4 settembre 2025
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Biografia di Werner Herzog (Werner Stipetić)
Werner Herzog (Werner Stipetić), nato a Monaco di Baviera (Baviera, Germania) il 5 settembre 1942 (83 anni). Regista. Uno dei più grandi della storia del cinema • «Poeta di folli avventure condannate in partenza» [Altiero Scicchitano, Enciclopedia del Cinema, Treccani, 2003] • «Il più puro artista del nostro tempo» [Guido Vitiello, Foglio 6/9/2024] • «Una tensione al sacro tipica del Romanticismo tedesco, e che lui ha incarnato come nessun altro nel secondo Novecento» [Gianluca Arnone, Rivista del cinematografo 25/8/2025] • Ha realizzato una sessantina di film «memorabili, inclassificabili, estremi» [Riccardo Staglianò, Rep 22/9/2016] • Un’opera definita da corollari precisi, come «la predilezione della forma documentaristica, la centralità delle riprese (rispetto al montaggio o alla sceneggiatura), i dilemmi etici che sorgono quando l’esigenza di autenticità si trasforma in voyeurismo» [Francesco Baucia, manifesto 3/12/2023] • Ha vinto, tra le altre cose, il Premio speciale della giuria al Festival di Berlino nel 1968, il Gran premio speciale al Festival di Cannes nel 1975 e nel 1982, il Pardo d’onore al Festival di Locarno nel 2013 e il Leone d’oro alla carriera alla Mostra del cinema di Venezia nel 2025 ma dice di non amare i premi («Quelli servono ai cani e ai cavalli») • François Truffaut lo definì «il più importante regista vivente». Roger Ebert, critico americano, scrisse: «Perfino i suoi fallimenti sono spettacolari» • «Werner Herzog è sempre stato un enigma. E così la sua vita: un rocambolesco intreccio di avventure sempre più pericolose, che hanno prodotto alcune tra le opere cinematografiche più importanti dell’ultimo secolo. A muovere Herzog, per sua stessa ammissione, sono sempre state la fortuna e la curiosità» [Giulio D’Antona, Sta 22/9/2023] • «Un’etica che somiglia più a quella di un contrabbandiere che a quella di un artista» [Post, 28/8/2025] • È l’unico cineasta ad aver realizzato un film in tutti e cinque i continenti, dall’Amazzonia alla Corea del Nord • Ha conosciuto Michail Gorbačëv e lavorato con Mick Jagger • «Per scommessa, una volta, si mangiò una scarpa, dopo averla bollita cinque ore con aglio e cipolla. Per Nosferatu - Il principe della notte – ovvero Dracula, ma non voleva pagare i diritti alla vedova di Bram Stoker che scrisse il romanzo – fece dipingere di grigio migliaia di topi bianchi (poi il colore fu lavato via e le bestiole asciugate con il phon)» [Mariarosa Mancuso, Foglio 3/5/2022] • Sfidò a duello Enrico Ghezzi per un aggettivo sbagliato • È stato imprigionato nell’Africa centrale e gli hanno sparato addosso più di una volta («Anche durante un’intervista della Bbc, mentre avevo le telecamere puntate addosso. Non tutti ci credono quando lo racconto») • Una volta, a Cannes, cestinò sdegnosamente una biografia che il giovane Emmanuel Carrère gli presentava come tributo. «Se solo si fosse degnato di aprire il libro, forse si sarebbe accorto (ma non lo avrebbe certo mai ammesso) che lo scrittore in erba aveva còlto, in una fase ancora tutto sommato iniziale […], il nucleo del suo lavoro: “l’identificazione della ricerca poetica con la performance fisica”» [Baucia, cit.] • Quando gira film complessi, ha sempre con sé una ristampa fotomeccanica della Bibbia in tedesco di Martin Lutero del 1545 • Dal 2001 ha lasciato San Francisco («Era diventata troppo turistica e piena di nerd della Silicon Valley») e vive sulle colline di Los Angeles • Nonostante gli anni passati in America, conserva ancora un inconfondibile accento bavarese che gli è valso la partecipazione a un episodio dei Simpson nelle vesti di un cattivissimo industriale di Big Pharma («Il mio più grande trionfo nella cultura pop americana») • Oggi sogna di andare nello spazio. «Ogni giorno, invierei sulla Terra una poesia e un piccolo film». È arrivato a presentare formale domanda presso un’impresa giapponese. «Ma purtroppo hanno respinto la mia candidatura».
