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 2025  settembre 22 Lunedì calendario

Biografia di Yorgos Lanthimos

Yorgos Lanthimos, nato ad Atene il 23 settembre 1973 (52 anni). Regista cinematografico, sceneggiatore e produttore. Con Poor Things (Povere creature!) nel 2023 ha vinto il Leone d’oro al Festival di Venezia ed è stato candidato all’Oscar per il miglior film e la miglior regia. Tra gli altri suoi film Kynodontas (2009, vincitore della sezione Un Certain Regard del Festival di Cannes), Alps (2011, premio Osella per la migliore sceneggiatura a Venezia), The Lobster (2015, premio della giuria a Cannes), The Favourite (2018, premio della giuria a Venezia, candidato all’Oscar per il miglior film e la miglior regia), Kinds of Kindness (2024, Golden Globe per la migliore commedia) e Bugonia (2025) • «All’inizio mi mettevo sulla difensiva quando mi dicevano che i miei film erano provocatori, ma poi ho capito che è vero. Quello che voglio fare è provocare pensieri e discussioni. Mi piace l’imbarazzo, e penso sia un sentimento importante perché genera una specie di sete che ti fa dubitare delle cose» • «È uno dei pochi autori cinematografici per i quali si può dire che abbiano appassionato una generazione di spettatori – quelli che si sono avvicinati al cinema negli anni in cui si è fatto conoscere (tra il 2009 e il 2018) – e che siano stati capaci di influenzare prima il cinema europeo e poi, anche se con più difficoltà, quello statunitense. Inizialmente i suoi film erano considerati parte di una nuova ondata culturale proveniente dalla Grecia in seguito agli anni della crisi economica. Il suo stile e il suo approccio sembravano derivare da una sfiducia nelle istituzioni e in ogni forma di potere, raccontavano con pessimismo una società marcia. Lo stile dei suoi primi tre film, Kinetta, Dogtooth e Alps (gli unici della sua carriera prodotti e girati in Grecia), si basa sulla capacità di evocare fastidio e disagio, e sulla creazione di situazioni improbabili e paradossali all’interno di scenari molto ordinari. […] In quei film la famiglia, lo stato e le convenzioni sociali vengono criticate oppure ritratte come nuclei infernali attraverso un umorismo cinico e molto originale, che è anche oggi, dopo molti cambiamenti, ancora la parte più riconoscibile dei film di Lanthimos. Per definire il suo umorismo spesso viene usato il termine “deadpan”, cioè quel tipo di ironia portata avanti con serietà, fingendo che nulla di divertente sia accaduto o sia stato detto. Lanthimos non ha però mai accettato la definizione, come spiegò al New York Times: “Non so cosa significhi deadpan. È quello che si dice ogni volta davanti a un’emotività non estrema. Vedo che molti attori recitano in modi melodrammatici, ma non è quello che vedi fare alle persone nella vita vera”. Questi film furono realizzati con budget piccoli e mezzi limitati, perché in Grecia non esiste un’industria del cinema. [...] Lanthimos iniziò la propria carriera da regista girando video musicali e spot pubblicitari, ma a differenza di altri registi che hanno imparato il mestiere in questa maniera, i suoi film non hanno la capacità di sintesi, il montaggio serrato o il buon rapporto con le musiche dei videoclip o delle pubblicità. Al contrario quello che li ha caratterizzati, almeno inizialmente, era la scrittura. Con l’esclusione di Kinetta, i primi 5 film della sua carriera sono stati sceneggiati insieme a Efthymis Filippou, sceneggiatore che aveva lavorato con Lanthimos in un’agenzia pubblicitaria. Dogtooth, la storia di una coppia di genitori che inganna i figli per tenerli chiusi in casa, vinse il premio Un Certain Regard a Cannes nel 2009 e Alps, su alcune persone che vengono assunte dai parenti o amici di persone morte per