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 2025  luglio 24 Giovedì calendario

Biografia di Filippo Ganna

Filippo Ganna, nato a Verbania il 25 luglio 1996 (29 anni). Ciclista su strada e pista. Del team Ineos Grenadiers. Professionista dal 2017, è un passista, specializzato nelle prove a cronometro. Medaglia d’oro nell’inseguimento a squadre alle Olimpiadi di Tokyo 2020, occasione nella quale ha contribuito a fissare il nuovo record del mondo a 3’42”032. Dall’8 ottobre 2022 detiene il record dell’ora: 56,792 km percorsi nel Velodrome Suisse di Grenchen. Nelle prove a cronometro è stato campione del mondo nel 2020 e nel 2021 e campione nazionale nel 2019, nel 2020, nel 2022, nel 2023, nel 2024 e nel 2025. Ha vinto sette tappe al Giro d’Italia e una tappa alla Vuelta a España 2023. Unico atleta della storia campione del mondo di inseguimento individuale per sei volte (2016, 2018, 2019, 2020, 2022 e 2023). «Sono un uomo, non una macchina a cui basta girare una vite. È sufficiente una cattiva notte di sonno per sbagliare una tappa» • «Suo padre, Marco, è stato olimpico nella canoa a Los Angeles 1984. Sua madre, Daniela Trisconi, è originaria di Omegna. Cresciuto nella società Pedale Ossolano, esordisce nel 2015 da Under 23 e l’anno dopo, a 19 anni, è già campione del mondo dell’inseguimento individuale su pista, primo italiano a riuscirci dopo Francesco Moser (1976). Un mese più tardi conquisa la Parigi-Roubaix di categoria e ottiene un contratto da stagista con la Lampre-Merida. Esordisce tra i pro a fine 2016, al Gp Beghelli. Il suo, nel ciclismo su strada, è un lungo rodaggio» (Cosimo Cito) • «Nonno Ambrogino, che gli aveva regalato la prima bici color verde acido, ha fatto in tempo a compiere 90 anni e a vederlo vincere persino due Mondiali a cronometro di fila (nessun italiano c’era riuscito mai), prima di andarsene per sempre col cuore orgoglioso. E suo padre Marco, ex canottiere olimpico, soprannominato “il tedesco” perché s’allenava coi campioni della DDR negli anni Ottanta, è riuscito a godersi il frutto delle mattine passate a tirar la scalata a quel ragazzone di un metro e novantatré che voleva fare il rugbista, (e invece…), e che tutti ritenevano troppo alto e pesante per diventare un campione di ciclismo. E invece» (Raffaele Panizza) • «Filippo Ganna è il campione moderno di uno sport antico. È stato un predestinato riluttante, che si è convinto a tenere uno spiraglio aperto sulla pista grazie alle imprese di Viviani, stradista convertito a curve paraboliche e rettilinei paralleli. “Sei stato tu a farci avvicinare a questa disciplina”, gli scrisse dopo l’oro di Rio. Aveva già vinto un Mondiale, il ciclista di Verbania, ma ancora non ci credeva troppo. La prima volta era ancora alle medie, e il suo allenatore gli disse che quel giorno sarebbero andati a correre in pista. “E io pensai, ma cosa sarà mai?”. Era una gara, e non se la cavò male. La seconda volta invece fu un disastro. Si ribaltò in curva, trauma cranico, perdita di conoscenza e un paio d’ore della sua vita delle quali non ricorda più niente. Da allora, non si è più fermato, vincendo appunto il titolo iridato a Londra a soli 19 anni, vincendo tutto ma sognando sempre altro, la Parigi-Roubaix o una cronometro al Tour de France. Come fosse un’anima divisa in due. Vai più forte di tutti, gli dicevano i suoi allenatori. Sì, ma io non sono mica un pistard, replicava lui con il suo vocione da piemontese di lago. “Ho forza e potenza, però mi manca il colpo d’occhio, non sono un velocista naturale, se mi avessero detto che avrei vinto gare così importanti mi sarei messo a ridere”. Ci è voluto del tempo, anche con lui» (Marco Imarisio) • «Era il 2015 quando l’allora sconosciuto diciannovenne piemontese vinse il suo primo titolo a Londra interrompendo un digiuno azzurro che durava da 40 anni (Moser, 1976). Da allora Pippo ci ha stupito in tutti i modi possibili, reggendo sulle sue larghe spalle un ciclismo italiano a corto di fenomeni: dieci titoli mondiali tra strada e pista, una caterva di medaglie europee, l’oro di Tokyo con il quartetto, il record dell’Ora, la maglia rosa al Giro. E domenica la rimonta mozzafiato con cui ha racimolato cinque centesimi di vantaggio sull’inglese