15 ottobre 2025
Tags : Paulo Roberto Falcão
Biografia di Paulo Roberto Falcão
Paulo Roberto Falcão, nato ad Abelardo Luz (Brasile), il 16 ottobre 1953 (72 anni). Ex calciatore. Centrocampista. Poi allenatore. Da 1980 al 1985 ha giocato nella Roma, con cui vinse lo scudetto 1982/83 e due Coppe Italia (1980/81 e 1983/84). Nel 1984 arrivò in finale di Coppa dei Campioni con i giallorossi, sconfitti ai rigori dal Liverpool allo stadio Olimpico di Roma: rinunciò a battere uno dei rigori, e fu poi pesantemente criticato. Esordio da professionista nel 1973, in Brasile, all’Internacional, con cui giocò sei stagioni e vinse tre campionati nazionali, prima di arrivare a Roma. Chiuse la carriera da calciatore nel 1985 vestendo per alcuni mesi la maglia del San Paolo. In Nazionale conta 31 presenze. Da allenatore, ha guidato tra l’altro le nazionali del Brasile e del Giappone e con l’Internacional ha vinto il campionato brasiliano nel 2011. «Paulo Roberto Falcão è il più grande giocatore senza palla, che equivale al giocatore senza mondo» (Carmelo Bene).
Vita Madre di origini calabresi e padre portoghese • «In Brasile lo aveva scoperto, e lanciato nella prima squadra dell’Internacional, un altro campione che di Falcão fu il modello, ovvero Dino Sani, e subito era stata Olimpiade, quella di Monaco 1972 con la Seleçao. Poi l’antipatia reciproca con il ct dell’epoca Claudio Coutinho, un duro ex capitano dell’esercito, gli era costata la convocazione per i Mondiali del 1978 in Argentina. Quattro anni dopo, invece, prese parte a quelli del 1982 in Spagna, aveva la maglia n.15 perché il 5 era di Cerezo e l’altro titolare all’inizio era Batista, ma ben presto soffiò il posto a colui che l’anno dopo sarebbe andato a giocare nella Lazio. Così Falcão rischiò di diventare il killer dei sogni di gloria dell’Italia di Bearzot, con quel gol al Sarrià che scatenò la torcida fino al terzo capolavoro di Paolo Rossi» (Alessandro Castellani) • «Falcão – ma i primi telecronisti italiani lo declinavano in “Falcòn” e per i romanisti era “Farcao” o addirittura “Farcau” – è l’uomo-poster della Roma Anni 80, l’uomo che era venuto da lontano a miracoli mostrare, l’idolo giallorosso nell’estate in cui l’Italia riaprì le frontiere e cominciò la pesca miracolosa. Aveva già ventisette anni, giocava nell’Internacional di Porto Alegre, era il meno brasiliano dei brasiliani – zero concessioni al cazzeggio da circo in forma di colpo di tacco – atterrò come ricordato in una domenica di agosto a Fiumicino. Erano le nove e mezza di mattina, si sudava a stare fermi, c’erano più di trenta gradi ed erano in semila ad attenderlo. Giocava con il numero 5, ce lo presentarono come un “volante”, scoprimmo il Von Karajan del calcio» (Furio Zara) • «Roma mi ha cambiato, mi ha arricchito, mi ha fatto maturare. Non è facile passare da una parte all’altra del mondo all’età di 27 anni e affrontare un’impresa completamente nuova. Non sarei l’uomo che sono se non avessi vissuto a Roma. [...] L’arrivo all’aeroporto di Fiumicino. Mi aspettavo cinque persone ad accogliermi, due dirigenti della Roma e tre giornalisti. Trovai una folla di tifosi. Faceva un caldo boia, era il 10 agosto, sbarcai a Roma alle 9.35. Ho memorizzato anche i numeri di quel giorno straordinario. [...] Poi mi portarono a mangiare in un ristorante, sulla collina di Monte Mario. Da lassù, vidi per la prima volta Roma dal vivo. L’avevo studiata sui libri di storia, l’avevo immaginata attraverso i ricordi di amici che erano venuti in vacanza. Finalmente Roma era anche una cosa mia. [...] L’impatto con la squadra avvenne a Parma, dove era