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 2025  ottobre 31 Venerdì calendario

Biografia di Raffaele Minichiello

Raffaele Minichiello, nato a Melito Arpino (Avellino) il 1° novembre 1949 (76 anni). Ex militare, barista, benzinaio, cameriere. Attualmente magazziniere. Dal 1° novembre 1969 detiene il record per il più lungo dirottamento aereo in termini di distanza percorsa (10.922 chilometri).
Titoli di testa «Anche se per molti sembravo esserlo diventato, non mi sono mai considerato un eroe, ma l’esatto contrario. Ho sbagliato, mettendo in pericolo la vita di tante persone» [Marco Consoli, venerdì].
Vita Il padre Luigi era un povero contadino irpino emigrato negli Stati Uniti nel 1912. Dopo aver messo insieme qualche risparmio torna a casa e lì conosce e sposa Maria. Dal matrimonio nascono Raffaele e la sorella Anna. I risparmi finiscono e la famiglia si trova in condizioni di indigenza [Pier Luigi Vercesi a InConTra]. Infanzia abbastanza difficile: viene spesso maltrattato dal padre, dal quale impara solo due cose: fumare e andare a caccia [Kill me if you can] • «Nell’Irpinia di più di cinquant’anni fa non c’era niente, non avevamo elettricità, acqua corrente e, solo da pochi anni, era arrivata la bombola del gas per avere un piccolo fornello in casa» [Davide Zemiti, mesedos.wordpress.com] • «L’alimentazione era basata su quello che producevamo: avevamo qualche gallina, grano, pomodori olive, facevamo l’olio» [Kill me, cit.] • Dopo il devastante sisma del 1962 la famiglia decide di emigrare negli Stati Uniti • «A quattordici anni non conoscevo niente, non avevo mai visto un film, non avevo mai visto la televisione e solo qualche volta avevo ascoltato la radio (…) Non avevo mai visto le fotografie e nessuno mai mi aveva spiegato cosa volesse dire New York, un palazzo di dieci piani o addirittura un grattacielo (…) Potete quindi immaginare (…) il ritrovarsi nel centro di New York, con le luci, le macchine e le strade immense. Un altro mondo, che non avevo neanche mai immaginato. In quella città avevamo qualche conoscenza e, dopo esserci fermati per poco più di una settimana, abbiamo preso il treno per raggiungere Seattle [ibid.] • «Le difficoltà sono state enormi per noi, io non conoscevo neanche una parola di inglese e sono stato trapiantato da un paesino in una scuola di settecentocinquanta studenti (…) Nella scuola non c’era nessuno che parlasse italiano (…) Io e mia sorella con un vocabolario piano piano abbiamo iniziato a imparare un po’ di inglese per poter almeno rispondere quando ci domandavano qualcosa. In tutti gli anni che sono stato a scuola non c’è stato mai un professore o qualcuno che si è seduto vicino a me e mi abbia spiegato che, per esempio, bicchiere si dicesse glass, matita pencil, penna pen… niente di tutto questo» [ibid.] • «Non abbiamo avuto aiuto di nessun tipo, non avevamo soldi, mia mamma era analfabeta e non poteva neanche lavorare. Ci siamo inseriti nel sistema americano con tanti sacrifici, nella povertà più assoluta e nella disperazione, senza l’aiuto di nessuno (…) poi un amico di mio padre gli aveva dato un pezzo di terra che noi abbiamo lavorato coltivando cocomeri, meloni e granturco per poi andare a venderli al mercato di Seattle. Mia madre ha cominciato a lavorare facendo servizi in una scuola di suore e io, quando ancora studiavo, ho trovato lavoro in un supermercato. Così, poco per volta abbiamo tirato avanti» [ibid.] • Compie 17 anni «Io avevo questo desiderio, per dimostrare che anche io ero un americano all’altezza di tutti i miei compagni, di arruolarmi per andare a combattere la guerra del Vietnam» [Kill me, cit.] • «I compagni di classe dicevano che ero un camorrista, un mafioso. Non