23 luglio 2025
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Biografia di Peppe Barra (Giuseppe B.)
Peppe Barra (Giuseppe B.), nato a Roma il 24 luglio 1944 (81 anni). Attore (decine di produzioni teatrali, numerosi ruoli minori per il cinema e la televisione). Cantante (26 album, di cui 12 da solista).
Titoli di testa «Il teatro va preso come la vita e la vita non va presa seriamente, va vissuta» [Miriam Bella, ilvescovado.it].
Vita «La radice più grande, più forte di Peppe Barra è quella della madre Concetta Barra. La radice di Concetta era saldamente intrecciata a quelle delle sue sorelle Nella e Maria. Certo oggi nessuno le ricorda più, ma le sorelle di Concetta hanno contribuito a far nascere il suo mito. Alla fine degli anni Trenta le tre sorelle fondarono il Trio Vittoria» [Giorgio Di Dio, ilprocidano.it] • «Figlie di Antonino Grasso, guardia carceraria siciliana e di Michela Di Giovanni, nacquero a Procida. La madre cantava nel coro dell’Abbazia di San Michele Arcangelo. (…) La loro bella voce, la voglia di cantare, la loro insofferenza a stare in casa, le spinsero a iniziare un’avventura. Fittarono una barca a Mergellina e se ne andavano per mare e cantavano. Pian piano il pubblico di barche aumentò e cominciarono ad avere successo. Con il successo si scelsero anche un nome e, visto che già c’era il Trio Lescano, da cui presero molto, decisero di chiamarsi Trio Vittoria» [ibid.] • Durante la guerra le sorelle si esibivano in spettacoli di rivista per i militari, in Italia e in Grecia, dove rischiarono di morire in un attentato dinamitardo [A Monica D’Onofrio, La vita che mi diedi] • «Il Trio si spezzò quando Concetta incontrò a Roma di Giulio Barra, attore e fantasista, e se ne innamorò. Si sposarono senza mai dimenticare il loro amore per l’arte e diedero vita al duo Barra» [ibid.] • «Mio padre era un fantasista, cioè un personaggio che in palcoscenico faceva un po’ di tutto: il presentatore, il giocoliere, il prestigiatore, il macchiettista... una sorta di jolly della situazione» [Emilia Costantini, Cds] • Barra stava per nascere sul palcoscenico del Teatro Valle, dove quella sera stavano recitando i genitori: «A mamma vennero le doglie e la trasportarono subito nella pensioncina dove erano ospitati. Sono orgoglioso di essere nato nella Capitale, pure essendo napoletano. All’epoca era una Roma città brutalizzata dalla guerra. Per Concetta e Giulio fu difficile andare avanti col loro lavoro» [ibid.] • Successivamente arrivarono altri due figli, Gabriele e Antonio • «Mi ha cresciuto nonna Michela perché i miei genitori recitavano e non avevano tempo di seguirmi. I primi anni vivevamo a Roma, in una pensione in piazza dei Crociferi. Ricordo chiaramente il riverbero azzurrino dell’acqua della Fontana di Trevi che si rifletteva sul soffitto della stanza e sui papaveri rossi della tappezzeria» [Marino Niola, Rep] • Qual è il tuo primo ricordo da bambino? «Eravamo nel dopoguerra, avrò avuto tre anni e avevo fame. Mamma e papà non lavoravano in teatro, c’era poco da andare a teatro in quel periodo e mi avevano lasciato solo a casa. Poi mio padre tornò con una baguette ed un melone, mai mangiato più di buon gusto» [Federico Valcalebre, Il Mattino] • «Il mio debutto l’ho fatto nel 1947, avevo tre anni. Papà e mamma facevano uno spettacolo per la Croce Rossa americana. Il pubblico era fatto soprattutto di soldati feriti, italiani e americani (…) l’orchestra di Armando Trovajoli attaccò un boogie woogie (…) dopo qualche nota mi precipitai in scena. Avevo il vestitino tirolese che mi aveva fatto mamma Concetta, mi vestiva sempre da pupazzetto