Titoli di testa «Nel monumentale Werner Herzog: una guida per i perplessi, il tomo da quasi novecento pagine che tra gli ammiratori del carismatico regista va sotto il nome di “la Scrittura”, il biografato dice due cose sul giornalismo. La prima: “Le interviste hanno molto poco senso”, giudicate le opere piuttosto. La seconda: “I giornalisti che confidano su un registratore inevitabilmente raccontano male la storia”» [Staglianò, cit.].
Vita Figlio di due biologi, Dietrich e Elizabeth Herzog. Una sorella, Sigrid, e due fratelli, Tilbert e Lucki • «Pochi giorni dopo la mia nascita Monaco è stata rasa al suolo da un bombardamento, mia madre mi ha estratto miracolosamente illeso da un cumulo di macerie e calcinacci che aveva travolto la culla dove dormivo». Mi sembra un buon segno, se si crede al destino… «Anche a me. Però mia madre non poteva sopportare di esporci così tanto al pericolo mortale, quindi ci portò in montagna» [D’Antona, cit.] • Werner passa l’infanzia in una sperduta fattoria nel villaggio di Sachrang, nel comune di Aschau im Chiemgau, a 738 metri di quota sulle Alpi bavaresi. «Prima di fare il regista ho fatto il contadino e il mungitore...» • «Le scarpe e le mutande erano un lusso che la sua famiglia non si poteva sempre permettere. “Le portavamo solo in autunno e in inverno fino alla fine di aprile; nei mesi senza, maggio, giugno, luglio, agosto, non avevamo neanche le mutande sotto i pantaloni di pelle”» [Simone Zoppellaro, Micromega 12/2/2024]. «Non avevamo niente. Niente di niente. Non avevamo l’acqua corrente, non avevamo l’elettricità, non avevamo da mangiare. Penso che questo mi abbia benedetto con due caratteristiche fondamentali: la rabbia e la meraviglia. La rabbia mi è servita per proseguire, per non cedere nemmeno quando tutto sembrava andare storto. La meraviglia per non dare mai niente per scontato, per cogliere in tutto ciò che incontro il lato che valga la pena di raccontare […] Uno dei primi ricordi che ho è quello di mia madre che avvolge me e mio fratello in pesanti coperte e ci porta a vedere il terribile spettacolo della città di Rosenheim che andava a fuoco. Il cielo era illuminato di rosso intenso e pulsava lentamente. Mi sono reso conto del fatto che, fuori dalle nostre montagne, esisteva un mondo diverso da quello che conoscevamo. Pericoloso, violento, sconosciuto. E quindi ho cominciato a chiedermi di cosa si trattasse, cosa muovesse questo mondo tanto distante ma così vicino». È diventato un esploratore? «Qualcosa del genere. Sono diventato un curioso, uno che sente sempre la necessità di vedere, di spingersi un po’ al di là dell’orizzonte» [D’Antona, cit.] • A guerra finita, la madre decide di tornare a Monaco, e Werner scopre un nuovo mondo. Vede la prima automobile a dodici anni. Fa la prima telefonata a diciassette. Scopre la radio, la televisione e il cinema. La sua prima telecamera, la ruba («Un cineasta deve essere come un ladro nella notte») • «Verso i quindici anni io e mio fratello avevamo una motocicletta – scassatissima, e forse per questo non passava settimana senza che facessimo un incidente. Niente di grave, ma tornavamo sempre a casa laceri e sanguinanti. Un giorno lei ci ha chiamati, ha acceso una sigaretta e ci ha detto: “Ragazzi, meglio che quella moto la vendiate. Non voglio essere costretta a seppellire uno di voi. Ah, e prendete nota: questa è la mia ultima sigaretta”. E la spense davanti a noi. Sgranammo gli occhi: lei era una fumatrice compulsiva, aveva fumato tutta la vita, ma tenne fede a quel voto. Vendemmo la motocicletta». «Ero un ragazzo terribilmente irascibile. È successo che un giorno, adolescente, ho ferito mio fratello a coltellate. Allora mi sono detto: devo cambiare, se no sarà una catastrofe per me e per tutti. Era una questione di autodisciplina morale. Quando scrivo o faccio film invece non ho freni, mi lascio andare alla fantasia. Prendo gli spettatori con me e viaggiamo