in ritiro prima di una partita. Mi accolsero Liedholm e Spinosi. Cominciammo subito a parlare di calcio. Poi mi presentarono i miei nuovi compagni. Io consegnai loro un regalo, una maglia tipica delle mie parti, si chiama pala. I giocatori la sorteggiarono per vedere a chi toccava. Il fortunato fu Tancredi. [...] Ricordo la prima partitella. A un certo punto mi arrivò un pallone a mezz’altezza e inventai una rovesciata. Gol. Passò qualche minuto e Bruno Conti segnò un gol in rovesciata più bello del mio. Pensai che nella Roma c’era un altro brasiliano. [...] Eravamo forti, ma mi accorsi che soffrivamo gli squadroni. Un giorno radunai il gruppo e dissi queste parole: l’unica cosa che non ci possiamo permettere è perdere le partite prima di giocarle. [...] Roma ha l’anima brasiliana, la gente si accontenta di poco per stare bene. C’è allegria, c’è voglia di vivere. Ma quello che mi impressionò fu la galleria umana dei personaggi che incontrai. Da bambino avevo maturato l’amore per il cinema. C’era un mio amico che gestiva una sala e io vendevo le bibite nell’intervallo per avere, in cambio, il biglietto gratis. Ero cresciuto con i western di Sergio Leone e con le commedie italiane. All’improvviso, quei personaggi che avevo visto in bianco e nero divennero persone in carne e ossa. [...] Vittorio Gassman. Lo conobbi a teatro, dove aveva portato in scena l’Otello. A fine spettacolo andammo a cena con tutta la compagnia. A metà serata gli dissi che assomigliava a mio padre. Gassman mi rispose “magnifico”. Un altro personaggio straordinario era Carmelo Bene. I nostri dialoghi erano surreali: io parlavo di cinema e di teatro, lui mi rispondeva parlando della zona. [...] Il personaggio più vicino alla Roma di quei tempi era Andreotti. Fu determinante in un momento delicato quando, dopo lo scudetto, stavo per lasciare Roma. Ma la frase che non dimenticherò mai di Andreotti fu pronunciata al Processo di Biscardi prima della finale di coppa dei Campioni Juventus-Amburgo. Biscardi invitò tutti a tifare per la Juve, anche i romanisti. Andreotti rispose: mi astengo. [...] Tornai in Brasile e vinsi lo scudetto. Nel 1986 sfiorai il ritorno in Italia. Incontrai Maradona dopo la vittoria dell’Argentina ai Mondiali. Mi disse che voleva portarmi a Napoli. Parlai con i dirigenti, trovammo l’accordo, ma intanto era esploso lo scandalo scommesse e il Napoli fu coinvolto nella vicenda. Si difese, dimostrò la sua estraneità ai fatti, ma intanto erano scaduti i termini per il tesseramento degli stranieri e saltò tutto. [...] Ho guidato la nazionale e ho scoperto talenti come Cafu, Leonardo e Marcio Santos. Poi ho allenato il Porto Alegre e la nazionale giapponese. Dal 1995 ho voltato pagina, faccio il giornalista. Commento il calcio su Rete Globo, ho una rubrica a Radio Gaucha e scrivo sul giornale Zero Hora. [...] Bruno Conti un uomo straordinario. Di Bartolomei una persona colta e intelligente. Viola un presidente geniale che riuscì a fare grande la Roma pur non essendo ricco. Liedholm, beh, Liedholm è nei primi cinque posti tra i personaggi più grandi che ho incontrato in questi 50 anni» (a Stefano Boldrini) • «Mettendoci la faccia, trascinò la Roma allo scudetto. Ricorda? “Quando all’Olimpico ci rimontò la Juve, dall’1-0 all’1-2, avvicinandosi in classifica. Chiesi a Pato di chiamare Minoli per partecipare a Mixer. Io non partecipavo mai a programmi televisivi. Ma quello era il momento. Dovevo dire qualcosa alla gente. Era in ansia. Ho garantito in prima persona che credevamo nello scudetto. La domenica successiva vincemmo a Pisa. Fu il successo decisivo per il