Bigham che, meschino, pensava di aver già vinto» […] Dopo il record dell’Ora lei ha parlato di dolori atroci al sedere per mantenere la posizione. Il dolore dei quattro minuti dell’inseguimento invece? “È diverso. Il momento più brutto arriva dopo due minuti quando l’acido lattico sale dalle gambe e ti annebbia il cervello e sai che manca ancora molto alla fine. Lì devi trovare qualche secondo di recupero, liberare la mente pur continuando a pedalare a 60 all’ora. Non so come faccio, ma lo faccio quando invece mi verrebbe istintivo rallentare, arrendermi. Ma non si può, non posso”» (Marco Bonarrigo) • «Sembra sempre insoddisfatto. È carattere? “Credo abbia ragione Alex Zanardi quando dice che nel momento in cui centri l’obiettivo ti senti incompleto. Ti chiedi: e adesso cosa faccio? Per rimettersi a soffrire sulla bici servono nuove motivazioni. Ma credo faccia parte di ogni mestiere...”. Solo Ganna, però, arriva secondo alla Sanremo dietro a Van der Poel e davanti a Van Aert e Pogacar e dice: sono deluso. “Secondo alla Sanremo vuol dire primo degli sconfitti. Vedo più spesso il bicchiere mezzo vuoto: sono fatto così”. Parliamo dei momenti di felicità, allora. “La felicità dura quindici minuti al massimo. Al minuto 16 sono già pronto a rimettermi in gioco. È la mentalità di chi vuole ottenere qualcosa, deve esserlo: se al primo successo ti siedi, è finita” […] Nel dolore del ciclismo l’amore è un balsamo. “Precisiamo: non sono masochista, sennò avrei fatto il picchiasassi. È peggio lavorare in miniera: il ciclismo mi restituisce molto di ciò che gli do. Tra le varie forme di ciclismo che pratico, dalla pista alla strada, per me è molto più pericoloso e stressante un arrivo in volata dove rischio di cadere che una salita massacrante fatta a ritmo forte. Il dolore più insopportabile è quello negli ultimi 15’ del record dell’Ora, quando mi sono spinto oltre il limite. Non mi ero mai visto scendere dalla bici con le rughe in faccia! Alla Roubaix, sui sassi del Carrefour de l’Arbre, io spingevo ma i mostri andavano via... Sono sforzi diversi. Sul pavé ho contro il fatto di non venire dal ciclocross, quindi sullo sconnesso faccio più fatica di Van der Poel e Van Aert a fidarmi del mezzo”» (a Gaia Piccardi) • «Ora che lei è detentore di tre record mondiali, l’ora, l’inseguimento a squadre e quello individuale, può scegliere: a quale dei tre è più legato? “L’inseguimento a squadre l’abbiamo ottenuto a Tokyo e con quello abbiamo vinto l’oro olimpico. Il fatto di averlo centrato in gruppo, con i miei compagni, gli dà un valore speciale, inarrivabile. In quello c’era tutta la passione che ci abbiamo messo, il lavoro di mesi nel cercare i meccanismi, errori e ripetizioni continue, finché tutto non è andato come doveva andare. Ed è successo quella volta più di ogni altra volta, e proprio quando valeva di più”. Il più complicato, rischioso, snervante? “Il record dell’ora perché si portava dietro mesi di lavoro, di aspettative, di paure, tanta fatica, ma anche tanto entusiasmo, tanta voglia di arrivare lontano”. Il paradosso è quello di andare molto lontano, di coprire 56,792 km, senza mai muoversi dagli stessi 250 metri di pista. Percorsi oltre 200 volte. Quando lo tentò, Miguel Indurain chiese di avere davanti e accanto una sagoma che si muoveva alla sua velocità, per non sentirsi solo. “Ci vogliono testa e gambe in pari proporzioni, 50% testa, 50% gambe. Tenersi dentro quel dolore e andare oltre, oltre e oltre. Non lo farò più. Non prima di dieci anni almeno. È uno sforzo che non si dimentica facilmente”» (a Cosimo Cito) • Sul record dell’ora, ottenuto il 7 ottobre 2022: «Alle 21.01, cavalcando una bici specialissima ma pur sempre telaio, manubrio e due ruote a propulsione umana, un ciclista ha sbriciolato per la prima volta il muro dei quattro minuti nei 4.000 metri dell’inseguimento individuale su pista. Significa oltre 60 all’ora di media, partendo da fermo e spingendo un rapporto da 10 metri a pedalata che a girare la pedivella a mano ci vogliono le braccia di un culturista. Il paragone con il muro dei 4’ sul miglio sfondato, correndo, da Roger Bannister nel 1954 non è sacrilego. Quell’essere umano è Filippo Ganna, il suo 3’59”636 oltre che nuovo