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 2025  settembre 13 Sabato calendario

Biografia di Leone XIV

Leone XIV, (Leo PP. XIV, nato Robert Francis Prevost), nato a Chicago (Illinois, Stati Uniti) il 14 settembre 1955 (70 anni). 267° Papa della Chiesa cattolica e vescovo di Roma, nonché 9º sovrano dello Stato della Città del Vaticano (dall’8 maggio 2025). Secondo papa americano, primo statunitense e primo agostiniano. Motto (episcopale, cardinalizio e pontificio), mutuato da sant’Agostino: «In Illo uno unum» («in Colui che è uno siamo uno», o, più liberamente, «nell’unico Cristo siamo uno») • «Jack Kerouac e Madonna, Angelina Jolie e Hillary Clinton, Justin Bieber e Pierre e Justin Trudeau: tutti avrebbero in comune un antenato, Louis Boucher de Grandpre, canadese del Québec, nato nel 1590. E così anche nobili spagnoli del Cinquecento, contadini siciliani, schiavi africani finiti a Cuba o in America e in alcuni casi persino diventati schiavisti. Cosa hanno in comune? Fanno tutti parte, a vario titolo, dell’albero genealogico di papa Leone XIV. A indagare sulle origini, molto complesse, del primo pontefice nato negli Usa è stato Henry Louis Gates, decano dei genealogisti d’America. […] I risultati delle ricerche, li ha pubblicati sul New York Times. […] Gates […] ha “recuperato” nomi e spesso anche storie di oltre cento antenati del Papa, distribuiti su 15 generazioni, fra cui 40 francesi, 24 italiani e 21 spagnoli. Le prime tracce degli antenati del Pontefice sono materne e risalgono a Isla, cittadina della Spagna del Nord, nel 1573, con quattro hidalgo (appartenenti alla piccola nobiltà locale). […] Le origini siciliane, per parte paterna, del Pontefice erano già state scoperte. Il nonno Salvatore Giovanni Riggitano era nato a Milazzo nel 1876. I genealogisti hanno ricostruito la sua ascendenza fino a cinque generazioni precedenti. Come moltissimi meridionali dopo l’Unità d’Italia, Salvatore emigrò in America, nell’Illinois. Voleva diventare prete, ma evidentemente la sua vocazione non era forte come quella del nipote: tanto che poi sposò una certa Daisy Hughes. Che poi lasciò per amore della 28enne insegnante di lingue, anche lei emigrata in America, ma dalla Francia, Suzanne Louise Marie Fontaine. Un giornale del 1917 riporta che la coppia fu addirittura arrestata per bigamia, essendo lui ancora sposato. Ma i guai giudiziari non scalfirono il loro amore: restarono insieme e misero al mondo Jean e Louis, futuro padre dell’altrettanto futuro Papa. Ai bambini decisero di dare il cognome della nonna materna, Prévost, poi americanizzato in Prevost, senza accento. Le novità riguardano soprattutto questo ramo “francese” di Prevost: un nucleo di antenati che nel XVII secolo visse in Québec, prima di arrivare negli Usa. Ed è proprio alla parte canadese, appunto, che appartiene Louis Boucher. […] Alcuni, da questo gruppo, scelsero poi, negli Usa, soprattutto New Orleans. Questa sezione dell’albero genealogico del Papa comprende anche quattro antenati bianchi proprietari di schiavi, ma lo erano anche almeno otto antenati afroamericani» (Ester Palma). «Normandia, 1944: nella notte tra il 5 e il 6 giugno prese il via l’operazione Overlord, il dispiegamento aeronavale pianificato dal generale Dwight D. Eisenhower per fermare il nazifascismo in Francia e in Europa, […] che resterà nella storia con il nome di D-Day. Nel giorno dell’assalto alla “fortezza Europa”, sulle coste francesi c’era anche Louis Marius Prevost, classe 1920, nato il 28 luglio, numero di matricola 310935, ufficiale della Marina degli Stati Uniti e padre di Leone XIV. […] Nel dopoguerra