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 2025  ottobre 14 Martedì calendario

Biografia di Lucio Corsi

Lucio Corsi, nato a Grosseto il 15 ottobre 1993 (32 anni). Cantautore. Musicista. «Cerco le canzoni che m’ingannano, che mi portano avanti nel tempo, indietro nel passato, che mi fanno credere di essere qualcun altro» (a Rachele De Cata) • Figlio unico, «Corsi è cresciuto a Vetulonia (nella Maremma), dove la famiglia gestisce un ristorante nel vicino borgo di Macchiascandona. Madre pittrice, padre artigiano del cuoio» (Elsa Ungari). «Ho avuto la fortuna di crescere in provincia, e in campagna, dove si impara a fare i conti con la noia, che nella vita torna spesso. Sapersi relazionare con la noia mi ha dato la possibilità di imparare uno strumento: ero solo, non potevo andare in città perché serviva la macchina. E allora mettevo una canzone e ci suonavo sopra. Ho iniziato così». «Dopo aver visto i Blues Brothers al cinema da bambino “volevo fare il musicista, volevo essere Elwood: infatti ora suono l’armonica come lui. Poi, a 11 anni, ho sentito per caso un disco live dei Rolling Stones degli anni Ottanta, Flashpoint: aveva questa copertina intrigante, col fiammifero, rossa, non ne sapevo nulla. Lo misi nello stereo, partì Start Me Up e rimasi folgorato: allora esiste anche della roba così? E iniziai a studiare chitarra”» (ad Alba Solaro). «“La passione è stata subito la chitarra. Avevo 11 anni, per i successivi sei ho preso lezioni. Suonavo anche il piano con la nonna paterna. Anche se il primo a insegnarmi qualcosa fu un mio amico di Giuncarico che sapeva fare il blues. Mi sono divertito come un matto”. […] Ma lei come è finito allo scientifico allora? “I miei mi volevano all’artistico, perché disegnavo. E mia mamma, anche se lavora al ristorante di mia nonna da sempre, ha la passione per la pittura. Però io dissi: ‘No, voglio andare allo scientifico’… Perché? Perché ero matto”. Come è finita? “Ho studiato fino al biennio. Poi dalla terza c’è stato un tracollo, anche se non mi hanno mai bocciato, perché ho conosciuto Giulio Grillo, che suonava l’organo Hammond. Lui aveva questo gruppo prog, con Jack al piano, Marco alla batteria: sono i ragazzi che suonano con me tuttora. Erano tipo due o tre anni più grandi di me, facevano tutti l’artistico. Li vedevo in giro ed erano fantastici ai miei occhi: volevo entrare nel loro gruppo per il prog e perché avevano uno stile anni ’70: mi gasavano da morire e mi facevano anche un po’ paura, essendo più grandi”» (Silvia Bombino). «La mia prima infatuazione musicale fu per i Genesis di Peter Gabriel, il periodo progressive rock. Tant’è che con il mio primo gruppo cercavamo proprio di fare quel genere matto, canzoni senza testo da 15 minuti con l’organo Hammond! Successivamente iniziai a scrivere brani miei in italiano ispirandomi ai cantautori del passato, Lucio Dalla, Ivan Graziani, Flavio Giurato, e al glam rock di David Bowie, Iggy pop, Lou Reed e i T. Rex» (a Pasquale Rinaldis). «Dopo il liceo è venuto a Milano. “Provai l’Accademia di Brera. Con l’intento, in realtà, di riuscire a fare della musica il mio mestiere. Vede, i miei all’inizio erano scettici, ci è voluto tempo… Però, quando hanno visto che lo facevo davvero con tutto l’impegno possibile e la serietà del caso, mi hanno aiutato, dato fiducia. È una cosa rara, sono molto fortunato”. Dove viveva all’inizio? “Con degli amici di qua che erano già a Brera. Poi ho iniziato subito a suonare per strada, nei localetti. […] Per me è stata un’esperienza formativa al 100 per cento: non devi solo far fermare le persone, devi farle restare, e non è per