perché era estrosa e io, che ero piccolo piccolo, sembravo proprio un giocattolino (…) Mi misi a ballare, con il ditino alzato. E si sa come sono gli americani, vanno pazzi per i bambini. (…) Cominciarono a lanciare sul palco stecche di sigarette, caramelle, cioccolata. Finì che tornai dietro le quinte con tutto quel ben di Dio in braccio a una crocerossina americana (…) Un trionfo, ma le buscai da papà» [Niola, cit.] • Nel ’47 la famiglia si trasferisce a Procida; le messe liturgiche nelle chiese dell’isola rappresentano per Barra il primo teatro, con i paramenti e i riti che affascinano la sua immaginazione infantile [D’Onofrio, cit.] • E la vita del giovanissimo Peppe? «I primi anni li ho trascorsi in quell’isola incantata, con mamma e nonna, con le zie e i piccoli amici. Poi ci trasferimmo a Napoli, ero povero, spaesato, guardai per la prima volta la città dando la mano a mia madre Concetta. Avevo paura di perdermi tra i vicoli di Vasto a Chiaia, il quartiere dove abitammo» [Giulio Baffi, Rep] • «Quando ci siamo trasferiti a Napoli parlavo procidano e nessuno mi capiva». E qui Peppe comincia a diventare Barra. Con la scuola di recitazione di Zietta Liù, al secolo Lea Maggiulli Bartorelli, scrittrice e antesignana del teatro per ragazzi in Italia. Fra i suoi allievi Roberto De Simone e Fausta Vetere. «Io ero povero, in un contesto molto ricco, perché gli allievi della scuola erano tutti rampolli dell’alta borghesia e della nobiltà napoletana dell’epoca. Zietta invece mi scelse perché avevo talento, ero forse uno dei più bravi, per cui facevo da jolly e dovevo aspettare che una bambina o un bambino si ammalassero per sostituirli» [Niola, Rep] • Cosa ricorda di quegli anni? «Ricordo la Napoli del dopoguerra, (…) la ristrettezza con cui dovevamo vivere, il lavoro che mancava e il malumore che allontanava i miei. Intanto cresceva il mio amore per il teatro, osteggiato da mio padre che non aveva avuto una vita facile e non voleva che pensassi a recitare» Chi l’ha aiutata? «Nessuno. Ma Concetta ha creduto nel mio talento. Dovetti abbandonare gli studi, lavoravo di giorno e la sera andavo a imparare il teatro. Divertendomi, perché se ci divertivamo io e mia madre eravamo certi che anche il pubblico si sarebbe divertito. È stato così sempre, però dentro la nostra risata c’è sempre stata una vena amara...» [Baffi, cit.] • Zietta Liù gli presenta, a 18 anni, Roberto De Simone (sebbene si fossero già incontrati dieci anni prima). Che accadde? «Al momento niente. In quel periodo avevo cominciato a recitare al Teatro Esse, diretto da Gennaro Vitiello. Facevo testi impegnati e perfino sperimentali. Recitavamo Genet e Artaud. E con De Simone ci incrociammo nuovamente. Lui doveva curare le musiche di una Medea. Mi chiese se sapevo cantare. Risposi che molto tempo prima Zietta aveva decretato che fossi stonato. “Se lei ha detto che sei stonato, allora vuol dire che canti benissimo”, replicò. Feci un provino e Roberto restò meravigliato dalla potenza e versatilità della mia voce». In cosa pensava di usarla? «De Simone nel 1966 aveva creato la Nuova Compagnia di Canto Popolare. Credo fosse quello l’approdo più naturale per una figura come la mia» [Gnoli, cit.] • Quali sono i ricordi a cui torna più volentieri? «Gli anni trascorsi al Teatro Esse, un’esperienza che mi fece conoscere un teatro diverso. L’amore per Gennaro Vitiello, maestro dolcissimo e sapiente, e per gli amici che costruivano con me i sogni di quegli spettacoli» [Baffi, Rep] • «Quando fondammo la Nuova Compagnia di Canto popolare, non ci aspettavamo tanto successo. Negli anni ‘60-’70, la