Prevost tornò a casa e svolse l’attività di insegnante. Fu preside del distretto scolastico 167 di Brookwood, poi della Mount Carmel Elementary School di Chicago e catechista. Il 25 gennaio 1949 sposò Mildred Agnes Martínez e la coppia ebbe tre figli: Louis Martín, John Joseph e Robert Francis, futuro papa Leone XIV» (Vincenzo Grienti). «Il padre di Prevost, di origini francesi e italiane, era catechista in una parrocchia di Chicago, e in casa il futuro cardinale vedeva passare spesso sacerdoti e vescovi, che si fermavano spesso a pranzo per gustare famosi piatti della cucina spagnola preparati dalla madre. Una gran cuoca» (Franca Giansoldati). Da un’intervista di Paolo Mastrolilli al fratello John Prevost: «Com’era Robert da bambino? “Abbiamo avuto un’infanzia normale, lui, io e Louis, il terzo fratello”. È vero che giocava a fare il papa? “No. Però è strano, tutti e tre sapevamo cosa volevamo fare fin da piccoli. Rob aveva la vocazione, sapeva che sarebbe diventato prete da quando ha imparato a camminare. Giocava a fare il sacerdote, con l’asse da stiro usata come altare. Distribuiva la comunione usando i Necco Wafers (dei biscotti tondi e colorati, ndr), mentre noi giocavamo a guardie e ladri. Io poi fingevo di essere l’insegnante e Louis il preside, cosa che poi abbiamo fatto davvero nella vita”». «Ha passato l’infanzia e l’adolescenza negli Stati Uniti, studiando prima nel seminario minore dei padri agostiniani e poi alla Villanova University, in Pennsylvania, dove nel 1977 si è laureato in Matematica e ha studiato Filosofia. Il 1° settembre dello stesso anno, a Saint Louis, entra nel noviziato dell’Ordine di Sant’Agostino, nella provincia di Nostra Signora del Buon Consiglio di Chicago, ed emette la prima professione il 2 settembre 1978. Il 29 agosto 1981 pronuncia i voti solenni. Dopo il diploma in Teologia, a ventisette anni viene inviato dai superiori a Roma per studiare Diritto canonico all’Angelicum, la pontificia Università San Tommaso d’Aquino. È a Roma che viene ordinato sacerdote, il 19 giugno 1982. È a questo punto che comincia la sua lunga esperienza in missione in Perù. Mentre prepara la tesi di dottorato, tra il 1985 e il 1986, viene mandato nella missione agostiniana di Chulucanas, in Piura. Nel 1987 discute la tesi dottorale su Il ruolo del priore locale dell’Ordine di Sant’Agostino ed è nominato direttore delle vocazioni e direttore delle missioni della provincia agostiniana Madre del Buon Consiglio di Olympia Fields, in Illinois. Ma l’anno successivo torna in Perù e raggiunge la missione di Trujillo, come direttore del progetto di formazione comune degli aspiranti agostiniani dei vicariati di Chulucanas, Iquitos e Apurímac. Nell’arco di undici anni ricopre gli incarichi di priore della comunità (1988-1992), direttore della formazione (1988-1998) e insegnante dei professi (1992-1998) e nell’arcidiocesi di Trujillo di vicario giudiziale (1989-1998) e di professore di Diritto canonico, Patristica e Morale nel Seminario maggiore San Carlos e San Marcelo. Gli viene affidata la cura pastorale di Nostra Signora Madre della Chiesa, nella periferia povera della città, ed è amministratore parrocchiale di Nostra Signora di Monserrat da 1992 al 1999. Nel 1999 è eletto priore provinciale della provincia agostiniana Madre del Buon Consiglio di Chicago, e due anni e mezzo dopo, al capitolo generale ordinario dell’Ordine di Sant’Agostino, i suoi confratelli lo scelgono come priore generale, confermandolo nel 2007 per un secondo mandato. Nell’ottobre 2013 torna nella sua provincia agostiniana, a Chicago, ed è direttore della formazione nel convento