primato del mondo (a scendere sotto i 4’ c’era riuscito l’americano Lambie, ma in un test e con il vantaggio enorme dei 2000 metri di quota) gli vale il quinto titolo mondiale. Nessuno c’era mai arrivato prima dai tempi di Peters e Coppi che inaugurarono la regina delle discipline su pista nel 1946. Nella finalissima Ganna ha avuto un avversario di eccezione, il gigante friulano Jonathan Milan, arrivato allo spareggio con una qualificazione straordinaria. Milan, un Ganna più grosso, più potente e più irruento, è uscito come un missile dai blocchi di partenza. Mai si erano visti un primo giro da 20”9 e un primo chilometro da 66”12. A quel punto Filippo, più razionale e penalizzato in avvio da una bici-razzo difficilissima da lanciare, aveva un secondo e mezzo di ritardo. Poi il piemontese ha ridotto il distacco agganciando il compagno di allenamento dopo 2500 metri per prendere il volo verso record e titolo. Dietro a una prestazione disumana, un retroscena rivela la sensibilità e l’umanità del ciclista più veloce del mondo. “Alle 10 del mattino, prima ancora di scendere in pista per le qualifiche – racconta Pippo – volevo fare le valigie e andare di corsa a casa. Ero in crisi nera, stanco e demotivato. Se sono rimasto a Parigi è merito dei miei compagni di squadra e di allenamento che mi hanno fatto coraggio e trascinato in pista quasi di forza. Superata la crisi, tutto il resto è venuto naturale”» (Marco Bonarrigo) • «Una vita ripetitiva, da adesso in poi. Sveglia la mattina, sessanta minuti sui rulli a digiuno, poi cinque ore a pedalare al freddo, massaggi, riposo, e da capo. Per non parlare delle giornate intere passate in galleria del vento con l’aria gelata presa dall’esterno e sparata in faccia, come fosse un pilota su un jet decapottabile. Una vita che si deve amare per forza. E invece. [...] Ma ha dovuto anche lavorare due anni e mezzo per trovare la posizione in sella. “Ore di stretching per abituarsi a tenere la testa bassa, forzare gli occhi a guardare avanti e focalizzare: stare su una bici da crono, non è comodo per niente. Il giorno dopo l’ultima vittoria mondiale l’ho passato sotto la doccia bollente, ogni due ore, per sciogliere i muscoli del corpo, completamente contratti. Certe volte mi sento davvero carta da buttare”. E si diventa cianotici. “Sì, momenti in cui non respiri, le orecchie scottano, ti fai blu. O vedi le stelline come quando si sta per svenire. E nei tratti finali, pedalando a quaranta ripetute, ti sembra di elemosinare l’aria da un sacchettino di plastica, ‘cagni’ per un po’ d’ossigeno che non arriva, come un bull- dog d’estate”. Tutti così. “No, parlo per me. Ad altri viene il mal di stomaco, ad altri l’emicrania. Lo sport fa bene, ma lo sport agonistico no: ti logora. Non c’è un maratoneta senza male alle anche, o un motociclista senza pena alle ginocchia. Il corpo non è creato per questo”. Immagino che chiedere “allora perché” sia banale. “Più che altro rischia di essere banale la risposta. Per me, la questione è arrivare a vivere i momenti di gloria che solo la vittoria ti regala, tutto qui”. La carreggiata e la pelle che cadendoci sopra può lacerarsi, che rapporto hanno? “È una delle mie paure più grandi. Siamo nudi, con un caschettino, a cinquanta all’ora, e a pensarci è spaventoso. Ma dopo tanti anni conosco il protocollo e mi curo da solo: una spugna con sapone di marsiglia per grattare via l’asfalto dalla ferita, acqua gelata, betadine per disinfettare, un cerotto idrocolloide a proteggere, e si risale». Alla fine dei conti, il ciclismo è uno sport individuale o di squadra? «Di squadra. Perché il corridore da solo, senza il meccanico, gli amici, il tecnico, il supporto morale, la famiglia, non vince. La bicicletta proprio non va”. Le bici sono sempre più piccole o sono i ciclisti a essere sempre più grandi? “La fisionomia degli atleti sta cambiando. Prima il peso medio di un ciclista era 60 chili, adesso si arriva ai 75. La figura dello scalatore puro, per esempio, sta scomparendo”. È un agone dove vincono gli asceti o i peccatori? “Su dodici mesi riesco a godermi la vita trenta giorni, non di più. Se provo a fare le sei di mattina durante la stagione poi la pago per una settimana intera”» (a Raffaele Panizza).