Corriere della Sera, 11 dicembre 2025
Rita Dalla Chiesa: «Io bimba somara in matematica e lui che me la spiegava con le mele. La tv mi aiutò ad andare avanti. Sono la pecora nera della famiglia»
«È qualcosa che ti spacca in due la vita. Un prima e un dopo. E il dopo è stato molto pesante da affrontare, da accettare». Rita Dalla Chiesa aveva 35 anni quando suo padre, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, venne ucciso il 3 settembre 1982 nella strage di via Carini in cui morirono anche la moglie Emanuela Setti Carraro e l’agente di scorta Domenico Russo.
Qual è la prima fotografia che vede?
«Mi vengono in mente due immagini. Io distesa sul divano a guardare La piscina con Romy Schneider e Alain Delon. E la telefonata del mio compagno dell’epoca, che era caporedattore al Tg2, e mi disse: senti Rita, ci andiamo a mangiare un gelato?».
Era una richiesta strana?
«Erano sotto tg, mancava poco alla diretta, andai a prenderlo con mille dubbi in testa. Entrò in macchina senza dirmi niente, muto, zitto, e mi fece una carezza. Mi sono diretta senza chiedere niente verso il giardino degli Aranci, all’Aventino, perché è il posto di Roma che amo di più. Sono rimasta lì tre ore, a guardare la città e a non parlare».
Aveva capito...
«Avevo capito tutto senza che nessuno mi avesse detto niente. L’unica cosa che non avevo capito è che se ne fosse andata pure Emanuela».
Per certi versi è stata anche una morte attesa...
«Abbiamo sempre vissuto con addosso un senso di precarietà infinito. Non solo per nostro padre, ma lo avvertivamo sulla nostra pelle perché avevamo ricevuto anche noi – io e i miei due fratelli – parecchie minacce. Vivevamo sempre giorno per giorno, sentendoci la sera e andando a letto pensando: e anche per oggi è andata».
Come si vive con una sensazione di precarietà senza fine?
«Papà era sempre fuori casa, non diceva mai dove andava, ci chiamava sempre alle undici di sera, era una vita molto difficile, molto complicata. Non era vivere. Mia madre (Dora Fabbo, la prima moglie, morta nel 1978 ndr) stava attaccata al Tg1 perché voleva sentire, voleva sapere: se n’è andata a 54 anni per un infarto, perché viveva con la paura perenne che potesse succedere qualcosa a suo marito, a nostro padre».
In questa vita-non vita c’è stato un periodo più difficile di altri?
«Il periodo delle Brigate Rosse probabilmente è stato il più duro, è stato il momento in cui ho tremato di più per mio padre. Poi quando è andato a Palermo come prefetto ero paradossalmente più tranquilla: la ritenevo una città amica, ci avevamo vissuto per tanti anni, amavo moltissimo Palermo».
L’immagine pubblica di suo padre era molto austera, anche nel privato era così?
«No, affatto. Era molto tenero con noi, era molto tenero anche con i suoi carabinieri. A Natale ricordo sempre il posto a tavola in più per uno dei carabinieri fuori sede che non poteva tornare a casa».
Un ricordo da bambina?
«Io ero somara in matematica, ancora adesso ho proprio una saracinesca in testa quando si parla di numeri. Se n’è andato senza riuscire a farmi capire che cinque per zero fa zero. Una volta mi ha messo davanti cinque mele per spiegarmelo, ma io gli rispondevo che rimanevano comunque cinque mele». Ride: «Penso ancora oggi di aver ragione io».
Che nonno è stato?
«Con i suoi nipotini si scioglieva, mia figlia quando era piccola lo toccava sulla divisa con le mani sporche di olio, l’avessimo fatto noi, mamma avrebbe tremato. Invece a loro permetteva tutto. E poi si metteva in porta, faceva il portiere quando giocava a calcio con i bambini».
E con lei adulta?
«Mi telefonava e mi diceva: che fai stasera Rita? Prepari le patatine per Giulia (la nipote, la figlia di Rita, ndr)? Significava che stava passando per cena, avevamo delle parole in codice per paura che le telefonate fossero intercettate».