di Sant’Agostino, primo consigliere e vicario provinciale; incarichi che ricopre fino a quando papa Francesco lo nomina, il 3 novembre 2014, amministratore apostolico della diocesi peruviana di Chiclayo e al contempo vescovo titolare di Sufar. Il 7 novembre fa l’ingresso in diocesi e viene ordinato vescovo il 12 dicembre, festa di Nostra Signora di Guadalupe, nella cattedrale di Santa Maria. Il 26 settembre 2015 Francesco lo nomina vescovo di Chiclayo» (Gian Guido Vecchi). «L’avventura di fede di padre Prevost in Perù è durata quattro decadi ed è incominciata come viceparroco in una chiesa di periferia. Arrivava da Chicago, non aveva neanche trent’anni. È stato un viaggio che il futuro Papa Leone XIV ha compiuto anche a bordo dell’auto scassata con cui ha portato quotidianamente i novizi dalla casa degli agostiniani al seminario, dove diventava anche il loro maestro. È un sentiero che ha salito, a cavallo e poi a piedi, sulla china di montagne impervie, spesso battute dalla pioggia, verso villaggi remoti, recuperando le forze la notte sui pagliericci offerti dai contadini. Ha detto molte messe all’aperto. Ha acceso un fuoco, in una Pasqua di tanti anni fa, per celebrare la funzione del sabato all’imbrunire, in un luogo che non era raggiunto dall’elettricità. Ha portato a valle tanti giovani, per farli studiare. Lo racconta padre Ramiro Castillo, uno di quegli studenti. […] Quando Robert Francis Prevost raggiunse Chulucanas, ai piedi delle alture del Nord, era il 1985 e trovò quello che cercava: la miseria. Rimase due anni, facendo il segretario al vescovo e il vicario parrocchiale, poi si spostò in Vaticano per studiare diritto canonico, salvo tornare di corsa in Perù appena finito. “Lo conobbi nel 1996. Era rientrato qui a Trujillo, sulla costa”, racconta padre Ramiro. […] “Quasi subito”, ricorda, “iniziammo con le missioni in montagna. Scarpe robuste, zaino in spalla, tragitti a cavallo ma soprattutto tante ore di camminata in salita”. Il loro obiettivo era raggiungere le popolazioni isolate, tra cui padre Ramiro dice esistere “una fede profonda, un’accoglienza e una gratitudine senza confini”. […] Chiedevano ospitalità nelle case che trovavano. “Tra le sistemazioni migliori c’erano le panche su cui buttavamo la paglia”, sennò c’era l’accampamento sul sentiero. L’abito talare era una maglietta. Avevano la chitarra a tracolla. […] Il loro scopo era soprattutto quello di portare carità e iscrivere a scuola i giovani. “I nostri territori sono stati a lungo colpiti dal fenomeno meteo del Niño”, dice Castillo: “i contadini sono messi a dura prova, e lui aveva capito quanto il cambiamento climatico fosse una minaccia per i poveri, e come un titolo di studio avrebbe permesso loro di emanciparsi”. Parliamo di quello che, già divenuto vescovo di Chiclayo (“la mia amata diocesi”, nel suo primo discorso da papa), ha fondato la Commissione ecologica e ha camminato nel fango durante le alluvioni del 2023» (Filippo Fiorini). «Il 30 gennaio 2023 il cardinale con doppia cittadinanza [statunitense e peruviana, quest’ultima conferitagli nel 2015 per consentirgli di diventare vescovo in Perù – ndr] viene chiamato a Roma, dove assume l’incarico di prefetto del dicastero per i Vescovi e presidente della pontificia commissione per l’America Latina. Prevost viene creato cardinale nel concistoro del 30 settembre 2023 e gli viene assegnata la diaconia di Santa Monica, presso il Collegio internazionale Santa Monica, retto dagli agostiniani, in piazza del Sant’Uffizio. Prevost ne prende possesso la mattina di domenica 20 gennaio 2024» (Roberto Zichittella). «Prevost […] in