insieme» [Davide Ferrario, Lettura 9/9/2023] • Werner «non segue corsi regolari di studio, e inizia ben presto una serie di viaggi in Grecia, dove aveva operato il nonno archeologo, in Egitto, in Sudan, in Albania e, poi, in Gran Bretagna. Interessato al cinema fin da ragazzo, per girare brevi documentari lavora di notte come saldatore in un’acciaieria. Diplomatosi nel 1961, ottiene una borsa di studio al Dipartimento di cinema e televisione di Pittsburgh, presso il quale non resta però a lungo: mantenendosi con lavori saltuari, visita a piedi gli Stati Uniti e il Messico» [Scicchitano, cit.] • Tornato in patria, debutta nel lungometraggio con Segni di vita. A Berlino gli assegnano un Orso d’argento speciale per la miglior opera prima. È il 1968 • Werner decide di firmarsi con il cognome del padre. «I miei genitori erano divorziati, tecnicamente il mio cognome sarebbe Stipetić. Ma mi piaceva il nome Herzog. Significa Duca. Mi sentivo un po’ come Duke Ellington, Count Basie o King Vidor. Insomma, anche non sono mai stato molto vicino a mio padre, “Werner Herzog” suonava meglio» • Temi preferiti del giovane regista: l’emarginazione e la ribellione • Realizza Anche i nani hanno cominciato da piccoli (1970), con attori non professionisti, tutti nani. Poi Il paese del silenzio e dell’oscurità (1971), ritratto della sordocieca Fini Straubinger. Quindi Aguirre, furor di Dio (1972), che narra l’impresa del conquistador don Lope de Aguirre alla ricerca dell’Eldorato: è la sua consacrazione definitiva • Comincia il sodalizio con l’attore Klaus Kinski, autentico pazzo, che conosceva da tempo per aver condiviso un appartamento a Monaco negli anni Cinquanta. Assieme gireranno altri quattro film: Nosferatu, il principe della notte (1979), Woyzeck (1979), Fitzcarraldo (1982) e Cobra verde(1987). «All’incontro con Kinski (e all’odio-amore che ne è scaturito) con quello che sarebbe diventato il complice di molte imprese spericolate, visionarie, autolesioniste, portatrici di oscuri presagi nel ‘99 Herzog ha dedicato un personale e sentimentale documentario, a otto anni dalla morte dell’attore […]. A vedere Kinski, il mio nemico più caro (come in Italia si chiamò) Herzog il tenebroso pare uno sprovveduto e candido scolaretto a confronto con l’incarnazione del Genio e del Male. Colui che, un giorno che gli girava storto, demolì sistematicamente l’intero arredo. Ma, dallo stesso giorno, Klaus il rabbioso divenne un interlocutore decisivo e prezioso, una fonte d’ispirazione, una musa profetica, un alter ego artistico [...]» [Paolo D’Agostini, Rep 6/11/2005] • «Quando dirigeva Aguirre furore di Dio, Herzog minacciò di dare Klaus Kinski in pasto ai piranha. Un giorno, esasperato, decise di chiudere una delle loro interminabili e violente liti puntandogli addosso una pistola. “Ci sono dentro nove pallottole, otto per te e l’ultima per me stesso”, gli disse. Pochi anni dopo, Werner Herzog era di nuovo con Kinski in un’appendice peruviana del Rio delle Amazzoni, sul set di Fitzcarraldo, circondato da migliaia di indigeni che tentavano di trascinare su per una montagna, con il solo aiuto di corde e carrucole, un battello a vapore di 340 tonnellate. Tra gambe amputate, serpenti velenosi, comparse annegate, dissenterie amebiche, la follia del barone della gomma Brian Fitzgerald, che si era messo in testa di costruire un teatro dell’opera nel mezzo della foresta, aveva ormai contagiato l’intera troupe, pronta all’ammutinamento. E come rispose Herzog? Ribattezzando il campo base “Pelicula o muerte”» [Lorenzo Soria, L’Espresso 6/3/2003] • Klinski è perfetto per tratteggiare «la figura del soldato Aguirre che, ribellatosi alla Corona di Spagna, uccide il proprio superiore e trascina i compagni attraverso le Ande e la foresta amazzonica verso il mitico Paese dell’oro. Durante la navigazione, la malattia e nemici invisibili sterminano il piccolo esercito, finché Aguirre rimane solo su