interpretare i cari defunti, il premio per la miglior sceneggiatura a Venezia nel 2011. Questi due successi consentirono a Lanthimos di fare un passo in avanti, e cioè girare il suo quinto film, The Lobster, in inglese e con attori di primo piano come Colin Farrell, Rachel Weisz, Olivia Colman, John C. Reilly e Lea Seydoux» (il Post) • «Lanthimos si è fatto voce nella desolazione industriale e urbanistica greca, dando forma a un dissenso culturale che ha riportato l’attenzione della critica sul cinema greco dopo lunghi anni di vuoto. La Grecia è tornata così a mostrarsi come un laboratorio brulicante di cultura sentimentale e sessuale che fa fronte al baratro con un mix di angoscia e apatia. Per parlare del suo cinema sono stati chiamati in causa parallelismi e confronti con Kubrick, Cronenberg, Haneke e Tarkovskij: c’entrano tutti e non c’entra nessuno. Volendo, piuttosto, si potrebbero tirare in ballo Pasolini e Roy Andersson (ma non lo faremo). Come scrive Giulio Sangiorgio nell’introduzione di Anestesia di solitudini, la prima monografia italiana dedicata al regista greco (firmata da Roberto Lasagna, Benedetta Pallavidino, edita da Mimesis), “Lanthimos, per lo stile marcato e la Weltanschauung provocatoria, è riuscito a imporsi come un brand: ovvero l’ultima residua forma dell’autorialità (si veda il caso di Nicolas Winding Refn e del suo Nwr, un vero e proprio marchio). Come un brand è stato copiato (la new wave del cinema greco dipende soprattutto dal suo successo, come se il film à la Lanthimos fosse un genere a sé stante, fatto di limpide geometrie, sguardo cinico, realismo paradossale, a un passo dal surreale)”. Lanthimos, zompando da un festival all’altro, si è imposto all’attenzione della critica e del pubblico cinefilo prima, fino ad approdare anche agli Oscar e a un pubblico più mainstream, grazie soprattutto al Leone d’Oro per Povere Creature! (2023), una favola eccentrica e grottesca – con impianto barocco e narrazione didascalica – che il pubblico ha apprezzato, accogliendolo inconsciamente come l’alternativa a Barbie per chi legge Bolaño» (Lorenzo Peroni) • Ti piacerebbe tornare a fare film nel tuo paese d’origine? «Se trovassi una storia che mi interessa, che si presta a essere raccontata nella mia lingua e che si sposa con il paesaggio greco, non avrei nessun problema a tornare. Anzi, ti confesso che a furia di lavorare fuori dalla Grecia, mi sento greco sempre di più. Quindi farei più che volentieri un film nella mia terra». Qual è la differenza tra lavorare in Grecia e all’estero? «È diversa la cultura, la mentalità, e anche il modo di lavorare. Ho cominciato a fare film in Grecia grazie all’amicizia e alla generosità delle persone che mi stavano intorno. Con i miei collaboratori facevamo film solo per il piacere di farli. C’era addirittura chi, non solo accettava di lavorare gratuitamente o per pochissimi soldi, ma investiva i propri risparmi nel film, oppure ci metteva a disposizione vestiti, macchine e case pur di permetterci di girare. Con questo non voglio dire che fosse il modo migliore di fare film, ma era l’unico modo». E ora? «Fare un film inglese in costume, a Londra, è tutta un’altra cosa. Anche perché quando ti trovi in un contesto più strutturato e professionale, è difficile ottenere quella stessa disponibilità, spontaneità e generosità di cui godevo agli inizi della mia carriera. In questo senso è stata dura lavorare in quelle condizioni così estreme, ma anche molto utile. Ho imparato molto» (a Marco Cacioppo) • «Negli anni gli attori e le attrici che hanno lavorato con lui hanno descritto la sua maniera di dirigerli come fondata sul loro istinto più che sull’esecuzione del copione alla lettera. The Lobster racconta la storia di un gruppo di persone che, non avendo