niente scontato. Con la cassa al piede e la chitarra cercavo di incuriosire…”. La città l’ha accolta bene? “Per fortuna avevo questa roccaforte di amici maremmani, e pochi mesi dopo è venuto su anche Tommaso (Ottomano, coautore, fotografo e regista dei videoclip, con lui sul palco di Sanremo, ndr), che già conoscevo perché suonava col mio batterista. Siamo diventati fratelli dal giorno uno. Da anni tiriamo avanti con le nostre invenzioni”» (Bombino). Nel 2014 l’esordio discografico. «Nel suo primo ep Vetulonia Dakar aveva reso protagonista la campagna maremmana e tutti gli animali fantastici che la popolano; con Altalena Boy, invece, il suo sguardo parte dalle campagne e migra verso le città puntando in alto, ancora più in alto di dove lo sguardo può arrivare. Qui si narra la leggenda di Altalena Boy, un ragazzino che dopo un giro della morte su un’altalena sparisce chissà dove. Il paese s’interroga e iniziano a circolare delle voci, che in breve tempo trasformano Altalena Boy in una leggenda» (Rinaldis). «Nel 2017 esce Bestiario musicale, il primo disco, un concept album sugli animali della sua Maremma. Sempre nello stesso anno, Corsi apre i concerti del tour teatrale dei Baustelle e di Brunori Sas e suona in giro per l’Italia partecipando a vari festival. Nel 2020 pubblica per Sugar Music il suo secondo album, Cosa faremo da grandi?, prodotto da Lucio insieme a Francesco Bianconi e Antonio Cupertino. Trainato dal singolo Freccia bianca, il disco riscuote molto successo fra i critici. Viene invitato a esibirsi ai Premio Tenco. Composto da nove tracce che uniscono il rock acustico ed elettronico a suoni più delicati, Che cosa faremo da grandi? racconta storie di carattere favolistico e surreale. Musicalmente è fortemente influenzato da Paolo Conte e Ivan Graziani, con richiami al glam rock britannico (genere a cui Corsi si ispira anche per i look stravaganti e coloratissimi)» (Ungari). Del 2023 è La gente che sogna, «un disco scritto fra la Maremma e Milano – città a cui Lucio ricorda quanto sia fondamentale sognare. Musicalmente è la fusione perfetta fra cantautorato e glam rock, specialmente in brani come Radio Mayday e la title track. Il successo del disco attira l’attenzione di Carlo Verdone, che chiama il cantautore a recitare in Vita da Carlo 3. Nel cameo Lucio presenta Tu sei il mattino, un brano che è il ricordo dolce e sognante del primo amore» (Ungari). «In qualche modo, le misure con il Festival, Lucio Corsi le ha prese grazie alla serie di Carlo Verdone Vita da Carlo: nella terza stagione Verdone viene incaricato di fare il direttore artistico del Festival e sceglie proprio Corsi tra gli artisti per dare un segno forte di cambiamento» (Massimo Longoni). Nel febbraio 2025 il vero esordio sul palco del Festival di Sanremo con la canzone Volevo essere un duro, con la quale ha sfiorato la vittoria attestandosi al secondo posto nella classifica finale, così come pure con la sua poetica esibizione al fianco di Topo Gigio sulle note di Nel blu dipinto di blu nella serata dei duetti. «L’ultimo cantautore è planato sul Festival col viso dipinto di bianco e due alette gialle da marziano sulle spalle, un po’ menestrello e un po’ David Bowie. In costumi, voce e parole, Lucio Corsi è […] l’alieno di cui questo Sanremo placido aveva bisogno. […] Alla prima sul palco, che l’ha portato tra i primi cinque in classifica, ha incantato cantando lo smarrimento di un trentenne di fronte a una società che chiede solo risultati. […] Lei voleva essere un duro, racconta nella sua canzone. E invece? “E invece è un casino. Avrei voluto scivolare sui problemi della vita