22 luglio 2025
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Biografia di Sergio Mattarella
Sergio Mattarella, nato a Palermo il 23 luglio 1941 (84 anni). Politico. Giurista. Presidente della Repubblica Italiana (dal 3 febbraio 2015). Già giudice della Corte costituzionale (2011-2015). Già ministro della Difesa (1999-2001), vicepresidente del Consiglio dei ministri (1998-1999) e ministro della Pubblica istruzione (1989-1990) e per i Rapporti con il Parlamento (1987-1989). Ex deputato (1983-2008: Democrazia cristiana, Partito popolare italiano, Margherita, Partito democratico). «La mitezza della politica non significa debolezza: è propria di chi è convinto della forza delle proprie opinioni, non teme di confrontarle con quelle degli altri, non pretende di imporgliele» • Quarto e ultimo figlio di Bernardo Mattarella (1905-1971), potente e discusso esponente siciliano della Democrazia cristiana, deputato (prima dell’Assemblea costituente e poi della Camera, dal 1946 fino alla morte) e più volte ministro tra il 1953 e il 1966; tra i suoi fratelli maggiori, Piersanti Mattarella (1935-1980), anch’egli democristiano, ucciso dalla mafia mentre rivestiva la carica di presidente della Regione Siciliana (1978-1980) • «Mio padre era antifascista. Diciannovenne, nell’anno del delitto Matteotti, aveva fondato nel suo comune la sezione del Partito popolare di Sturzo; e aveva subìto percosse e olio di ricino. […] Faceva parte dei primi governi del Cln mentre il Nord Italia veniva via via liberato dagli Alleati e dai partigiani. Sono cresciuto nel culto delle figure di don Minzoni, Giacomo Matteotti, don Morosini, Teresio Olivelli» (a Ezio Mauro). «Suo padre Bernardo […] ospitava nella sua casa i big della Dc. […] A Roma, poi, i fratelli Piersanti e Sergio […] giocavano con i figli di De Gasperi e con quelli di Moro, e qualche volta il padre invitava a cena un monsignore che avrebbe fatto strada: Giovanni Battista Montini, il futuro Paolo VI» (Sebastiano Messina). «Da piccolo volevo fare il medico, poi ho cambiato idea». «Studiano a Roma, nel collegio di San Leone Magno. Il fratello Piersanti è uno dei giovani dirigenti dell’Azione cattolica negli anni Cinquanta, Sergio è un ventenne che negli anni del Concilio, il rinnovamento della Chiesa, è responsabile degli studenti cattolici del Lazio con l’assistente don Filippo Gentiloni (futura firma del Manifesto per le questioni religiose e zio di Paolo)» (Marco Damilano). «La mia formazione si richiama a quel filone che potrebbe essere definito montiniano. Umanesimo integrale di Jacques Maritain è il testo che tuttora ritengo mi abbia maggiormente influenzato rispetto al senso della vita e della responsabilità personale» (a Marzio Breda). «Piersanti, il maggiore, […] era stato l’erede designato della tradizione politica paterna. Mentre Sergio aveva scelto gli studi e l’università, dov’era andato in cattedra presto come costituzionalista. Per molti anni i due fratelli, che avevano sposato due sorelle, Irma e Marisa, […] figlie del grande romanista Lauro Chiazzese, si erano dedicati a difendere nelle aule di giustizia l’onore del padre dalle accuse, mai dimostrate, di legami con la mafia» (Marcello Sorgi). «Ha vissuto in Sicilia fino alle elementari e c’è tornato solo dopo l’università, come professore di Diritto parlamentare alla facoltà di Giurisprudenza, in quell’Istituto di diritto pubblico diretto da Pietro Virga […] dove alla fine degli anni Settanta insegnavano anche Leoluca Orlando, Vito Riggio e Sergio D’Antoni. […] Vito Riggio […] negli anni Settanta lo convinse ad accettare la sua prima candidatura: presidente