gente era abituata alle canzonette e non era facile accettare questo gruppo di pazzi con le tammurriate, le tarantelle..» [Costantini, cit.] • «Abbiamo avuto la fortuna di avere uno sponsor come il grande Eduardo che venne a sentirci al conservatorio di San Pietro a Majella e la prima cosa che disse fu “ragazzi, se volete realizzare qualcosa dovete fuggire da Napoli” e ci scrisse una bella lettera di presentazione a Romolo Valli, allora direttore artistico del Festival dei due mondi di Spoleto» [Niola, cit.] • Il gruppo partecipa con grande successo nel ’72 e nel ’74. Nel ’76 la Nccp si presenta con lo spettacolo teatrale La gatta Cenerentola che in origine, alcuni anni prima, era nata come copione del saggio di fine anno di una scuola in cui Barra dava lezioni di recitazione. Rielaborata più volte e adattata a un pubblico di adulti viene rappresentata (vincendo la forte opposizione di De Simone) con uno straordinario successo di pubblico e critica [a Le pillole della Dante] • «Fellini si innamorò della Gatta. A Roma venne a vederci un giorno sì e uno no per un mese intero. Eravamo al teatro Tenda, dove non si potevano montare le scene e lui disse a De Simone “Roberto, io torno a vedere La Gatta perché ogni giorno mi immagino una scenografia diversa”. E il dopo teatro, quando andavamo a cena con lui e Giulietta Masina, era un altro spettacolo» È stato lui a farti conoscere Nino Rota? «No, è stato il suo allievo Antonio Florio, (…) Nino mi ha insegnato molto, soprattutto l’arte di conoscere e coltivare il proprio talento». Insomma gli incontri che si fanno nella vita sono sempre decisivi. Di questo Peppe il fatalista è arciconvinto. Ci vuole fortuna [Niola, cit.] • Uno spettacolo importante per lei. «Importante per molti. Nacque per amore, in un momento preciso della nostra storia, Roberto De Simone portava a termine un importantissimo lavoro di ricerca e di invenzione, il frutto di una collaborazione con grandi personaggi, tra cui Annibale Ruccello (…) Gatta Cenerentola fu scritta in un momento fortunato, preciso, perfetto. Per me irripetibile. Un’invenzione straordinaria» [Baffi, cit.] • Cosa ha rappresentato La Gatta Cenerentola? «È stata una rivoluzione letteraria e teatrale. Gli spettatori non avevano visto fino allora allegorie e cultura popolare rese in quel modo, ma negli Anni 70 non si erano nemmeno mai ascoltate villanelle, strambotti, tamurriate». Qual era il suo ruolo? «Io ero la matrigna, studia molto, è un personaggio difficile, Roberto non voleva ammiccamenti femminili e io feci un’interpretazione all’insegna del vigore, c’era dietro l’idea del matriarcato» [Valerio Cappelli, Cds] • Lo spettacolo la segnò profondamente, Barra. «Ma fu anche l’inizio di una crisi. Il grande successo spesso porta un gruppo affiatato ad ammalarsi e così, in modo inconcepibile, successe pure a noi. Fu drammatico, la pensavamo in modo diverso uno dall’altro e non potemmo più continuare insieme nonostante l’enorme successo». Per lei fu un momento difficile? «Terribile: iniziò un periodo di depressione e analisi. Mi buttai a capofitto nel lavoro e quella fu la mia grande terapia» [Baffi, cit.] • Dopo aver lasciato la Compagnia, nel ‘78 si dedica allo studio di un teatro più personale e altro, in cui esplora una gamma molto vasta di temi come la world music e la cultura popolare [D’Onofrio, cit.] • Arrivano le prime apparizioni al cinema, con Giallo napoletano, del ’79, La pelle nell’81 (in cui recita assieme alla madre Concetta) e Don Chisciotte nell’83 • Nel frattempo, il sodalizio con De Roberto aveva fatto sì che Concetta Barra, dopo aver dovuto abbandonare