30 settembre 2025
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Biografia di Maurizio Maggiani
Maurizio Maggiani, nato a Castelnuovo Magra (La Spezia) il 1° ottobre 1951 (74 anni). Scrittore (23 libri. Vincitore di numerosi premi letterari, tra i quali: 1 Campiello e 1 Premio Viareggio nel 1995 per Il coraggio del pettirosso; 1 Strega nel 2005 per Il viaggiatore notturno; 1 Premio Elsa Morante nel 2015 per Il romanzo della nazione). Giornalista (Collaborazioni con varie testate. In particolare ha lavorato per molti anni come columnist per il Secolo XIX). Podcaster (Il viaggiatore zoppo; Il pane quotidiano) • «Non ama essere definito “scrittore”, preferisce “narratore”. È anche polemista e autore di invettive [Vittorio Zincone, 7].
Titoli di testa «Vivo della scrittura, non solo economicamente, ma anche affettivamente, culturalmente. Ci sto bene, mi piace, mi sento appagato e fortunato» [Elvira Serra, Cds].
Vita «La leggenda narra che il nome di Garibaldi sia venuto a mio nonno materno in tenerissima età. Aveva più o meno tre anni quando fu portato con tutta la famiglia a ricevere alla stazione di Sarzana uno zio che tornava da una delle campagne garibaldine. Lo zio prese in braccio il nipotino e gli calò sulla testa il suo berretto garibaldino. La famiglia, in visibilio, acclamò il bambinello come “Garibaldi”. E da quel giorno così è stato. […] Un uomo alto, imponente, carattere indomito, temperamento rivoltoso [Maurizio Maggiani, feltrinellieditore.it] • Il padre, Dino Maggiani, viene arruolato nell’esercito come marconista. Combatte nella Campagna d’Africa fino a El Alamein. Scampato alla battaglia, alla ritirata e a una terribile febbre quartana, si ritrova a Roma durante l’8 settembre. Messo davanti alla scelta tra il campo di concentramento e la Repubblica Sociale «Scelse la vita e la Repubblica, ma gli bastarono un paio di giorni per capire cos’era e gli ci volle una settimana per trovare il modo di riprendere la strada di casa». Condannato a morte in contumacia, sale sull’Appennino e diventa partigiano nel battaglione Lucetti fino al termine della guerra [Maggiani, Sta] • Sua madre si chiama Maria, perché il prete si rifiutò di battezzarla con il nome scelto dal padre: Adorna, come la sua mula preferita. Lavora come magliara [Maggiani e Luigi Bianconi, Sta] • Maurizio e più tardi la sorella Anna nascono e crescono in una famiglia molto numerosa «nella casa costruita da mio nonno con gli scarti della fornace di mattoni del paese […] La casa aveva un’aia, un orto e al di là dell’orto i campi che i miei avevano in affitto per coltivare patate, cavoli e formentone; lì io sono cresciuto indisturbato e felice» [Maggiani, mauriziomaggiani.feltrinellieditore.it] «Sono stato amato, molto amato. La mia era una famiglia di contadini molto poveri eppure non ho mai sentito per tutto il tempo in cui ho vissuto in quella casa la povertà, era una famiglia molto fiera, molto orgogliosa, quello che mi è stato insegnato è che siamo tutti signori, perché questo è il principio dell’anarchia, che siamo tutti uguali non perché siamo tutti servi, ma perché siamo tutti signori, l’importante è saperlo e condursi nella vita vivendo in questo principio» [Venturino, trucioli.it] • «Io sono un anarchico, un libertario, e se non bastasse, persino un mazziniano. Mio nonno, contadino semianalfabeta con non più di una manciata di parole in bocca, mi spiegò l’anarchia così, “l’anarchia a vo dir che a san tuti uguali no perché a san tuti servi, ma perché a san tuti signori.” La signorilità dei miserabili, dei vinti, degli oppressi, degli irredenti che non si consegnano al potere della storia, la signorilità di Don Quijote. E così, ero ancora un ragazzo, quando ho chiesto cosa fosse l’anarchia al più eminente tra gli anarchici del paese, detto il Bakunin, combattente nella brigata internazionale