come con un paio di pattini, ma è tutto un po’ più complicato. Nella canzone si fa riferimento a tanti personaggi, si mischiano i racconti, ma tutti sognavano di diventare qualcuno che non è poi così meglio di quanto non siano diventati oggi. Siamo tutti precari, in piedi su questa sfera, anche chi non lo sembra”» (Matteo Macor). Immediato e clamoroso il successo, di critica – certificato già a Sanremo dall’assegnazione del Premio della critica Mia Martini – quanto di pubblico. «Lo streaming delle sue canzoni è esploso, i concerti sono andati sold out. Prima di Sanremo l’attività musicale le permetteva di mantenersi o chiedeva ancora aiuto ai suoi? “No, riuscivo a mantenermi con le date, suonando il più possibile. Ho girato tantissimi anni con chitarra e voce, su e giù col treno o in macchina da solo”. Non si è mai sentito solo? “No. Stavo bene. La solitudine secondo me è bellissima”. Mai avuto momenti di sconforto? “Tenevo a quello che scrivevo, mi dava la gioia più grande, e credevo molto in quel che facevo. Anche senza il boom di Sanremo sarei andato avanti a far questo, perché è ciò che più amo fare in questo momento della mia vita”» (Bombino). Il 21 marzo l’uscita del quarto album, intitolato anch’esso Volevo essere un duro, «un disco cantautorale vecchio stile, pieno di storie, condizionato da quella delicatezza con cui il cantautore toscano […] ha conquistato il largo pubblico sul più scottante dei palchi del palinsesto italiano» (Gabriele Fazio). Per il cantautore il nuovo disco è «un modo di inseguire sempre il sogno, come ho sempre fatto, ma invece di andare a svolazzarmene sognante in cielo come ho fatto in altre occasioni ho cercato di strisciare un po’ di più sulla terra, per strade e marciapiedi, passando sotto i tavoli e nascondendomi negli armadi. Prima parlavo di animali, della notte, del sole e del mare; questo tratta più di persone in modo diretto: parla d’infanzia, la mia e di altri». Ulteriore consacrazione, in seguito alla rinuncia del vincitore del Festival di Sanremo Olly, la sua partecipazione, in maggio, all’Eurofestival con Volevo essere un duro. «Lucio Corsi ha compiuto davvero una grande impresa, con un quinto posto finale che vale quasi quanto una vittoria. In una manifestazione dominata, come da tradizione, da esibizioni eccentriche e dal gusto discutibile, l’artista toscano ha catturato l’attenzione con una performance impeccabile. Se a Sanremo era sembrato un alieno, all’Eurovision 2025 Corsi ha trascinato il funambolico ottovolante della kermesse in un mondo fiabesco ma concreto, sentimentale e non urlato, dove la forza della canzone ha vinto sulla tentazione del colpo di scena circense» (Andrea Silenzi) • «Fa tenerezza sentirlo parlare di sua nonna Marilena come maestra di vita: “Aprì il suo ristorante, Macchiascandona, nel 1960, e ha sempre lavorato lì, i tortelli tutti fatti a mano. Mi ha insegnato il valore del tempo e l’impegno che una persona deve mettere se ha un progetto in testa”. Sua mamma, Nicoletta Rabiti, invece “dipinge per hobby da quando era ragazza, e ho deciso che ognuno dei miei dischi deve avere in copertina uno dei suoi dipinti. Penso che siano perfetti per la mia musica: quando vedo le cover tutte insieme, è come se stessero componendo una storia”» (Solaro). «Ha fratelli? “No, lo sono però i miei cani, Enea ed Era. Tommaso è un fratello a livello di musica e di idee, e anche di amicizia al di là del lavoro. Nella mia ‘famiglia’, ci metto anche la mia banda, che suona con me dal vivo da sempre”. […] Pensa ogni tanto all’idea di fare famiglia, dei figli? “Sto pensando solo al lavoro: ora sento il bisogno