dell’Opera universitaria» (Messina). Parallelamente stava decollando la carriera politica del fratello. «Nel 1979, benché fosse ormai maturo il suo debutto in Parlamento, Benigno Zaccagnini […] lo aveva convinto a restare in Sicilia, puntare alla presidenza della Regione e fare una bella opera di pulizia nell’amministrazione, infestata di legami clientelari e criminali. La risposta della mafia, il 6 gennaio del 1980, furono le raffiche di mitra che fermarono per sempre il guerriero di casa Mattarella. Piersanti era stato ammazzato davanti al portone di casa sua» (Sorgi). «Palermitani fermi sul marciapiede, e lui, Sergio, che scende, avvertito dal nipote. Il killer è appena fuggito. Sergio apre lo sportello dell’auto e soccorre Piersanti. L’ambulanza non arriva, partono verso l’ospedale a bordo di una volante: i due agenti davanti, dietro Sergio tiene sulle gambe suo fratello; che – dopo poco – gli muore tra le braccia» (Fabrizio Roncone). «Quel giorno […] gli amici di Piersanti riorganizzano il loro impegno politico in nome del leader assassinato: Leoluca Orlando si presenterà alle Comunali, Rino La Placa diverrà consigliere nazionale della Dc. Sergio in un primo momento è restio a un impegno diretto: troppo forte lo shock per la morte del fratello, c’è il pudore per l’ipotesi della raccolta di un testimone. “Dovemmo lavorare molto per persuaderlo”, racconta La Placa. Che ricorda anche il primo impegno politico, il meno conosciuto, di Sergio Mattarella: “Ottenemmo per lui un ruolo all’interno della commissione nazionale della Dc che si occupava della P2. Subito Sergio si distinse per le doti di equilibrio e lucidità”. Lo sbarco in Parlamento arriverà nel 1983» (Emanuele Lauria). «Il giro di Mattarella è quello dei “basisti”, variante della Dc di sinistra (l’altra era morotea), il più noto dei quali è l’irpino, Ciriaco De Mita» (Giancarlo Perna). «De Mita – diventato segretario – scelse proprio lui come plenipotenziario del partito in Sicilia. La missione era chiara: doveva bonificare la Dc di Lima e Ciancimino. La mossa di Mattarella arrivò quando si trattò di scegliere il nuovo sindaco di Palermo. Lui scelse, e riuscì a far eleggere, un giovane professore che era stato tra i consiglieri del fratello: Leoluca Orlando» (Messina). «Ce l’avrà per sempre sulla coscienza. Leoluca era ancora un placido Dc, ma la promozione gli dette al cervello. Divenne un compulsivo antimafioso e il prototipo di chi su questo imbastisce la carriera, finendo per accusare di connivenza perfino Giovanni Falcone» (Perna). «Poi De Mita, quando arrivò a Palazzo Chigi, lo richiamò a Roma. Ministro dei Rapporti col Parlamento. Andreotti lo nominò alla Pubblica istruzione. […] La sera del 26 luglio 1990 […] si dimise da ministro della Pubblica istruzione perché Andreotti aveva posto la fiducia sulla legge Mammì, quella che sanava definitivamente le tre reti televisive del Cavaliere. Si dimisero in cinque (c’erano anche Martinazzoli, Fracanzani, Misasi e Mannino), ma fu lui a spiegare quel gesto di rottura senza precedenti: […] “Riteniamo che porre la fiducia per violare una direttiva comunitaria sia, in linea di principio, inammissibile”» (Messina). «Andreotti per tutta risposta in sole ventiquattr’ore nominò cinque nuovi ministri, scegliendoli in parte dalla stessa corrente, e la legge Mammì fu approvata» (Sorgi). «Mattarella tornò a fare il deputato. Ripensarono a lui quando si trattò di riscrivere la legge elettorale per adeguarla all’esito del referendum di Mario Segni. Così nacque quell’incastro tra collegi uninominali e quote proporzionali che fu poi battezzato da Giovanni Sartori