in Spagna, eroe della resistenza, tutto quello che ebbe da dirmi fu, “l’anarchia, né ‘gno, an se po’ dire” [Maggiani, Sta] • «Ci ho messo un bel po’ a capirlo, a farmi una ragione di un’idea che prefigura un’altra storia da questa, e un’altra umanità, non solo la futura, ma la nuova umanità. Il vecchio Bakunin non l’avrebbe vista, né io la vedrò, ma la sua e la mia signorilità sono mattoni che si aggiungono ad infiniti altri nella sua costruzione, e questo è il nostro orgoglio, l’irriducibile amore. Per questo mi ripugnano e provo infinita vergogna per i ladri che si sono impadroniti del nome santo d’Anarchia per farne un’informale federazione di dediti alla delinquenza che non mi riesce di immaginarla politica» [ibid.] • «La sera, dopo cena, si toglievano i piatti dalla tavola e si cominciava a raccontare. Ed è stato proprio lì che ho appreso la tecnica complessa e articolata, naturalmente spiraliforme, del racconto. Rimanevo in ascolto e, a poco a poco, scivolavo nel dormiveglia, poi una delle zie mi portava a letto. […] Qui mi addormentavo, con ancora tutti i racconti nella testa. Al mattino ero ancora pieno del mistero e della bellezza di questi racconti e sogni… La mia percezione della realtà, da sempre, è permeata dalla dimensione immaginaria del sogno e del racconto e per questo è complicata ma, non appena ho accettato questo fatto, sono diventato uno scrittore. Quando scrivo un romanzo lavoro anche tre o quattro anni per documentarmi scrupolosamente su dati, fonti, testimonianze, senza tuttavia prendere mai appunti perché desidero che sia la realtà della mia immaginazione a configurare la storia» [Irene Palladini, site.unibo.it] • Il primo contatto con i libri è nella piccola biblioteca domestica: si crea un «rapporto viscerale […] C’era l’Orlando furioso, una Divina Commedia in grande formato, c’erano libri di Victor Hugo, di Dickens, una storia del mondo, un’altra sulla nascita dell’uomo, la storia d’Italia e due o tre libri di Mazzini…A tre anni ho cominciato a tenere in mano quei libri, a guardarli, perché erano libri illustrati. La Divina Commedia, per esempio, aveva le illustrazioni del famosissimo Gustave Doré. Andavo pazzo per quelle immagini di mondi fantastici [Alice Barontini, parchiletterari.com] • Il padre sposta moglie e figli per lavorare a La Spezia nell’edilizia come operaio autonomo: il piccolo Maurizio vive «un’urbanizzazione dolorosissima. Ricordo la mia prima giovinezza come un periodo orribile, un’esperienza tragica» [Barbara Fabiani, vita.it] • «A scuola ero in una classe dove tutti erano figli di professionisti, mentre io ero l’unico figlio di operaio. Così ho cominciato a leggere perché era il modo migliore e più proficuo per andarmene da qualche altra parte» [Barontini, cit.] • Supera l’esame di scuola elementare e i genitori decidono di iscriverlo, primo tra i Maggiani, alle medie. Lui non è affatto d’accordo: vorrebbe diventare meccanico [Maggiani, Il Secolo XIX] • «Amaramente incespicavo nel faticoso passaggio della pubertà all’adolescenza, intorno ai tredici, quattordici anni, una contingenza che peggio non saprei ricordare, tempi di mesta, avvilita solitudine, di contrita frustrazione, di nera povertà» [Maggiani, Rep] • La scuola va male; viene cacciato dall’oratorio; a casa l’atmosfera è di «affaticata severità, lontananza». A salvarlo interviene l’improvvisa accettazione in una piccola banda di coetanei, votata a confermare l’esistenza degli alieni (leggono Peter Kolosimo) [ibid.] e la frequentazione di Gioventù Studentesca: «Essere riconosciuto come individuo e amato per la mia individualità, apprezzato per quello che potevo dare e ascoltato per quello che potevo sognare, mi ha salvato la vita» [Fabiani, cit.] • Riesce a diplomarsi e passa alle scuole superiori • «Nell’estate del ’68 avevo 17 anni, l’anno dopo avrei cominciato a