trovato un partner, vengono portate in un hotel in una località remota, dove hanno un’ultima possibilità di formare una coppia con qualcuno: se non ci riescono entro 45 giorni diventeranno degli animali. Per produrlo con i soldi necessari a farne un film all’altezza delle star che aveva a disposizione fu necessario mettere insieme sedici tra società di produzione e fondi nazionali di cinque paesi europei. Selezionato per la competizione principale di Cannes nel 2015 vinse il Premio della giuria, cosa che rese più semplice produrre il suo film successivo, Il sacrificio del cervo sacro, nonostante fosse ancora più ambizioso. Il film, con Colin Farrell, Nicole Kidman e Barry Keoghan, fu di nuovo preso in competizione a Cannes nel 2017 e vinse il premio per la miglior sceneggiatura. Questi primi due film in inglese costituirono anche un cambio di genere e di linguaggio. Rispetto ai film greci le istituzioni sociali erano meno prese di mira, e invece lo erano sempre di più i rapporti personali (e la famiglia): non c’era più la realtà quotidiana dei primi film, ma elementi di fantasia e di mistero. A uscirne enfatizzato era il suo particolare umorismo nero» (il Post) • «Il Leone d’oro alle Povere creature! di Yorgos Lanthimos fa battere all’unisono cuori (e mani) di pubblico, critica e giuria di Venezia. Emma Stone, che non vince la Coppa Volpi solo perché i due premi non sono cumulabili, è la sfrontata Frankenstein che compie un percorso di autoconsapevolezza in un film che rompe gioiosamente gli schemi di femminismo e patriarcato. “Ci sono voluti parecchi anni perché l’industria e il mondo fossero pronti a questo film – dice Lanthimos sul palco – Ringrazio la mia squadra di donne stupende e Bella Baxter, creatura fantastica che non esisterebbe senza Emma Stone: questo film è suo”. Lanthimos abbandona gli intellettualismi, le aragoste e i cervi dei lavori precedenti per un’opera che punta a conquistare il grande pubblico» (Arianna Finos) • «Vado controcorrente: Povere creature!, il film di Yorgos Lanthimos che sta suscitando cori di encomi, l’ho visto ma non lo rivedrei. Grandissima Emma Stone, altrettanto Mark Ruffalo, per carità. Ma lo sviluppo del personaggio è in gran parte legato all’esperienza sessuale (con parti sovrabbondanti che nulla aggiungono e che non sono necessarie alla “rivelazione” finale) mentre certi bei momenti, come la drammatica presa d’atto del dolore nel mondo, vengono lasciati un po’ lì o danno occasione per scene macchiettistiche. L’evoluzione politica e sociale della protagonista Bella è accennata: diventa socialista non si sa bene come. Ho riso di gusto per alcuni scambi di battute, e per colpi di genio come il ballo a Lisbona, mi sono annoiato per tanti, forse troppi minuti» (Gianni Macheda) • Paolo Mereghetti su Bugonia: «All’uscita dalla sala avrei voluto essere Fantozzi: sì, il nuovo film di Yorgos Lanthimos mi è sembrato proprio una “cagata pazzesca”, inutilmente farsesco, falsamente provocatorio, stupidamente cospirazionista. Racconta di un redneck (Jesse Plemons) che con l’aiuto del nipote non troppo sveglio (Aidan Delbis) rapisce la Ceo di una mega industria farmaceutica (Emma Stone), non tanto perché la madre è in coma per colpa di un suo farmaco ma perché è convinto che sia un’aliena proveniente da Adromeda, avanguardia di una invasione che sta impadronendosi del nostro pianeta. […] Lanthimos aggiunge il proverbiale disprezzo verso i suoi protagonisti: sembra che provi un perverso piacere nel farli apparire sotto il loro peggior aspetto, qui rapando a zero la Stone e facendo di Plemons una specie di selvaggio invasato, per arrivare a un finale più stupido che sorprendente. In parole povere: un fallimento totale» • Sposato con l’attrice francese Ariane Labed (1984).