con il nome del suo autore: Mattarellum» (Messina). «Prevedeva il 75 per cento di eletti nei collegi uninominali e il 25 per cento di eletti nelle liste bloccate scelti dai partiti. “Lui si occupò soprattutto della seconda parte”, malignano ancora oggi. Ma il futuro presidente ha sempre difeso il suo lavoro: “Quella legge ha prodotto un bipolarismo solido”» (Damilano). «Col Mattarellum si votò tre volte, nel 1994, 1996 e 2001, con vittorie ripartite tra destra (due) e sinistra. Messo alla prova, il sistema se la cavò» (Perna). «Lui fu uno dei pochi che sopravvissero alla Prima Repubblica, perché l’unica macchia che erano riusciti a trovargli era una vecchia storia di buoni benzina regalatigli da un costruttore siciliano (assoluzione piena, “il fatto non sussiste”)» (Messina). Nel 1994 «Sergio Mattarella una volta perse la calma. Sarà stato il 20 di giugno, in un sotterraneo dell’hotel Ergife. […] Il Partito popolare erede della vecchia Dc rifletteva sulla peggiore sconfitta della sua storia. […] Il fondatore, Martinazzoli, s’era dimesso. Tra risentimenti e divisioni interne, era arrivato inaspettatamente a succedergli il professor Rocco Buttiglione, teorico di una inevitabile svolta a destra del partito che aveva nel suo dna il “centro che guarda a sinistra”. Tensione, proteste, inutili discussioni regolamentari, […] e però i numeri sono numeri e Buttiglione ce la fa. A quel punto, un pezzo di sinistra Dc, che fino a quel momento aveva governato il partito, si alza e se ne va. Escono gridando, sotto gli occhi increduli di chi rimane, “Fascisti, fascisti, fascisti!”. A guidare il piccolo corteo dei resistenti ci sono Rosy Bindi e Mattarella» (Sorgi). «Mattarella fu […] anche uno dei sottoscrittori della candidatura a premier di Romano Prodi, schierando il partito con il centro-sinistra. Poi vennero l’Ulivo, la Margherita e infine il Partito democratico, del quale Mattarella scrisse (con Pietro Scoppola e altri quattro) il manifesto fondativo» (Messina). «Quando, ai tempi della Bicamerale, lo avevano visto uscire dalla casa di Gianni Letta, dove aveva cenato con Berlusconi e Fini, così Mattarella si giustificò con l’allora cronista de l’Unità Rosanna Lampugnani: “Davvero credete che nel 1947 non ci fossero cene e incontri riservati? L’articolo 7, per esempio. Pensate che si sarebbe potuto scrivere senza contatti riservati tra Togliatti, De Gasperi e il Vaticano?”» (Francesco Merlo). «Non fu Prodi […] a farlo tornare al governo, ma Massimo D’Alema. A Mattarella toccava la guida del gruppo dei ministri del Ppi, e dunque la vicepresidenza del Consiglio. Poi arrivò anche il ministero: la Difesa. E lui realizzò l’impresa che non era riuscita a nessuno dei suoi predecessori: l’abolizione della naja, il servizio militare obbligatorio. Restò anche con il governo Amato, poi lasciò il governo e, nel 2008, anche il Parlamento. Che però si è ricordato di lui quando […] bisognava trovare il nome di un giudice costituzionale che avesse un ampio consenso. E lui fu eletto. […] Era il 5 ottobre 2011» (Messina). Accidentata apparve in un primo momento la strada per il Quirinale, a inizio 2015: dapprima escluso da Silvio Berlusconi per via dell’insofferenza più volte tradita nei suoi confronti, il suo nome fu infine imposto dal presidente del Consiglio Matteo Renzi, che finì così per provocare la fatale rottura del cosiddetto Patto del Nazareno (tra Partito democratico e Forza Italia): il 31 gennaio 2015 Sergio Mattarella fu quindi eletto presidente della Repubblica, con 665 voti (su 995 votanti). «Il pomeriggio stesso dopo l’elezione Mattarella si recò a rendere omaggio alle