lanciare bombe molotov. Ero in campagna dove sono nato, nella Val di Magra: finito il pranzo sotto il pergolo, con quel caldo sciopè, mi alzavo, andavo al bar del paese, fumavo, bevevo un amaro, mettevo 50 lire nel juke-box e ascoltavo Azzurro» [Paolo Di Stefano, La Lettura] • «In tutta la mia esperienza di rivoluzione ho fatto tre giorni di galera. Mi dovevano dare tre anni minimo per quello che avevo fatto: occupazione del suolo pubblico, interruzione del pubblico ufficio». Lancio di molotov al comizio di Almirante [Simone Cerlini, pangea.news] • Gli chiedo del ’68. «Una sollevazione generazionale globale. Nella generazione dei nostri padri il 95 per cento andava a lavorare a 12 anni. La mia è la prima generazione della storia in cui il 90 per cento ha potuto studiare. Sono arrivato a 18 anni fresco, riposato, fancazzista. Avevamo una quantità enorme di energia, non quella di chi si ribella per la fame materiale, l’energia di chi si ribella per la fame spirituale, culturale. Un lusso straordinario. Gli esiti di questa sollevazione? Siccome non abbiamo fatto un cazzo fino a 18 anni tanto valeva arrivare belli freschi anche a 60 anni. E siamo rimasti una generazione di adolescenti. Che pensano di essere immortali e che hanno fatto in modo che i propri figli non crescessero per non farsi rubare il posto di adolescenti. Ecco che voi siete una generazione di castrati globali dai propri genitori» [Martino Chieffo, gagarin-magazine.it] • «Sono stato dentro Lotta Continua per molti anni. La mia generazione ha avuto in dono dai padri molto tempo e la possibilità di istruirsi. E con quel tempo che cosa ci abbiamo fatto? Lo abbiamo dissipato. Abbiamo fantasticato» [Zincone, cit.] • «Sono stato licenziato con il diploma magistrale e il consiglio di proseguire gli studi alla facoltà di architettura; questo a ragione di una propensione all’arte che i miei esaminatori avevano intravisto non saprei dire dove, se non nel fatto che non ero bravo in niente, ma avevo una macchina fotografica e ci scattavo delle fotografie […] Tre mesi dopo il diploma facevo già il maestro nella quinta classe di un prefabbricato che faceva da scuola nella periferia operaia della città. Avevo diciannove anni e crescevo assieme ai miei alunni; erano gli anni delle sommosse, ed ero certo di lavorare per il mondo nuovo. Ho ancora quella certezza e penso anche di essere stato un buon maestro; ho insegnato nel corso degli anni in carcere, nelle sezioni speciali per handicappati e in quelle sperimentali per il loro inserimento, e oggi so che è il più bel mestiere che abbia mai fatto» [Maggiani, mauriziomaggiani.feltrinellieditore.it] • Per Maggiani comincia una movimentata e fortunata litania di esperienze e di mestieri che lo accompagneranno fino all’inizio della sua carriera di scrittore a tempo pieno • La laurea in Filosofia e Pedagogia a Firenze come studente lavoratore [castelnuovomemorie.com] • «Ho cominciato a fotografare le manifestazioni. Perché? Perché tutti dovevano vedere che eravamo tanti a lottare, questa era la mia fissazione» [Maggiani, Narciso Meccanico] «A ventidue anni sono stato chiamato dalla Olivetti nei suoi servizi sociali; […] me ne sono andato via per amare perdutamente una donna. Nel ’74 mi sono procurato il primo videoregistratore portatile in circolazione e ho provato a farci qualcosa con i ragazzini di una scuola di montagna; da allora non ho più smesso di pensare che qualunque strumento è buono per creare qualunque cosa, anche la più meravigliosa. Ma poi sono andato in giro a vendere pompe idrauliche e mi piaceva moltissimo; ho fatto il fotografo industriale, e ho girato film pubblicitari per gli industriali del marmo e gli stagionatori di prosciutti, mentre fabbricavo audiovisivi politici con l’idea che immagini e suoni potessero essere un buon modo per far discutere la gente; a quel