curia, in questi anni, si è distinto per aver condiviso tutta la linea riformatrice di papa Francesco, il quale lo scelse per ricoprire il ruolo di prefetto del dicastero dei Vescovi, un centro nevralgico di potere da dove provengono i futuri pastori. In questi anni da lì sono uscite centinaia di nomine di peso, una vera e propria fucina di nuovi pastori destinati a svecchiare una Chiesa ritenuta (anche da Prevost) troppo ingessata, sensibilizzandoli alla cura delle ferite della gente, a essere più aperti piuttosto che inflessibili giudici. Il lavoro di Prevost in curia si è caratterizzato per la fedeltà assoluta a Bergoglio. L’anno scorso, in un delicato frangente sul cammino sinodale, ha saputo dimostrare una certa attitudine alla mediazione quando si è ritrovato, a fianco del cardinale Parolin, segretario di Stato, a dipanare il contenzioso emerso tra il Vaticano e la Chiesa tedesca, che, all’epoca, spingeva per una serie di riforme ritenute da Roma eccessive e troppo moderniste, tra cui l’istituzione in Germania di un comitato sinodale autonomo. Prevost si rese conto che se non fosse stato bloccato in tempo quel progetto sarebbe sfuggito di mano» (Giansoldati). Al conclave tenutosi in seguito alla morte di papa Francesco (1936-2025), Prevost è stato eletto papa al quarto scrutinio, scegliendo per sé il nome pontificale di Leone XIV. «Lui stesso ha detto di aver scelto il nome “Leone” per via di Leone XIII, cioè l’ultimo Leone prima di lui, che nel 1891 diede al mondo l’enciclica Rerum novarum. Leone XIV ha detto che, come con la Rerum novarum Leone XIII affrontò i nuovi tempi dell’èra industriale, allo stesso modo lui, dandosi il nome di Leone, intende metter la Chiesa in condizione di confrontarsi con i nuovi tempi dell’intelligenza artificiale. […] Io penso però che anche gli altri Leoni – e specialmente il Primo, che fermò Attila a Governolo, e il Decimo, che dovette vedersela con Lutero – abbiano in qualche modo contribuito al codice genetico-religioso del nostro nuovo papa» (Giorgio Dell’Arti). «Il primo papa statunitense, il secondo americano dopo Bergoglio, Leone XIV […] si presenta dalla Loggia parlando di pace e di una “chiesa sinodale e missionaria”. […] Ha fatto il suo saluto leggendo inizialmente un testo scritto e ha dato un nome e un cognome alla prima urgenza globale che il mondo intero si trova ormai di fronte invocando “una pace disarmata e disarmante”» (Fausta Speranza). «In questi cento e più giorni, Leone ha mandato più d’un segnale, peraltro non sorprendente se si ricordano i suoi primi interventi. Ha ricevuto cardinali che erano stati relegati ai margini nel precedente pontificato (uno su tutti, il cardinale Raymond Leo Burke), ma ha ricevuto […] anche James Martin, attivista per la causa lgbtqi+. Ha concesso udienza a Matteo Salvini, che Francesco non voleva vedere neppure in cartolina. […] Leone ha ribaltato la narrazione vaticana sul conflitto russo-ucraino – lui, come si sa, pensa che quella putiniana sia “un’invasione imperialista” che comporta “crimini contro l’umanità” –, ricevendo Zelenskyj e più d’una volta il capo e padre della Chiesa greco-cattolica locale. Ha evitato di parlare di genocidio in merito al dramma del Vicino Oriente ma ha pubblicamente denunciato gli eccessi del governo israeliano fino al punto di smentire la ricostruzione di Netanyahu sul cosiddetto “errore di tiro” che a luglio ha colpito la parrocchia della Sacra Famiglia a Gaza. Il tutto senza prese di posizione rumorose, interviste o comparsate televisive. […] I segnali dell’estate leonina sono improntati al rispetto di quell’auspicio categorico pronunciato