Fosse Ardeatine, indicando già, nel presidio della memoria condivisa, un filone chiave della sua lunga presidenza. Non a caso, poi, nel gennaio 2018 deciderà di nominare Liliana Segre, sopravvissuta alla Shoah, senatrice a vita, unica e sola del decennio. […] Nel discorso di insediamento si presenta come l’“arbitro” imparziale. Ma, dice rivolto ai parlamentari che l’ascoltano: “I giocatori lo aiutino con la loro correttezza”. La sua fermezza mite, sempre in difesa della Carta e dell’unità del Paese, […] comporta “leale collaborazione” con le altre istituzioni, ma non complicità. E vale anche per il suo kingmaker, che pochi mesi dopo “inciampa” nel referendum confermativo alla sua riforma, avendo promesso di lasciare in caso di esito negativo. Mattarella ottiene da Renzi di congelare le sue dimissioni, per non compromettere l’approvazione della legge di bilancio. A quel punto però lui chiede lo scioglimento delle Camere, ma non l’ottiene: Mattarella incarica il suo ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni. Nel prosieguo di legislatura l’astro di Renzi si consumerà definitivamente, e ne risentiranno a lungo i suoi rapporti con l’inquilino del Quirinale. […] Con i 5 stelle partito di maggioranza relativa e con un Parlamento a maggioranza “euroscettica”, in omaggio al suo ruolo di garante Mattarella nel 2018 realizzerà l’atto più incisivo del decennio nel respingere l’indicazione di Paolo Savona all’Economia, che aveva dato alle stampe un libro in cui veniva considerata l’ipotesi di uscire dall’euro. Il giorno più lungo sul Colle è il 31 maggio 2018, quando Carlo Cottarelli, il tecnico chiamato dopo la rinuncia di Conte, rinuncia a sua volta perché “l’avvocato del popolo” torna improvvisamente in pista. Ok a Savona ministro, ma spostato agli Affari europei, mentre il leader M5s Luigi Di Maio ritira la sua estemporanea proposta di impeachment. Mattarella sarà di nuovo decisivo dopo la cosiddetta “crisi del Papeete” aperta da Matteo Salvini in pieno agosto, nel 2019, convinto – come Renzi – di ottenere il voto anticipato: invece a settembre nascerà il governo giallo-rosso, con Conte ancora alla guida. Ma dovrà affrontare una sfida mai vista prima» (Angelo Picariello). «Nel febbraio 2020 irrompe il Covid. Col Paese chiuso in casa Mattarella diventa un punto di riferimento per molti. La sua popolarità esplode dopo il famoso fuorionda “Eh, Giovanni, non vado dal barbiere nemmeno io”. Il 25 aprile si reca da solo all’Altare della Patria per celebrare comunque la Festa della Liberazione. L’immagine fa il giro del mondo» (Concetto Vecchio). «Renzi a fine anno capeggia la fronda contro Conte, e si gioca la carta Mario Draghi. Tocca però ancora a Mattarella mettere insieme una coalizione amplissima a sostegno del salvatore dell’euro richiamato in servizio dal suo Paese» (Picariello). L’11 luglio 2021 «l’Italia di Roberto Mancini vince, contro ogni pronostico, gli Europei di calcio scatenando nel Paese un’euforia scaccia-Covid. Mattarella vola a Londra per la finale, e al primo gol non trattiene la sua esultanza alla Pertini» (Vecchio). Il 29 gennaio 2022, nonostante avesse più volte dichiarato di non desiderare un secondo mandato, a fronte di una situazione complessa ma – a differenza di quella che nel 2013 aveva indotto Giorgio Napolitano ad accettare eccezionalmente la rielezione – non drammatica né priva di alternative, Mattarella accolse con favore l’appello della maggior parte dei parlamentari e dei delegati regionali, e fu quindi rieletto, all’ottavo scrutinio, con 759 voti (su 983 votanti). «Da Mattarella poche parole: le sue “prospettive personali” erano