tempo funzionava […] Nel momento del bisogno ho fatto anche il mercante di arte contemporanea abbastanza autentica, anche se non del tutto, e venditore di libri, soprattutto dei miei. E nel ‘78 mi sono rotto la schiena facendo delle riprese in una cava di granito, e mi sono cercato un posto adatto a chi si prende una gran paura: sono diventato pubblico impiegato» [Maggiani, mauriziomaggiani.feltrinellieditore.it] • «Nei primissimi anni Ottanta ho comprato un Commodore, che aveva un programma bellissimo: con quattro parole chiave componevi un haiku. Mi piaceva da morire. Poi, nel 1985, ho visto in una vetrina un Apple Macintosh. Io sono un tecnologico, adoro le macchine, vado pazzo per le navi da guerra perché sono i meccanismi più complessi che esistano al mondo: ho la storia della Marina Militare in 18 volumi. Quel Mac era il primo uscito in Italia: era come un foglio di carta, dove potevi scrivere con il carattere che volevi. E la tastiera suonava […] e io mi sentivo come Manzarek, il tastierista dei Doors. Ho fatto cinquantotto cambiali da 100 mila lire l’una […]. Scrivere lì era meraviglioso, così inviai una lettera al Secolo XIX per ricordare la storia della maschera del Teatro civico di La Spezia, Nino. Un omosessuale, zoppo, che, con tutto ciò che passava per quel cinema, aveva in pugno l’intera città. La lettera piacque e così iniziai la mia collaborazione [Maggiani e Manconi, cit.] • Qual è l’errore più grande che ha fatto? «Forse il peggiore è stato comprarmi la moto con cui poi mi sono sfracellato contro una macchina, nel 1985. Stavo per cominciare la mia carriera di direttore della fotografia in una cooperativa di produzione cinematografica. Dopo l’incidente ho fatto avanti e indietro con l’ospedale per tre anni. Ne sono uscito romanziere». [Zincone, cit.] • Nell’87 indirizzai, proprio a penna, una lettera a una donna con la quale avevo un complicato rapporto. Lei voleva sesso, io anche un po’ di sentimento. […] Come si fa con le faccende delicate la feci leggere al mio migliore amico e per strane, tortuose vie, finì nelle mani di Franco Fortini (…) un mattino di settembre, alle quattro, ricevetti una telefonata da Fortini: “Maggiani, il suo è un gran bel racconto, lo mandi al concorso dell’Espresso”. Così mi costrinsi a scriverlo al computer. Da allora non mi è stato possibile fare in altro modo. Ma poi come andò quel concorso? «Sono arrivato primo per la giuria letteraria e ultimo per il pubblico, cioè per il popolo. Cominciarono a telefonarmi degli editori e a tutti rispondevo di non avere nulla nel cassetto. Ed era proprio così. Ma quando il direttore di Editori Riuniti mi chiese ancora una volta: “hai qualcosa da pubblicare?”, mi arresi. […] Mi mandarono un contratto e un assegno di un milione di lire. Così scrissi Mauri Mauri. La quarta di copertina era firmata da Franco Fortini e le prime recensioni furono autorevolissime. […] Ma il libro visse solo quindici giorni, perché gli Editori Riuniti proprio allora entrarono in crisi e collassarono [Maggiani e Manconi, cit.] • Nel 1999 lavora in Rai alla trasmissione La Storia siamo noi. Gli commissionano 130 puntate: arrivato alla 98esima rassegna le dimissioni in seguito a un provvedimento aziendale da lui percepito come una censura [Davide Turrini, Fatto] • Serve a qualcosa nella carriera di un romanziere vincere il Premio Strega? «Lo Strega è il premio degli editori non degli scrittori. Lo vince l’editore capace di accaparrarsi i voti necessari. Serve a vendere più copie. [...] Il vincitore dello Strega comunque si compra. E io sono uno che sa vendere bene, l’ho fatto per mestiere, ho venduto giradischi in Africa. Per gli editori è sesso orale. Vince l’editore che si prostituisce meglio. Non è l’autore che fa la differenza» [ibid.] • Per lo stress generato da queste dinamiche editoriali interne al Premio, nel 2010 rassegna le dimissioni dalla giuria [Cesare Martinetti, Sta] • «Vivo dello scrivere, onorevolmente e con orgoglio mantengo la mia famiglia con il sudore delle mia dita e il patimento dei miei occhi. Come per tutto il resto che di buono mi è capitato nella vita, ed è stato molto, ne sono debitore alle fortunate coincidenze, all’amicizia di uomini e donne generosi, alle strade che cammino e agli incontri che mi regalano» [Maggiani, mauriziomaggiani.feltrinellieditore.it]