capivo di che parlassero. Mi chiamavano grease, grasso, e wop, guappo. Volevo riscattarmi, diventare un eroe» (…) I suoi genitori non la dissuasero dal partire? «Ero minorenne, serviva il loro consenso. Mamma piangeva. Dissi loro: fra sei mesi farò 18 anni, mi arruolerò lo stesso e non mi vedrete più. Firmarono» [Stefano Lorenzetto, Oggi] • Il 3 maggio 1967 si arruola nei marines nella base di Pendleton, California • «Senza troppi complimenti ci hanno rasato i capelli e riempiti di ordini, uno dopo l’altro, con tempi serratissimi, senza neanche avere il tempo di pensare. È una cosa provata scientificamente. (…) Devono distruggerti psicologicamente e fisicamente per poterti ricostruire e inserire all’interno del reparto speciale» [Zemiti, cit.] • E tra voi reclute come vi comportavate? «Ci prendevamo a schiaffi. Ci facevano mettere in fila uno di fronte all’altro e ci si prendeva a schiaffi sempre più forti. Spesso andava a finire a sangue. Se qualcuno si rifiutava di prendere a schiaffi un compagno, veniva mandato a terra con un calcio e prendeva un sacco di botte. Un’altra pratica era quella della pulizia maniacale del fucile; una volta che il fucile era tirato a lucido, con una scusa qualsiasi, (…) si prendevano i fucili di tutti, si buttavano nella sabbia e tutti dovevano ricominciare daccapo (…) Devo comunque dire che ha funzionato. Dopo due mesi massacranti si diventa fratelli, si resta uniti» [ibid.] • «Combattevamo contro un esercito regolare, non contro dei contadini come spesso si sente dire, e le armi che avevano i vietcong erano superiori alle nostre (…) per il tipo di conflitto che combattevamo, loro erano senza dubbio meglio equipaggiati e più avvantaggiati» [ibid.] • Il titolo del suo documentario è la frase, «Kill me if you can», che lei portava scritta sull’elmetto. «Sì, mentre sul fucile avevo scritto “birth control” (controllo delle nascite)» [Consoli, cit.] • Ha ucciso molte persone laggiù? «Spero di no. Non lo so. Mah, chi lo sa? Può darsi...». (La voce s’affievolisce). «Penso di sì. Ma non... Guardi, non è una roba... Cioè, noi... Tanta gente moriva. La guerra è qualcosa di diverso da quello che la gente immagina. In guerra si fa... Io ho riflettuto. Un mese e mezzo abbandonati nella giungla, come animali, senza potersi lavare, senza dormire, attaccati da tutte le parti, ad aspettare l’acqua per la borraccia portata dagli elicotteri. Cadi in un’imboscata, vedi uno col fucile puntato, decidi, spari: quella persona è morta. Cresci un figlio, lo porti a 18-20 anni, arriva in un posto... Tu togli la vita a quella persona, un attimo... È difficile da capire. Magari hai visto un tuo compagno saltare su una mina, era fidanzato, si doveva sposare, allora vorresti ammazzarne tanti (...)» [Stefano Lorenzetto, Giornale] • La scena più orribile vista in Vietnam? «Sulla Strada numero 9 che collega il Laos al porto vietnamita di Da Nang. Tornò una jeep: era vivo solo il guidatore. Gli altri cinque commilitoni morti, spaccati, spappolati, senza cranio. Vomitai per una settimana. E poi su un elicottero CH46, che mi portava nelle retrovie a curarmi l’intestino pieno di vermi. Il vento entrava dai portelloni aperti, sollevando i ponchos di plastica nera che avvolgevano i cadaveri dei caduti. Finché una folata non scoprì il volto del mio miglior amico di corso a Camp Pendleton» [ibid.] • Dopo esattamente un anno e venti giorni in Vietnam ritorna in patria. Porta con sé cinque medaglie al valore, inclusa la Croce di coraggio conferitagli dal governo di Saigon • I reduci venivano spesso accolti con freddezza. Qual è stata la tua esperienza? «Freddezza e indifferenza. Ho fatto scalo all’aeroporto di San Francisco e da lì mi sono