • Altre affermazioni controverse: durante il regime dell’apartheid in Sudafrica disse «amo il Sudafrica. La loro situazione razziale è organizzata meglio che in ogni altro paese»; a proposito di bambini transgender e Lgbtq+ disse che «è tutta opera del diavolo»; sull’ex tennista Martina Navratilova, apertamente lesbica, che è «una grande giocatrice, ma vorrei qualcuno al vertice che i giovani possano ammirare. È molto triste che i bambini siano esposti all’omosessualità. Martina è una brava persona. La sua vita è semplicemente andata a rotoli» • Nel 2003 le venne intitolato un campo del complesso dove si giocano gli Australian Open, a Melbourne, ribattezzato Margaret Court Arena. Nel 2020 i tennisti Martina Navratilova e John McEnroe protestarono per chiedere che la dedica fosse revocata a causa delle posizioni di Court sui matrimoni tra persone omosessuali. «La protesta è avvenuta dopo una partita amichevole di doppio misto a cui i due avevano partecipato nel corso degli Australian Open, che quest’anno si giocano dal 14 gennaio al 2 febbraio. Navratilova, che ha 63 anni ed è lesbica, è salita sulla sedia dell’arbitro vuota e, quando la diretta tv era finita, ha spiegato al pubblico l’opinione sua e di McEnroe, 60 anni, contraria al fatto che il campo da tennis più prestigioso del complesso fosse dedicato a una persona omofoba, suggerendo che portasse invece il nome di Evonne Goolagong Cawley, un’altra importante tennista australiana degli anni Settanta e Ottanta, che vinse 14 titoli del Grand Slam, di cui 7 in singolare (Court ne ha vinti 64, più di qualsiasi altro tennista, di cui 24 in singolare). Gli organizzatori del torneo le hanno spento il microfono e allora Navratilova e McEnroe hanno srotolato un cartellone con scritto “Evonne Goolagong Arena” e lo hanno mostrato in il campo. Gli organizzatori li hanno ammoniti per aver infranto le regole di sicurezza del torneo» [Post] • Nel 2022 disse: «Quest’anno ero a Wimbledon e nessuno mi ha rivolto la parola. È molto triste, perché oggi molta stampa e televisione, soprattutto nel tennis, non vogliono nemmeno pronunciare il mio nome. Lo fanno solo quando sono costretti a farlo, perché detengo ancora tantissimi record. Nel 2020, sarei dovuta venire a Wimbledon per il 50esimo anniversario del mio Grande Slam. Ma poi è arrivato il Covid, quindi l’onore non mi è stato concesso. L’Open di Francia non mi ha invitata, né l’Open degli Stati Uniti. […] Credo temano che mi metta a predicare il Vangelo o qualcosa del genere. Ma a me piace semplicemente aiutare i giovani. Ho aiutato persone a superare la depressione, ho aiutato a ricostruire vite spezzate. Ci sono molte persone nello sport che hanno bisogno di aiuto. Ma nello sport, è come se avessero paura che qualcuno sia cristiano. Che tristezza» [a Brown, cit.] • Del tennis di oggi ha detto: «Gli uomini mi divertono. Le donne non così tanto, perché è un continuo su e giù dal centro. Lo trovo noioso» [a Clarey, cit.], e «mi sarebbe piaciuto giocare oggi, penso sia molto più facile. Mi sarebbe piaciuto portare con me la famiglia o gli amici. Ai miei tempi non potevo, dovevo andare da sola o con la nazionale. La gente non ci pensa. Da dilettanti, dovevamo giocare ogni settimana, perché non avevamo soldi. […] Stavamo via per dieci mesi. Ecco perché mi sono ritirata nel 1965, perché avevo nostalgia di casa. Magari eri in mezzo a tanta gente, ma non era come essere con la tua famiglia. Non avevamo psicologi o allenatori con noi. Oggi è un mondo completamente diverso» [a Brown, cit.].
Titoli di coda «Ai miei tempi, se non avevi le idee chiare, perdevi» [a Smith, cit.].