titolo”» (a Ugo Trani) • Nel giugno 1983 Giulio Andreotti intervenne personalmente per trattenere in giallorosso Falcão. Mei (Messaggero): «Telefonò a mamma Azise e le disse che il Papa sarebbe stato felicissimo se Paulo Roberto fosse rimasto alla Roma. Sosteneva che in fondo non era una bugia ma solo una piccola forzatura, diceva d’aver sentito il Papa durante un’udienza alla Roma domandare se Falcão sarebbe rimasto» • «Nella testa di molti, a cominciare da Nils Liedholm, Paulo Roberto Falcão era nato per diventare un guru della panchina. “Nella mia testa c’è sempre stata l’idea precisa di fare l’allenatore, cominciando dalla Seleção”. Così è stato. “Avevo appena 37 anni. Un’anomalia. Non l’unica. L’altra era che non volevo fare le cose troppo facili, pescare tra i grandi nomi conclamati. Volevo esplorare talenti nuovi”. Così è stato. Falcão tende a realizzare i suoi desideri. “Qualche nome? Cafu, Leonardo, Mauro Silva, Marcio Santos, tra quelli che conoscete di più in Italia”. Esperienze anche altrove con i club. “In Messico con l’America arrivo alla finale della prestigiosa Concacaf, la coppa centro americana. Vinco con l’Internacional e poi mi faccio un anno in Giappone con la loro nazionale”. Sembrava una storia già scritta, con l’inevitabile sbarco da allenatore in qualche prestigioso club europeo, e invece… “Mi fermo. Volevo starmene un po’ a Porto Alegre, a casa mia, per questioni personali. Mi dedico alla moda e alla televisione. Faccio l’opinionista per la Globo. Con buoni risultati, dicono”. Falcão è un perfezionista patologico. Tende a fare bene quello che fa. Ma… “Mi mancava qualcosa. L’adrenalina da campo. La passione della sfida. Il calcio non è due più due uguale quattro. Il calcio è una somma di variabili, alcune delle quali sfuggono al tuo controllo”. Falcão detesta le cose che sfuggono al suo controllo. Cosa vuoi dimostrare oggi da allenatore? “Voglio dimostrare al mondo ma soprattutto confermare a me stesso che posso vincere da allenatore anche dominando le variabili”. Guadagnavi bene da opinionista. “Era una vita senz’altro più comoda, gratificante, senza troppe responsabilità, ma volevo altro”. E? “L’Internacional mi richiama nel 2011. Vinco dopo tanti anni il campionato statale e vado via per assurde ragioni politiche. Poi vinco anche a Bahia. Lì i problemi erano economici”. Oggi a Recife, con lo Sport. “L’ambiente ideale per me. Qui ti danno tempo, ti lasciano lavorare tranquillo. Vince la filosofia dell’attesa e del progetto. I risultati ci stanno dando ragione”. Che allenatore è oggi Falcão? “Sono stato sedici anni in analisi. Questo ha fatto di me un uomo migliore e quindi un allenatore migliore. Oggi sono più sintonico, so capire meglio i problemi degli altri e prevenirli”. Essere stato Falcão aiuta da allenatore o può diventare un modello schiacciante per i giocatori? “Il segreto è dimenticare di essere stato Falcão. Non sarei d’aiuto se partissi da me. Devo insegnare le cose che possono essere apprese. Allora sì, può tornare utile il Falcão calciatore” […] Falcão allenatore alla Roma poteva sembrare a un certo punto, negli anni ’90, una storia perfetta, la chiusura del cerchio. “Dino Viola mi chiamò nel 1991. Mi propose un biennale come allenatore della Roma. Dovevo andare a Cortina per firmare. Non c’incontrammo mai. Morì pochi giorni prima”» (a Giancarlo Dotto nel 2016) • Fino all’agosto 2023 è stato coordinatore sportivo del Santos (ruolo simile al direttore sportivo in Italia). Ha lasciato il club in seguito a una denuncia di molestie sessuali da parte di una receptionist del residence nel quale viveva.