diretto a Seattle. Sceso dall’aereo non mi guardava nessuno, ho preso l’autobus e nessuno mi ha rivolto uno sguardo o una parola, nemmeno l’autista, e si vedeva che tornavo dalla guerra» [Zemiti, cit.] • Tornato a casa, un’amica di famiglia nota come, dal ragazzo silenziosissimo che era alla partenza, sia tornato «molto nervoso, fumava una sigaretta dietro l’altra, parlava più in fretta e non riusciva a stare fermo». Nel 2009 gli verrà diagnosticata una grave forma di disturbo da stress post-traumatico (Ptsd) [Kill me, cit.] • «Durante la guerra percepivo uno stipendio che depositavo sul conto corrente nella banca dei Marines. Un giorno, quando ero già tornato in patria, sono andato a controllare l’estratto conto, accorgendomi che mancavano duecento dollari. Ho cercato in tutti i modi di spiegare che quei soldi dovevano esserci e che non avevo sbagliato a fare i conti. Dopo avere ricevuto numerose porte in faccia, ho deciso di riprendermi ciò che credevo spettarmi di diritto così, una sera in cui avevo bevuto troppo, sono entrato nell’emporio della base e ho rubato merce per un valore di circa duecento dollari. Troppo ubriaco per poter scappare, mi sono addormentato sul posto, venendo poi colto in flagranza la mattina dopo» [Zemiti, cit.] • Il suo avvocato gli consiglia di dichiararsi colpevole dinanzi alla corte marziale, così da scontare una pena di appena un mese e mezzo, ma Minichiello si rifiuta. È diventata una questione di onore e progetta un gesto di protesta eclatante: dirottare un aereo. Il 31 ottobre 1969, giorno prima dell’udienza, Minichiello acquista una carabina Winchester M1 con 250 proiettili e si reca all’aeroporto di Los Angeles. Lì compra il biglietto per il volo notturno TWA 85 verso San Francisco [Kill me] • Come riuscì a superare i controlli con un simile arsenale? «Mica era come oggi. Mi bastò fare amicizia con le hostess prima dell’imbarco. Salimmo a bordo insieme. Gli addetti alla sicurezza s’accontentarono della polizza assicurativa e di una copia di Life che tenevo in mano. La borsa da viaggio passò inosservata [Lorenzetto, cit.] • Una hostess di bordo, notata la sagoma nella borsa, gli chiede cosa sia. Lui risponde che si tratta di una canna da pesca. Rimontato il fucile in bagno, Minichiello si avvicina disinvolto alla hostess consegnandole un proiettile e chiedendole educatamente di condurlo in cabina [Carlo Desiderati, tanadelcobra.com] • Dopo qualche minuto, dall’interfono i passeggeri sentono le parole del comandante: «Abbiamo qui un giovane molto nervoso e lo porteremo ovunque voglia andare». E Minichiello vuole andare a New York. [Roland Hughes, bbc.com] • I piloti lo informano che non c’era abbastanza carburante per arrivare alla meta: occorre fare scalo a Denver. All’aeroporto Minichiello fa scendere tutti e 39 i passeggeri. Tra loro ci sono i membri del gruppo degli Harpers Bizarre, che telefonano subito al loro manager. Il quale a sua volta chiama la stampa. E in brevissimo tempo milioni di americani seguono lo svolgersi delle notizie in diretta. Nel frattempo Minichiello indica una nuova destinazione: Il Cairo. Serve quindi un nuovo rifornimento di carburante e nuovi piloti [ibid.] • Le successive sei ore di volo trascorrono serene. All’aeroporto di New York però li attende un centinaio di agenti dell’Fbi, determinati a porre fine al dirottamento per non creare precedenti. Mentre comincia il rifornimento, gli agenti si avvicinano improvvisamente all’aereo. La tensione sale alle stelle, tanto che Minichiello fa accidentalmente partire un colpo, che sfiora una bombola dell’ossigeno: l’avesse colpita, l’aereo sarebbe esploso. Vista la situazione l’Fbi decide di fermarsi. I nuovi piloti salgono a bordo, ma