una zattera alla deriva invasa da scimmiette, ultimi sudditi di un dittatore pervaso dal delirio di onnipotenza, dall’ossessione di mettere in scena la Storia come altri mettono in scena uno spettacolo teatrale, come sottolinea lo stesso personaggio. All’epoca, il film fu interpretato come metafora del nazismo […] e l’equazione Aguirre-Hitler ricevette l’avallo dello stesso regista […]» [Scicchitano, cit.] • «Tutti i personaggi di H., anche i più segnati da volontà di potenza, non sembrano padroni delle proprie azioni, ma attraversati dal destino […] Pazzi, storpi, violenti, nani, sordociechi sono l’umanità deviante che la società ha rimosso e che H. fa riemergere alla luce, con tutta la sua carica sofferente e contraddittoria di tenerezza e crudeltà, ma anche portatrice di una percezione “diversa” del reale» [Scicchitano, cit.] • «Herzog è spesso stato paragonato ai personaggi ossessivi, megalomani e grotteschi che popolano i suoi film. Un poeta dell’apocalisse» [Soria, cit.]. «È verosimile dire che “i magnifici tre” del recente cinema tedesco — cioè Fassbinder, Wenders ed Herzog — siano autori indubbiamente geniali e su versanti assai differenziali tra loro. Ma se Fassbinder è il più sconcertante e melodrammatico e Wenders il più poetico e riflessivo, è certamente Werner Herzog, quarantenne regista di Monaco, a segnalarsi come l’autore più lucido, razionale e concreto» [Marzio Castagnedi, Cds 16/11/1981] • «All’inizio degli anni ’80 era diventato il nuovo regista più desiderato del cinema d’autore europeo, capace di fare cose che terrorizzavano gli altri e di uscirne non solo incolume […] ma anche con immagini mai viste prima. Ma fin da subito alla carriera di regista di film ne affiancò una da regista di documentari: anche se lui ha sempre detto di non vedere differenze tra le due cose, le differenze ci sono nella facilità con cui si riescono a finanziare. Un film costa molto di più. […] Col passare del tempo si è dedicato sempre di più ai documentari […] I documentari di Werner Herzog hanno solitamente al centro soggetti che nessuno ha mai documentato. Possono essere storie sconosciute o posti in cui nessuno si è mai spinto. Un buon esempio è Apocalisse nel deserto, un documentario girato subito dopo la guerra nel Golfo, per il quale Herzog andò a filmare le distese di petrolio dei pozzi fatti esplodere dagli iracheni ritirandosi dal Kuwait. In Cave of Forgotten Dreams (2010) faticò a lungo per ottenere i permessi per riprendere le pitture più antiche della storia dell’umanità della grotta Chauvet in Francia, dove è proibito l’accesso […] Ma a essere unico è anche l’approccio tecnico di Herzog ai documentari […] Per una produzione documentaristica è normale per esempio che le decine o centinaia di ore di riprese siano prima di tutto trascritte in un testo, in modo che i dialoghi e le vicende riprese siano facilmente consultabili e reperibili per costruire una storia compiuta e lineare dal punto di vista narrativo. Herzog non fa niente di tutto questo: intanto guarda interamente il girato, cosa rara, e parte dalle immagini che lo colpiscono di più, che annota con dei punti esclamativi. “Una ripresa con tre punti esclamativi (!!!) significa: Se questa cosa non finirà nel documentario, avrò vissuto invano”» [Post].
Amori Tre figli, Rudolph (n. 1973), Hanna (n. 1980) e Simon (n. 1989), avuti da tre donne diverse. Divorziato due volte, dal 1999 è sposato con l’artista russa Elena Pisetski, vivono assieme negli Stati Uniti. «Lei è cresciuta in Siberia, la sua lingua madre è il russo. La mia lingua madre è il bavarese. Venticinque anni fa abbiamo deciso che non ci saremmo parlati in russo o in tedesco, ma in inglese. Ciò significa che siamo cauti, attenti nell’articolare i nostri sentimenti in una lingua straniera. Il risultato? In venticinque anni non ci siamo mai detti una parolaccia»
Politica «Sono molto informato, ma non mi appassiona la politica».