altre, ma l’emergenza sanitaria, economica, sociale, la volontà del Parlamento, il senso di responsabilità impongono di “non sottrarsi ai doveri cui si è chiamati”» (Aldo Cazzullo). Conquistato il 6 ottobre 2023 il primato della più longeva presidenza della Repubblica (precedentemente detenuto da Napolitano, con 3.166 giorni), nel gennaio 2025 Mattarella ha raggiunto i dieci anni di permanenza in carica. «Mattarella si è fatto sentire in maniera pedagogica. Ha spiegato, ha chiarito, facendosi scudo della Costituzione (anche per tutelare le sue prerogative) ed esortando i cittadini a coltivare il “patriottismo repubblicano”, che unisce e non divide. […] Da atlantista convinto ha difeso le nostre storiche alleanze, e in questo Giorgia Meloni sembra condividere con lui l’idea di un futuro meno avventurista di quanto si pensa. E ha tutelato l’onore del Paese all’estero, e soprattutto in Europa (si pensi ai ripetuti strappi da lui ricuciti con la Francia), dove è considerato un’autorità morale» (Breda) • Vedovo (dal 2012) di Marisa Chiazzese, tre figli: Laura, che lo assiste in qualità di supplente consorte del presidente della Repubblica, Francesco e Bernardo Giorgio. «La famiglia, per Mattarella, forse viene prima della politica. Ha fatto da padre ai figli di Piersanti (Bernardo e Maria) e trova sempre il tempo per giocare con i […] nipotini che gli hanno dato i suoi tre figli» (Messina) • «È cattolico: un cattolico laico, democristiano, alla De Gasperi, non un baciapile» (Sorgi) • «Non sa nuotare, una volta – quand’era direttore del Popolo – accettò di giocare con i suoi redattori a Risiko, è un buon intenditore di calcio e tifa Palermo (con una debolezza, sembra, per l’Inter)» (Roncone) • «Renzi è per lui quell’alieno che un giorno di gennaio lo ha candidato al Quirinale, sorprendendolo: “Io davvero, Renzi, non l’avevo mai incontrato in vita mia”» (Salvatore Merlo) • «“Se c’è da alzare la voce, la alza, tenendola bassa”, com’è stato scritto con un efficace ossimoro» (Breda). «È un uomo mite fino quasi ad apparire fragile: ma non bisogna farsi imbrogliare dalla timidezza. […] Un gesto, di solito, avverte che sta per perdere la pazienza: quando si porta le mani agli occhialini e cerca di aggiustarseli sul naso. Ma capita di rado. […] È, forse, l’ultimo moroteo» (Roncone). «Un uomo molto sorvegliato, che parla poco, ma, quando è tranquillo, se parla è parecchio spiritoso. Tanto conciso quanto tagliente» (Filippo Ceccarelli) • «In confronto a lui, Arnaldo Forlani è un movimentista» (Ciriaco De Mita). «Un monaco» (Silvio Berlusconi) • «Però, come tutti, anche Mattarella è stato giovane, e non sempre misurato fino all’ascetismo. […] È […] stato ricordato lo scandalo che suscitò in lui, obbligandolo al grido di dolore, un tour di Madonna arrivato in Italia nel 1990, il Blond Ambition Tour: Mattarella era ministro dell’Istruzione e gli corse l’obbligo di dichiarare “eretico” lo spettacolo della popstar, […] “miss Luisa Veronica Ciccone, colpevole di usare e abusare in scena di simboli ed emblemi religiosi”. […] Altre volte disse a Berlusconi tutto quello che pensava di lui» (Mattia Feltri). «Il suo anti-berlusconismo non è politico. […] È un anti-berlusconismo etico» (Damilano) • «Un vecchio democristiano di sinistra, quanto di più illiberale abbiano prodotto, da noi, la cultura politica egemone e il sistema politico. […] Egli è anche tipicamente un uomo di quello stesso establishment conservatore che è solito cambiare qualcosa affinché nulla cambi» (Piero Ostellino) • «Un partito, un politico nelle istituzioni si deve sentire ospite, anche se protagonista».