il teatro per prendersi cura dei tre figli, avesse l’occasione di mettere nuovamente in mostra tutto il suo talento e tornare a calcare i palcoscenici [ibid.] • «Fu stimatissima da Roberto De Simone che la inserì con me ne La Gatta Cenerentola, finché entrò proprio nel mio percorso scenico. Nell’82 al Goldoni di Venezia, dove ero invitato da Scaparro, lei cominciò a scalpitare. Io e Lambertini le escogitammo un ruolo: appariva due volte, in panni di donna velata con strane canzoni. Da allora in poi abbiamo recitato e diviso melodie sempre in ditta, andando anche a Parigi, Londra e in Russia» [Rodolfo di Gianmarco, Rep] • Nasce la compagnia Peppe & Barra • «Era una goduria recitare con Concetta, un’icona popolare che mi ha insegnato tanto. Ma quanto era severa! Una sera, eravamo in coppia nel Duetto buffo di due gatti di Gioachino Rossini e miagolavamo a tutto spiano. Entravamo in scena da parti opposte, mamma inciampa, si regge in piedi per miracolo ma le esce dalla bocca un miagolio stranissimo. Io scoppio a ridere, non riuscivo a frenarmi, mentre lei mi strizzava pizzichi sulla schiena. Finalmente si chiude il sipario e mi allunga uno schiaffo urlando: sei un guitto! sei un guitto! Ci rimasi molto male» [Costantini, Cds] • Come avrà reagito all’epoca il pubblico davanti a un attore e a una mamma? «Noi assumevamo senza problemi le parti d’amore d’un fratello e una sorella, o d’un marito e una moglie. C’era una complicità inesauribile. Ma riuscimmo a sorprendere Giancarlo Sepe mettendo in cantiere un canovaccio dalla Salomè di Oscar Wilde riscritto con lui a La Comunità. E mamma, partecipando a La cantata dei pastori si trasformava in soggetto ributtante e gobbo, e quando rientrava strepitosa a cantare in costume del Settecento, nessuno credeva fosse lei» [ibid.] • La routine creativa delle produzioni condivise con la madre prevedeva la creazione di un canovaccio generato dall’improvvisazione durante le prove, che veniva poi interamente sostituito dalla scrittura attenta della sceneggiatura [a Le pillole della Dante] • Nel 1992 Barra incide il primo album da solista, Mo Vene, vincendo subito la targa Tenco come miglior interprete • L’anno successivo Concetta Barra muore, interrompendo un sodalizio di 13 anni. Lei ha vissuto il teatro in simbiosi con sua madre. «Quando lei è morta sono morto per metà anch’io, sono andati via cinquant’anni di teatro. Eppure non ho mai patito la depressione, quel vuoto che prima ti conquista e poi ti annienta» [Antonello Caporale, Fatto] • «Nel 1994 ricevetti una telefonata alle sette di mattina: “Pronto, sono Fabrizio De André…”, ed io pensai subito ad uno scherzo. “Peppe Barra? Ci possiamo dare del tu?”. E io dico: “Sì, ma è proprio lei, Fabrizio De André?!”. E lui: “Sì, diamoci del tu. Peppe, sto incidendo Canti Randagi, ti chiederei di cantare Bocca di Rosa e di tradurla come vuoi”. Io rimasi colpito e fui felice di dire: “Sì!”. Feci una ricerca su chi potesse tradurmi in napoletano Bocca di Rosa e la mia scelta ricadde su Vincenzo Salemme e devo dire che la traduzione è una delle più belle, tant’è che De André, quando la ascoltò, mi disse: “Peppe questa la canterai tu, solo tu!”». [Andrea Esposito, Fanpage] • Negli anni successivi continua il suo intenso e molteplice impegno creativo nel seno della produzione culturale partenopea (di cui è diventato sempre più un pilastro), a teatro, al cinema, e nella musica (con molteplici tournée all’estero); nel 2002 prende parte al film Pinocchio di Roberto Benigni interpretando la parte del Grillo parlante • Nel 2014 gli viene conferito un master universitario honoris