la Repubblica, 11 dicembre 2025
Gianluca Gazzoli: “A mia madre l’intervista più bella. Ho ancora tante scale da fare”
Per i pochissimi che non hanno mai aperto i social, Gianluca Gazzoli – classe 1988, da Cologno Monzese – è il volto nuovo e sereno di Sanremo Giovani, il talent con vista sul Festival che conduce in queste settimane (finale il 14 dicembre su Rai 1, ci saranno anche Carlo Conti e il cast dei big). Ma per tutti gli altri, è già una star. Merito di Passa dal Bsmt, un podcast di videointerviste da mezzo miliardo di visualizzazioni su YouTube che, dal 2021 a oggi, ha avuto ospiti tipo Ben Affleck, Ornella Vanoni, Ultimo e Roberto Saviano. Giganti veri, per tutti. Altro che Gazzoli giovane promessa. «L’intervista della svolta è stata quella a Valentino Rossi» racconta. «Mi ha “piazzato” sulla mappa: ha fatto capire che poteva valere la pena venire da me. È questione di passaparola».
Ma Sanremo Giovani è un’altra storia. È ripartito da zero, o no?
«Sì e no. Sono in un contesto nuovo, ma la gavetta ha pagato. È come se i puntini di tutto ciò che ho fatto si fossero uniti per portarmi qui».
Il suo “talent”?
«Le piazze, le sagre nel bergamasco. Sognavo di fare il conduttore: a vent’anni lavoravo in un’agenzia di viaggi, presentavo serate e la mattina presto avevo un programma su Radio Number One, un’emittente locale. Dormivo pochissimo, la mia ragazza – oggi è mia moglie, due figli – mi seguiva come “hostess” pur di stare insieme. Era difficile intrattenere piazze mezze vuote, ho imparato lì. Alla fine, l’agenzia mi propose l’indeterminato: qualcosa si stava muovendo anche sui social, ho rifiutato e mi sono buttato. “Se vuoi, puoi”».
Le nuove generazioni ci credono meno. È una truffa?
«È una semplificazione. Bisogna fare in modo che le cose accadano, non basta volerle. Ma sono convinto che, sì, con l’abnegazione accadano. A volte mi bastava una mail di rifiuto per trovare le energie».
Sono le stesse storie che sente a Sanremo Giovani, no?
«Sì, sono complice dei ragazzi. E mi dispiace delle eliminazioni. Cerco di dare consigli da fratello maggiore, quelli che ricevo e ho ricevuto anch’io. Ho conosciuto Conti, che mi ha voluto qui, proprio dieci anni fa, nella mia prima volta in Rai. In un momento di dubbio, tempo dopo, gli avevo scritto: mi chiamò per aiutarmi, non era scontato».
La porterà al Festival?
«Mi piacerebbe, ma chissà. Con Carlo si sa sempre tutto all’ultimo».
Magari un giorno lo condurrà proprio lei.
«Non sono pronto, credo nelle scale e mi mancano tanti gradini. Amo la musica però, da Marracash e Guè a Ultimo. Sono fortunato ad aver avuto tanti dei miei miti a Passa dal Bsmt».
Chi le manca?
«In generale? Alex Del Piero. Ci sentiamo, ma non sono riuscito a convincerlo. Avevo il suo poster accanto a quello di Valentino. Serve tempo».
Passa dal Bsmt le ha cambiato la carriera?
«Ha cambiato il mio percorso. È nato nel 2021, perché nessuno mi dava spazio – e dunque, lo spazio, me lo sono creato da me – e perché avevo intuito un vuoto di mercato. Si parla di soglie d’attenzione basse, eppure tengo interviste da due ore seguitissime. Dipende dai contenuti. La chiave è mettere a proprio agio l’ospite, farlo aprire senza ansia dello scoop. Io ascolto: mi preparo dei temi, poi mi lascio guidare dalle risposte. Giriamo nello stesso scantinato della prima puntata: se penso a chi ci è passato, ho i brividi. Non paghiamo ospiti e nessuno ci deve niente».
Che clima c’è?
«Gentile. La gente ne ha abbastanza di programmi urlati. In questo, Fabio Fazio è un modello. Ma studio anche Linus, per la capacità di unire mondi distanti. E poi Daria Bignardi, Antonella Clerici, lo stesso Carlo. Come nuovo ho sempre da imparare, specie da chi è di un’altra generazione».
Il futuro?
«Crescere in tv. Spesso si portano in televisione fenomeni da social e viceversa, senza formazione. E non funziona. Io sono fortunato, ho fatto gavetta in entrambi gli ambiti. Non perché sia un visionario, ma per motivi anagrafici – appartengo a una generazione “a cavallo” – e per necessità: nessuno mi voleva, ho provato tutte le strade».
Ha appena intervistato Nicola Gratteri. Immagina una svolta più “politica” per il suo podcast?
«No. Di Gratteri mi interessava raccontare l’uomo dietro il magistrato. Come in passato, magari aprirà la strada a colleghi. Ma lascio la politica ai giornalisti. Io sono un conduttore».
C’è chi dice che faccia domande banali.
«Nel caso, spariscono davanti a risposte intelligenti. Forse ne faccio di semplici, altri si arrovellano in supercazzole. Mi prendono in giro per come annuisco: è un modo per far capire all’intervistato che lo sto ascoltando, nient’altro».
Senta, da intervistatore, c’è qualcosa che non le hanno mai chiesto ma a cui vorrebbe rispondere?
«Il mio rapporto con i soldi. Che non esiste: il conto è gestito da mia moglie, io tutto quello che ho guadagnato l’ho sempre reinvestito nel mio lavoro».
In una puntata speciale del podcast, ha intervistato sua madre, poco prima della sua scomparsa.
«È stata la cosa più bella che abbia mai fatto, per quanto strana. Le ho dedicato la mia passione, tutto ciò che ho fatto in questi anni. Non credo farò mai di meglio: non me ne vogliano Valentino o, eventualmente, Alex»