Poi ci fu il funerale e le polemiche.
«Andai da Nando e gli dissi: nessuno di noi deve piangere oggi, non diamola vinta a nessuno».
Andreotti per giustificare la sua assenza disse che preferiva andare ai battesimi piuttosto che ai funerali.
«Non gliel’ho mai perdonata. E non gliela perdonerò mai. Mai».
Sciascia lo definì «imprudente».
«Anche quella frase è stata una ferita perché mio padre non è mai stato imprudente. Appena arrivato a Palermo aveva fatto una cernita delle persone che lavoravano in prefettura e che avevano collegamenti mafiosi. Quindi l’imprudenza di mio padre no, non l’accetto».
Come è riuscita, se non a superare quel dolore, a non farsene sopraffare?
«La televisione, Forum, il mio lavoro, mi hanno aiutato tantissimo a cercare di star bene».
In tv ha condotto anche «Parlamento In», un presagio della sua vita da parlamentare?
«Sono stata la prima a condurre una trasmissione sul Parlamento, ma all’inizio non ne capivo niente. Dietro le telecamere avevo Gianni Letta e Fedele Confalonieri che mi seguivano, ridevano e mi facevano da supporto».
Le manca la tv?
«Molto, moltissimo. Ho conosciuto persone meravigliose, ho vissuto esperienze bellissime di cui ancora oggi ho profonda – davvero profonda – nostalgia».
L’esperienza a «Forum» nel complesso è durata 20 anni, poi è terminata in modo traumatico: cosa è successo?
«Mi era stata detta una cosa che in realtà non era vera. All’epoca ero molto impulsiva e la presi subito sul personale. Sarei dovuta salire su un treno e andare a Milano a parlare con Pier Silvio Berlusconi, invece mi sono fidata solo di quello che mi avevano detto a Roma».
Cosa le avevano detto?
«Che Forum si sarebbe dovuto interrompere per fare spazio a un altro programma. Ma non è andata così».
È un rimpianto non aver fatto quel viaggio?
«Sì, molto. Ma è stato un grande insegnamento di vita: non dare per scontato quello che ti dicono gli altri, perché gli altri possono avere mille motivi che tu non conosci».
Riesce a guardarlo «Forum»?
«No. È proprio un orario in cui per me i tasti 4 e 5 del telecomando non esistono. Non per Barbara Palombelli, ma è come vedere mio marito con un’altra».
È deputata di Forza Italia, mentre i suoi fratelli sono di sinistra: è la pecora nera di casa?
«Io sono stata la pecora nera per tanti anni. Sulla politica in casa ci siamo fatti litigate epiche, soprattutto con mia sorella Simona perché è più rigida di Nando. Lui è un professore, è abituato a parlare con tutti, a spiegare».
Cosa non le piace del Parlamento?
«Mi rendo conto che mi ritrovo molte volte ad ascoltare l’opposizione con un’attenzione che spesso non vedo da parte dei miei colleghi della maggioranza. E questa cosa mi fa molto arrabbiare: parlano tra di loro, vanno al bar. Io posso non essere d’accordo con l’opposizione, ma sto ad ascoltare, voglio sempre capire la visione degli altri».
Suo papà per chi votava?
«Non l’abbiamo mai saputo. Mia mamma votava liberale, votava per Giovanni Malagodi, papà invece non ce l’ha mai detto».
Ultimamente sembra aver ammorbidito il carattere impulsivo che tirava fuori sui social.
«Prima rispondevo a qualunque provocazione. Però mi fa ancora male leggere certi commenti come “tuo padre si rivolta nella tomba” perché sono entrata in Forza Italia, o come “stai buttando fango sulla tua famiglia, i tuoi fratelli ti disconoscono”».
È riuscita a far pace con la morte di suo padre?
«Anche adesso che sono ormai nell’imbuto della vita, papà mi continua a mancare moltissimo. È come se la mia vita si fosse fermata lì, a quando avevo 35 anni».