causa in «Letteratura, scrittura e critica teatrale» dall’università Federico II di Napoli, di cui è da anni membro del Comitato scientifico e docente [Anna Laura De Rosa] • Nel corso dello stesso anno dichiara di sentirsi spaventato per i danni causati dall’immigrazione incontrollata a Napoli, e inorridito dalle conseguenze che essa comporta sui migranti stessi, citando il caso del suo condominio, in cui una trentina di singalesi sono costretti a vivere in due stanze. Le sue dichiarazioni diventano virali e scatenano un vespaio di polemiche. Ha detto che ormai ha paura di uscire da casa. Ha pensato di lasciare Napoli? «No, Napoli no. Non potrei passeggiare senza trovarmi di fronte una delle cinquecento chiese barocche, anche se per lo più sono chiuse, diroccate e ora anche transennate. Per non parlare dei marmi pieni di graffiti: nel centro storico non c’è più un muro pulito...». Ma qui gli immigrati non c’entrano. Sono i napoletani ad imbrattare e vandalizzare. O no? «Sì sono i napoletani, i peggiori, quelli che vivono senza sapere dove sono, emarginati, quasi immigrati nello loro città». [Natascia Festa, Cds] • Nel 2024, in onore del suo 80° compleanno, il comune di Napoli gli dedica un evento a piazza Mercato: Veniamo alla festa che ti aspetta «Per cui sentitamente ringrazio tutti. In chiesa ci sarà una mostra a me dedicata. In piazza mi precederanno le paranze vesuviane, poi mi raggiungeranno degli amici illustri: con Dee Dee Bridgewater dividerò Le cose che piacciono a me, ovvero My favourite things di Rodgers e Hammerstein nella versione italiana di Tutti insieme appassionatamente. Con Branduardi mi tufferò nel repertorio popolare campano con Ricciulina e poi ci saranno due cantautori che hanno scritto per me, Toto Toralbo e Gnut». Tempo di bilanci? «Rifarei tutto, giorno dopo giorno, non cambierei un solo minuto, compresi quelli brutti e dolorosi, che non sono mancati» [Valcalebre, cit.].
Curiosità Molto credente, custodisce in casa numerosissime raffigurazioni e statue della Madonna, dell’Arcangelo Michele (protettore della sua famiglia) e diverse reliquie di santi: sostiene che infondano un’energia positiva capace di proteggerlo dalle forze negative [a Incontri ravvicinati] • Adora da sempre il presepe: ne ha a casa almeno 5, e ne mantiene uno addobbato per tutto l’anno. Il suo personaggio preferito è Benino [D’Onofrio, cit.] • Il padre avrebbe voluto che facesse il medico [a Gigi Marzullo, Sottovoce] • Porta il suo onnipresente cappello un po’ «per narcisismo» e un po’«per combattere l’artrosi cervicale» [ibid.] • A Natale di ogni anno, ininterrottamente a partire dal ’74, mette in scena il suo amatissimo spettacolo La cantata dei pastori, testo dalle origini seicentesche. «È talmente attuale, perché è un calderone: troviamo il melodramma, l’avanspettacolo, la prosa, la favola, il barocco, troviamo tante cose. Proprio per questo rimane a galla e rimane, perde, sfidando i secoli. Di conseguenza, ogni volta che viene rappresentata, La Cantata non è mai uguale all’altro giorno» [Francesca Hasson, eroicafenice.com].
Amori Com’è la sua vita sentimentale? «Non ho più una vita sentimentale. Mi ha fatto troppo soffrire. Come vede vivo solo, con la mia cagnetta Carlotta e la governante» [Gnoli, cit.].
Titoli di coda «Ho imparato che il segreto per stare bene almeno con sé stessi è sapere che “’A vita è n’affacciata ’e fenesta”. La devi aprire e poi la devi chiudere (…) La mia si sta per chiudere. Ma non parlerei di fine, semmai di rinascita. Termina un viaggio e ne comincia un altro. So che la finestra si riaprirà. Ma non so dove» [ibid.].