davanti ai cardinali nella messa pro Ecclesia all’indomani dell’elezione: sparire perché rimanga Cristo. Che significa dare a Lui e a Lui soltanto lo spazio centrale. Tutto deve puntare lì e nulla deve distrarre» (Matteo Matzuzzi) • «Cosa le piace fare quando ha un momento libero? “Mi considero un tennista dilettante. […] Mi piace molto leggere, fare lunghe passeggiate, viaggiare, vedere posti nuovi e godermi la campagna in un ambiente diverso. Mi piace rilassarmi con gli amici e conoscere delle persone molto diverse, dai cui doni imparo e apprezzo molto. […] Penso che questo sia uno dei doni più meravigliosi, l’amicizia, che Dio ci ha dato”» (Ricardo Morales Jiménez) • «Gli piace ogni genere di musica, anche quella pop. […] È un tifoso sfegatato di una delle due squadre di baseball di Chicago, gli White Sox» (il fratello John a Paolo Mastrolilli) • «Chi lo conosce bene racconta che il suo fare cordiale in realtà nasconda il pugno di ferro in un guanto di velluto: un uomo deciso ma con un certo garbo» (Giansoldati) • «Secondo il New York Times, “il cardinale […] condivide con Francesco l’impegno verso i poveri e i migranti”. Spesso descritto come riservato e discreto, si distingue da Francesco nello stile. I suoi sostenitori sottolineano che con ogni probabilità continuerà la linea della sinodalità, delle consultazioni e dell’apertura voluta da Jorge Mario Bergoglio per coinvolgere i laici negli incontri con i vescovi. Meno netto il suo approccio nei confronti di cattolici gay, lesbiche, bisessuali e transgender. In un discorso rivolto ai vescovi nel 2012 lamentava che i media occidentali e la cultura popolare alimentassero “simpatia per credenze e pratiche in contrasto con il Vangelo”. Prevost citava in particolare “lo stile di vita omosessuale” e “le famiglie alternative composte da partner dello stesso sesso e dai loro figli adottivi”» (Vincenzo Giardina). «Sotto il pontificato di Francesco ha manifestato più volte una visione aperta su tanti terreni, tuttavia Prevost ha sempre espresso un giudizio negativo sul sacerdozio femminile» (Giansoldati) • «Prevost riconcilia la Chiesa con gli Usa, con cui Bergoglio aveva un pessimo rapporto. […] Prevost non sarà un nuovo Francesco. Non nel nome. Non nell’abbigliamento: ha ripristinato stola, mozzetta, rocchetto e croce d’oro, come Ratzinger. Non nel linguaggio, che fin dall’inizio non ha lasciato nulla all’improvvisazione. Ma non per questo riporterà indietro la storia della Chiesa» (Aldo Cazzullo). «Ha una visione globale della Chiesa, formata sul campo. Non è considerato un “rivoluzionario”, ma neppure un conservatore rigido. Alcuni lo definiscono un “pragmatico spirituale”: sa muoversi tra diplomazia e pastorale, dottrina e discernimento. […] Un papa con un cuore missionario, una mente organizzativa, un profondo senso della tradizione e una voce che può parlare al Nord e al Sud del mondo, cattolico e non solo» (Domenico Agasso e Giacomo Galeazzi). «Finora si è posto l’accento sulla “mitezza” del Papa, al punto da confonderla con la debolezza. Nell’epoca in cui tutto è immediato e dopo la stagione bergogliana caratterizzata non di rado da gesti impulsivi, la calma prevostiana può risultare ostica alla comprensione. Quasi fuori dal tempo, non sincronizzata con il mondo veloce, dove tutto cambia con una rapidità forsennata. Eppure, altro non è che un ritorno ai ritmi consueti della Chiesa, che sono lenti» (Matzuzzi) • «Mi considero ancora missionario. La mia vocazione, come quella di ogni cristiano, è l’essere missionario, annunciare il Vangelo là dove uno si trova» (ad Andrea Tornielli, nel maggio 2023).