Curiosità A causa di un nistagmo infantile è diventato, nel tempo, gravemente ipovedente. «Io non sono miope, ho la retina sfasciata, grandi vuoti e grandi buchi. […] È una distrofia dei coni, per me il contrasto è tutto» [Maggiani e Bianconi, cit.] • Finiamo a parlare di serie TV, ne guarda tantissime «Vorrei farne una perché è il romanzo del 21esimo secolo». Delle italiane salva solo Boris [Chieffo, cit.] • Il film preferito? «Apocalypse now di Francis Ford Coppola». La canzone? «Musica proibita. Voooorrei baciare i tuoi capelli neriiii…». Che fa, canta? «Piango sempre quando sento questa melodia». Il libro? «Casa desolata di Charles Dickens». Il volume che darebbe in mano a un tredicenne per farlo appassionare alla lettura? «Harry Potter» [Zincone, cit.] • Tifa Sampdoria [Maggiani, Il Secolo XIX] • Ha una «passione pulsiva e costante del camminare per la terra e del nuotare per il mare, una necessità profonda […] Lo sport che invece ho eletto a mio cimento di uomo adulto è il tiro al bersaglio» [Maggiani, feltrinellieditore.it]
Amori «Ho imparato il foxtrot e il valzer da dancing, non da balera, in un’epoca in cui le mie zie diciottenni non potendo andare a ballare da sole dovevano portare anche me, che avevo 7 o 8 anni. Al Dancing Carlini, se gli piacevano dei ragazzi ballavano con loro, se non gli piacevano dicevano: no, ballo con lui. E si attaccavano a me» [Di Stefano, La Lettura] • «Le ragazze erano tutte femministe e mi han fatto rigar dritto, però quando ero un ragazzino di 13-14 anni e le volevo senza poterle avere, portavano ancora la sottana di taffetà: è lì che ho imparato la cavalleria, guardando come si comportavano i fidanzati delle mie zie [ibid.] • «A 18 anni ho aderito alla FAI perché a Spezia c’era un signore, Bruno Corsini, che di domenica lasciava volentieri la chiave della sezione a chi ne avesse bisogno per andare a fare l’amore. Ed io ci ho portato la mia prima ragazza nella sezione della FAI!» [Rivista Anarchica] • Lei ha figli? «No, ma è come se ne avessi». Ha cresciuto i figli delle sue compagne di vita? «Ho una discreta carriera nel sangiuseppismo» [Zincone, cit.] • Le donne? Avrà tante ammiratrici. «Ho scelto: nessuna relazione con chi incontro per il mio lavoro. Ho avuto diverse opportunità, non ho mai ceduto» [Serra, cit.] Possibile che qualche uomo non ti abbia mai fatto la corte? «No, non le vedo queste cose. Non mi accorgevo nemmeno quando la corte me la facevano le ragazze. Ho amici omosessuali ma gli faccio schifo» [Davide Turrini, Fatto] • È sposato con Gloria Ghetti, docente di filosofia, da lui soprannominata «La Faenza» • Non c’è da stupirsi che questa sua passione per la diffusione del sapere l’abbia condotta a suo marito, lo scrittore Maurizio Maggiani; correva l’anno... «2005, l’amico Dario Vergassola ci ha fatti incontrare e da allora condividiamo molte cose o meglio, come dice Maurizio, confrontandoci sulle rispettive professioni – mi fa leggere tutti i suoi scritti e vuole la mia opinione – ci valorizziamo a vicenda. Stare insieme è una grande ricchezza» [settesere.it] • Quando lei ha paura, cosa la vince? «Guardare mia moglie» [clonline.org].
Titoli di coda «Penso che il vero nemico sia il destino che ci viene imposto. E credo che la mia vita somigli un poco a questo, a uno sforzo costante per conquistare il destino che mi è stato imposto» [Palladini, cit.].