di stare libero, far quello che mi pare, non ho voglia di metter su famiglia. Non ho proprio quel desiderio, per niente. Magari accadrà, ma non lo so, è una cosa che non mi interessa tanto. Questa idea, poi, che ci siano le età ‘giuste’ e i momenti ‘giusti’ per fare le cose non mi ha mai convinto”» (Bombino) • Attualmente vive a Milano, ma torna spesso in Maremma. «Questo Far West che contraddice la Toscana delle dolci colline con i campi brulli e la sua storia di paludi, briganti e malaria mi ha fatto amare la solitudine, che scatena l’immaginazione. La metropoli non mi dispiace, ma ai pali della luce continuo a preferire l’ombra degli ulivi» (a Fulvio Paloscia) • «Penso che nelle canzoni, come dice Nick Cave, si debba parlare coi termini dell’anima e non della politica. Sono interessato alla politica, ma nella mia vita quotidiana. Se parlassi in termini puramente politici nelle canzoni, dovrei avere un impegno quotidiano e costante in quelle battaglie. Mi sentirei davvero un impostore se lo facessi senza avere questo impegno. Del resto, anche una canzone sul vento può essere una canzone politica: un messaggio può arrivare anche attraverso altre visioni. […] La musica mi dà la possibilità di inventarmelo, un altro mondo. Di immaginarlo diverso: un mondo a cui magari si può tendere» • «La moto è l’unica passione che ho al di fuori della musica, perché la velocità e la musica vivono dello stesso elemento, che è l’aria. E poi c’è il tempo: i piloti non solo tengono il tempo ma ci lottano contro, e questa è una cosa che ammiro. Perché non mi piace l’idea di invecchiare, ma non sopporto neanche quelli che vogliono restare giovani a tutti i costi». • «Le mani affusolate e leggermente nodose tipiche di chi suona il piano sin da bambino (“Merito della mia nonna paterna, che mi diede le prime lezioni”), l’incessante dondolarsi sulla sedia con una gamba rannicchiata sotto l’altra. E poi la giacchetta corta e i pantaloni in velluto a dare forma a un corpo esile, con il viso disegnato dai capelli lunghi sotto il basco bohémien e dai grandi occhi scuri, tondi e curiosi. Dettagli atemporali e genuini come la sua musica» (De Cata). «Incompiuto e un po’ goffo; […] genderfluid per animo e corpo, non per etichetta come Achille Lauro; ben vestito per alto senso dello show e non per dichiarazione programmatica» (Simonetta Sciandivasci). «Sul palco un trasformismo composto da pantaloni stretti, maglia a rete e spalle esagerate da una giacchetta corta e gialla, la tutina con la mega-zip slacciata. […] Dietro il rossetto, lo smalto, il corpo androgino, il torso nudo sotto bolerini glam e il make-up pesante tra Alice Cooper e Renato Zero, non c’è nessuno stylist: “Lo stile deve venire da me, può essere solo personale, anche se fa parte dell’apparenza. Penso che sia un altro strumento che abbiamo per raccontare una canzone, tanto quanto gli accordi, l’arrangiamento, il testo o i video. Puoi usare lo stile per chiarire le cose o renderle più confuse… […] La moda non mi interessa. L’estetica legata alla musica sì”. Ed è per lui la cosa che collega prog e glam rock, “il gusto per la teatralità, il loro essere musica che fugge dalla realtà attraverso la maschera che indossano gli artisti”» (Solaro) • «L’approccio artigianale alla musica […] è uno dei molti tratti che lo pone in attrito rispetto alla tendenza contemporanea. È un feticista della strumentazione, sul palco siede al piano con in bocca un’armonica. Nella sua Gibson del ’74, dopo averla comprata, ha trovato l’esoscheletro di uno scarabeo: lo ha lasciato lì, anche se fa rumore» (Sciandivasci) • «Creatura stravagante, marziana, […] Corsi