nella tensione l’aereo parte senza fare rifornimento. Occorre quindi fermarsi nel Maine, dove fortunatamente non ci saranno intoppi: in volo Minichiello annuncia la nuova e definitiva destinazione: Roma [ibid.] • Durante il sorvolo dell’Atlantico l’atmosfera si distende nuovamente: Minichiello conversa con l’hostess Tracey Coleman: giocano a carte, si raccontano le loro vite, e brindano al suo ventesimo compleanno [Kill me] • Discorre con cordialità anche con il comandante, descrivendogli la sua situazione. A un certo punto appoggia la carabina a terra e va in bagno. Solo lì si rende conto che il comandante potrebbe usarla per ucciderlo. Quando esce rimane sbalordito nel trovare tutto come prima [ibid.] «“Perché non hai preso il fucile e mi hai sparato?” “Non sono un assassino. Mi dispiace solo di non averti conosciuto prima e di non poter fare niente per te”» [ibid.] • Anche l’ultimo scalo, in Irlanda, si svolge senza problemi • All’arrivo a Fiumicino Minichiello ordina che gli sia messa a disposizione un’auto guidata da un uomo disarmato, poi si scusa con l’equipaggio e lo libera dopo 19 ore di dirottamento. Dall’aeroporto gli mandano una Giulietta: sale a bordo e ordina all’autista di andare verso Napoli. Subito inseguito da alcune volanti, riesce a seminarle. Ma si ritrova in un vicolo cieco nella campagna romana. Decide di abbandonare la macchina e il fucile, e si butta tra i campi. «Feci l’autostop. Mi raccolse una famigliola che si recava a messa al santuario mariano del Divino Amore. Mamma mi aveva insegnato: “I preti non ti tradiranno mai”. Invece fui fregato proprio dal celebrante: mi riconobbe e chiamò la polizia (…) Agli agenti che gli stringevano gli schiavettoni attorno ai polsi disse solo: “N’aggio fatto niente, paisà”» [Lorenzetto, cit.] • Al Regina Coeli viene messo in isolamento ma è già il beniamino delle guardie. «Avevo preso la decisione che se ci fosse stata l’estradizione mi sarei suicidato». Il capo di imputazione per cui lo avrebbero processato negli Stati Uniti, pirateria aerea, poteva comportare la pena di morte, per cui l’Italia rifiuta di estradarlo» [Kill me, cit.] • Al processo si presenta l’hostess Tracey Coleman che testimonia in sua difesa. Accusato di dirottamento e introduzione di materiale bellico, viene condannato in primo grado a sette anni e mezzo di detenzione. In Appello la pena viene ridotta di tre anni; alla fine Minichiello trascorrerà solo 18 mesi in carcere. Uscito di prigione trova intatta la sua popolarità: «In quel periodo mi offrivano di tutto: fare il cinema, i fotoromanzi, le fotografie». Fotografie che, a sua insaputa, finiscono su Playmen [ibid.] • Lavorando saltuariamente in una fioreria di Roma, in corso Francia, conosce la sedicenne Cinzia, figlia del proprietario del bar accanto. Si sposano e nel ’74 nasce il figlio Cristiano. Pochi anni dopo Minichiello acquista il distributore di benzina davanti al bar, frequentato da una colorita clientela di agenti dei servizi appartenenti alle ambasciate vicine [ibid.] • Nel 1985 «Cinzia restò nuovamente incinta. Stava per partorire all’ospedale San Pietro, sulla Cassia. La lasciai in sala travaglio alle 6.45, con sua madre fuori dalla porta. Si accorsero che aveva avuto un’embolia soltanto alle 12. Ci fosse stato qualcuno accanto a lei, avrebbe potuto almeno salvare il nostro Mario. “Morte naturale”, concluse l’inchiesta. (…) Andavo a trovarla due volte al giorno nel cimitero di Prima Porta. Mi dispiaceva di non poter dormire davanti al loculo. Consultavo i medium nella speranza di rivederla» [Lorenzetto, cit.] • «Il grande dolore che provai venne alimentato dal dispiacere che avevo rivolto verso i medici che non avevano assistito