Battaglie Membro del sindacato degli attori di Los Angeles, la Sag-Aftra, che ha organizzato il grande sciopero contro l’abuso dell’intelligenza artificiale. «Da attore non voglio che uno Studio possa scannerizzare il mio volto e la mia voce e che mi riproduca digitalmente nei prossimi dieci sequel di Jack Reacher».
Religione Mistico. Lontano da ogni religione istituita, ma visceralmente connesso con qualcosa che eccede l’uomo. «A Volte mi sento toccato dalla grazia di Dio, anche se non credo in Dio» [Arnone, cit.].
Curiosità Alto 1,83 m • Dice che non riesce a sognare • Da ragazzo tentò il test QI, e ottenne 124. Anni dopo lo riprovò e si fermò a 104 • Da giovane era amico di Rolf Pohle, membro della banda Baader-Meinhof • Grande ammiratore del calciatore Franco Baresi • È contrario al turismo • A un certo punto teneva lezioni di cinema, per iscriversi era obbligatorio aver letto le Georgiche di Virgilio • Detesta lo yoga. «Meglio morto che seduto nella posizione del loto» • Grande passione per i reality, il wrestling e il trash televisivo. Nel 2007 invitò i suoi spettatori a guardare Survivor (in Italia L’isola dei famosi, «Solleva quesiti importanti, va preso sul serio». Non si è perso una puntata della serie sui Kardashian • Ha girato un documentario intitolato From One Second To The Next, sugli incidenti d’auto provocati da cellulari, e caricato direttamente su YouTube • Ha curato anche la regia di opere liriche. Suo progetto: mettere in scena Richard Wagner nel teatro di Sciacca, in Sicilia: «Un teatro fantasma che non è mai stato aperto: nessuno lo gestisce, nessuno ci lavora, nessuno lo ha inaugurato; non ha passato né presente né futuro». Perfetto per l’Anello del Nibelungo, avrebbe voluto farlo saltare in aria nell’ultimo atto, dopo aver messo al sicuro orchestra, cantanti e spettatori. Aveva già contattato esperti di demolizioni del New Jersey: «Ma il cemento con cui è fatto è così solido, pesante e abbondante che ci vorrebbe una quantità mostruosa di dinamite per buttarlo giù, e si distruggerebbe mezza città» [Leonetta Bentivoglio, Rep 11/1/2009] • Per anni si è rifiutato di usare i social, nell’agosto 2025 ha infine inaugurato un profilo Instagram. Primo post: un video in cui faceva una grigliata • «I fatti mentono». Quando qualcuno dice «questi sono i fatti, quindi questa è la verità», mente. O meglio, dice solo un aspetto della verità, quella che lui definisce «la verità dei contabili» • Forte antipatia nei confronti delle galline. «Be’, in alcune forme - arrostite, per esempio - posso anche accettarle. Ma guardare nei loro occhi e vedere quella genuina stupidità senza fondo… Sono le creature più orribili dell’universo» [Imdb] • «Oggi ci sono in giro circa tre miliardi e mezzo di telefoni dotati di telecamera: hanno creato miliardi di registi o avuto un impatto significativo sulla fotografia? Non direi. Gli amatori non avranno la meglio perché, oltre allo strumento tecnico, serve una visione, la capacità di raccontare storie, un pensiero critico. Agli studenti della mia Rogue School ripeto una sola cosa: leggete, leggete, leggete» [Staglianò, cit.]
Titoli di coda «Sentirlo parlare dei suoi film, vedere i suoi film: tra le due cose non esiste cesura, solo un trapasso a malapena avvertibile, uno sprofondare nello stesso sonno, cullati dalla stessa voce. A volte, poi, le due cose si confondono: “Amo i miei film come amo i miei figli. Sono come il membro di una tribù africana a cui basta gettare un’occhiata alla sua mandria di cinquanta bestie per capire se ne manca una”. Sono sicuro che questa cosa la diceva anche il personaggio di un suo film, ma quale? Era forse qualcuno in Dove sognano le formiche verdi? O era un’altra intervista che suonava come una sceneggiatura? Quasi quasi li riguardo tutti per trovare la risposta» [Vitiello, cit.].