è una delle figure più anticonvenzionali della musica italiana di questo scorcio di tempo, un cantautore atipico e sognatore; come se Ivan Graziani scrivesse le canzoni per Marc Bolan» (Solaro). «Tutto cattura l’attenzione di Lucio Corsi, l’ordinario e lo straordinario, il davanzale e la bora, il lampione e il fantasma, il treno e il bosco. Ogni cosa, per lui, è animata. […] Fa un glam rock cantautorale a volte da orchestra, altre da carillon; è chiaro che ha ascoltato Conte, Bowie, Newman, Giurato, ma non assomiglia a nessuno di loro» (Sciandivasci). «Lucio Corsi è una favola, e non fatevi ingannare dalla sua consistenza fisica, materiale: io stesso posso dire di avergli stretto la mano, ma è pura illusione, perché Lucio Corsi non esiste nella realtà, ha la consistenza eterea delle favole, è un neo di Pierrot sospeso tra la mezza luna e Topo Gigio, è un “c’era una volta un duro che non voleva essere un duro”, è un apostrofo posto tra le parole “t’adoriamo” che improvvisamente tutta Italia vuole pronunciare» (Gino Castaldo). «Corsi è molto bravo. Ma sembra persino più bravo di quel che è […] in virtù del vuoto che ha attorno» (Andrea Scanzi) • «Inseguo le canzoni da quando ero bambino, è la cosa che mi ha sempre divertito di più fare, soprattutto con questa lingua, l’italiano, che ci consente di sintetizzare un concetto in diversi modi, come in un rebus. […] Da dove arriva l’ispirazione per i tuoi brani? “Nasce tutto da tutto ciò che ci circonda, da un paesaggio, un quadro, un libro, un racconto di qualcuno. Mi piace anche reinventare il passato, mettere dentro i miei ricordi quelli di altri e creare nuove situazioni, magari non vissute, ma immaginate”» (De Cata). «Corsi […] fugge in mondi fantastici perché la realtà, dice, è noiosa da raccontare: […] “Sento spesso alla radio canzoni che mi raccontano la vita di tutti i giorni nella maniera più immediata possibile, e io penso sia un grande spreco di spazio e di energia. Perché siamo liberi di scrivere di tutto. E invece ci limitiamo a descrivere il mondo come ci appare. Ma la musica mi deve portare da un’altra parte. Mi deve ingannare! Non mi deve rassicurare: odio le cose rassicuranti”. È uno strano meraviglioso miscuglio, Corsi. […] È un rischio, quello di essere cani sciolti, come si sarebbe detto negli anni Settanta, ammirati, ma a volte emarginati dal proprio stesso talento: “Mi preoccupa? Neanche un po’: io non so dove mi colloco e spero di non saperlo mai, anche in futuro. Spero di essere una crisalide all’infinito. Adagiarsi è noioso”» (Solaro). «La canzone non è uno specchio in cui rivederti, ma un quadro dove perderti» • «Io, anche per il lavoro che faccio, posso solo ringraziare i miei genitori per come mi hanno fatto crescere. Con la sicurezza che non si debba per forza eccellere: si può vivere anche facendo la propria parte, provando tante strade, mollando tutto e reinventandosi una vita. Altrettanto bello di chi raggiunge grandi traguardi nel mondo che si è scelto» • «Resta con i piedi per terra. “Sto nel Far West, circondato da alberi che si scavano la fossa proprio lì dove sono nati. Esempi per rimanere coi piedi per terra ne ho”» (Bombino). «Preferirebbe essere un animale o una pianta? “Un albero. Vai verso il cielo, intanto sbirci attorno”» (Mannucci) • «Il tuo sogno qual è? “Stare sul palco tutta la vita come Bob Dylan nel Never Ending Tour, e condividere la scena con gli amici di sempre. […] Salire sul palcoscenico vuol dire incontrare la musica, e ogni palco è un trampolino verso una realtà diversa. Lassù riesco davvero a immaginare di essere qualcos’altro”» (De Cata).