Critica Di lui Carmelo Bene ha detto: «In quanto artista è al di sopra di qualsiasi giudizio. E allora si vide Paulo Roberto lungo la linea dell’ombra che traversava il campo, correndo verso la propria porta… Guarda caso, appena arrivato, un attaccante dell’Udinese fece un tiro, il portiere della Roma respinse, Edinho ribatté veramente di brutto e tirò una staffilata da sei o sette metri: Falcão gliela ribatté sulla linea, al centro della porta. Tac, così. Ecco dove stava correndo… Bisogna “prevedere”, non “vedere”. La “visione di gioco” è una balla, l’importante è la “previsione di gioco”» • «Al Processo del Lunedì Carmelo Bene si presentava pretendendo il sottopancia de Il Messaggero, con i capelli sbiancati da Amleto. E discettava di Falcão e altre celestialità calcistiche con il presidente-costruttore dell’Ascoli di Mazzone, Costantino Rozzi. [...] Parte da un assunto che riguarda gli atleti, cui sommamente guarda per le sue intemerate o salite altissime. Chi gioca, in realtà, è giocato. Il gesto è de-pensato: sgorga a prescindere dalla volontà. Eppure nella sua valutazione da Empireo assoluto, riemerge il capo-comico, il responsabile di una compagnia che deve ogni sera proporre-produrre uno spettacolo al pubblico: sceglie Paulo Roberto Falcão come eroe di quegli anni, non perché effettivamente è il trascinatore della Roma più bella, esteticamente e agonisticamente di sempre, ma perché la grazia dei suoi tocchi è igienica e organizza. E certifica la grandezza di un primattore del calcio quando da solista tocca il Sublime sapendo giocare Insieme, come un grande compositore di musica da camera che nell’ensemble tocca le cifre più alte. Nella sua Estetica calcistica ecco che sono valori assoluti, difesi contro il brerismo che voleva un’Italia nel calcio ossuta e sempre di contropiede, il Brasile Grande Perdente del Mundial 82, Falcão appunto, la Zona di Liddas» (Stefano Carina).
Amori «La sua burrascosa vita privata ha riempito per anni le cronache rosa del nostro Paese e non solo. Nel 2000 è stato al centro di un contenzioso con la ex moglie Rosane Damazio per l’affidamento del figlio, Paulo Roberto junior. La Damazio lo ha accusato pubblicamente di aver rapito il bambino e di averla ripetutamente tradita con molti... uomini. L’omosessualità di Paulo Roberto è la causa – secondo la Damazio – della fine del matrimonio. In quegli anni Falcão è al centro di un’altra polemica giudiziaria relativa al riconoscimento di Giuseppe Frontoni, figlio di Maria Flavia Frontoni con cui il campione ebbe una tormentata relazione. Dal 2003 è sposato con la giornalista brasiliana Cristina Ranzolin con cui ha avuto la terza figlia Antonia» (Cds) • Ebbe un’avventura con Moana Pozzi, che di lui disse: «Ho sempre avuto un debole per gli sportivi perché di solito fanno bene l’amore e hanno una mentalità pulita ed infantile che adoro, però da Paulo Roberto mi sarei aspettata qualcosa di più, era carino e con un bel corpo ma decisamente troppo sbrigativo... Voto 5».