adeguatamente. Decisi inoltre di portare avanti una mia battaglia, cambiare il corso della medicina. Avevo chiamato questo mio proposito “il progetto”» Di cosa si trattava? «Il “progetto” era di cercare di fare un assalto con armi ed esplosivi a un convegno di medici per dare un segnale. Ero difatti convinto in quel momento che l’unico modo per cambiare le cose era usare la forza ed avevo deciso di agire in occasione di un convegno a Fiuggi. Fortunatamente poi il progetto decadde grazie alla fede» [Zemiti, cit.] • Che accadde? «Antonio, un mio amico benzinaio, continuava a parlarmi dei Gedeoni, un’associazione cristiana evangelica che ha come scopo la diffusione della Bibbia. M’invitò nella loro chiesa per i battesimi. Io mi rivolgevo ai sensitivi. Invece dovevo tornare alla fonte. Così feci. E in Luca, capitolo 23, trovai la risposta: “Padre, perdonali, perché non sanno quello che fanno”. Lui perdona i suoi crocifissori. Come potevo io non perdonare quei medici sciagurati?» [Lorenzetto, cit.] • Comincia a impegnarsi sempre più attivamente nella comunità evangelica dei Gedeoni: diventa presidente del Campo di Roma [evangelici.info] • Durante la presidenza Clinton domanda il perdono presidenziale, che non gli viene concesso. Verrà comunque riabilitato (generando il sospetto che sia una ricompensa per delle attività di spionaggio negli anni’70) e potrà tornare a risiedere negli Stati Uniti [Kill me, cit.] • Crede che i suoi ostaggi l’abbiano perdonata? «Nel 2009 incontrai Wenzel Williams, il secondo pilota, e la hostess Charlene Delmonico a una riunione organizzata dai marines. Ho chiesto loro perdono e ci siamo abbracciati» [Consoli, cit.] • Da Roma si trasferisce a Milano, dove lavora in un bar-ristorante • Nel 2017 esce per Mondadori la sua biografia, scritta da Pier Luigi Vercesi, intitolata Il marine. Dal libro, nel 2022, viene tratto il film documentario Kill me if you can, diretto da Alex Infascelli • Da quanto tempo vive negli Stati Uniti? «(…) Ci tornai nel 2018 (…) andato in pensione, con 680 euro al mese non riuscivo a campare. A Seattle ho un posto da magazziniere» [Lorenzetto, cit.]
Curiosità Si dice che la tua storia abbia ispirato First Blood, il romanzo da cui è tratto Rambo. «L’unica cosa che possa farmi pensare che Rambo sia effettivamente tratto dalla mia storia, è la scena in cui il protagonista racconta piangendo di un suo amico morto in Vietnam, il quale non desiderava altro che una Chevrolet rossa. Io in effetti desideravo una Chevrolet Chevelle rossa» [Zemiti, cit.] • «Uno dei suoi crucci è quello di essere ancora nella black list degli aeroporti italiani: "Sono sottoposto a ore di attesa prima di imbarcarmi o scendere a terra. Con il risultato di perdere i voli e spesso anche i bagagli. Ho fatto appello a tutti in Italia, ma inutilmente: credo che dovrò rivolgermi alla Corte europea per i diritti dell’uomo". Anche se di volare comincia ad essere stufo. Ora "basta aerei, la mia vera passione è guidare i trattori"» [Norberto Vitale, Ansa].
Amori Tre anni dopo la morte della prima moglie conosce, nell’ambiente degli evangelici, Teresa. Dopo un brevissimo fidanzamento i due si sposano. Nel 1990 nasce Daniele e nel ’95 Cinzia. Purtroppo nel 1999 a Teresa viene diagnosticato un cancro terminale e nel 2001 Minichiello rimane nuovamente vedovo [Kill me, cit.] • Ha avuto molte donne nella sua vita? «Sì, ma una dopo l’altra. Non le tradivo. Sono stato sposato tre volte e ho tre figli. Le prime due mogli sono morte. L’ultimo matrimonio, con una napoletana, mi ha rovinato la vita» [Lorenzetto, cit.].
Titoli di coda «Se vogliamo trarre un messaggio positivo dalla mia storia, è che comunque sia ci si deve rialzare» [Zemiti, cit.].