Il Messaggero, 10 dicembre 2025
Film e serie Tv. Nella Città eterna il 63% del valore delle produzioni
Roma Caput cinema. Tra gennaio e novembre di quest’anno, la Città Eterna con le sue meraviglie che tutto il mondo ci invidia ha fatto da sfondo a 100 set cinematografici: film, serie, documentari, cortometraggi, spot, videoclip girati a grande maggioranza nel primo Municipio (38) e nel secondo (17). E alcuni di quei set erano di produzione straniera come il film Roma elastica del regista francese Bertrand Mandico con l’attrice premio Oscar Marion Cotillard. Prossimamente, sono attese nella Capitale e nell’intera Regione altre produzioni internazionali mentre il nuovissimo, super-tecnologico Teatro 22 di Cinecittà si prepara ad accogliere a breve le riprese di The Resurrection of Christ di Mel Gibson dopo che la Hollywood sul tevere ha fatto da sfondo a The Dog Stars di Ridley Scott, ambentato in parte anche all’Eur, le serie The Saints di Martin Scorsese e The Iris Affair con Tom Hollander, un film Disney e un altro Universal ancora top secret. E cosa succederà nel 2026?
«Puntiamo a mantenere lo stesso trend di quest’anno: Roma continua ad essere un’ambientazione ultra-attraente e ci sono già arrivate molte richieste dall’estero, ma non soltanto dall’America», spiega Lorenza Lei, ad della Fondazione Lazio Film Commission, tra le prime in Italia ad aver investito nel cinema e da giugno scorso rinata grazie a un nuovo statuto e a una nuova governance che rivede nel cda Roma Capitale dopo 10 anni di assenza. In nome di un piano strategico triennale: 60 milioni della Regione destinati sia a sostenere le imprese sia a fare formazione attraverso le scuole “Volonté” e “Officina delle Arti Pier Paolo Pasolini”. «Accompagniamo la crescita delle realtà audiovisive in tutta la filiera, dalla sceneggiatura alla distribuzione fino alla partecipazione ai festival con la prospettiva di coprire aree mai toccate finora come i corti e le anteprime», continua Lei, «e le imprese romane e del Lazio sono il cuore pulsante del cinema italiano».
I numeri, contenuti nel dettagliatissimo rapporto realizzato da Francesco Lattarulo per conto di CNA di Roma con Nina, Camera di Commercio e Roma Lazio Film Commission, confermano il ruolo dominante di Roma nel panorama audiovisivo: con 30mila addetti al settore sui 124mila nazionali e grazie a 1.010 società attive, la Capitale realizza oltre il 63 per cento del valore della produzione nazionale (circa 3,39 miliardi di euro sui complessivi 5,41 miliardi). Nel quinquennio 2020-2024 le società romane hanno beneficiato di oltre l’80 per cento dei fondi pubblici destinati alle coproduzioni internazionali: circa 367 milioni di euro sui 445 milioni totali. Grazie al Tax Credit internazionale, nello stesso arco di tempo il settore audiovisivo ha attratto sul territorio nazionale circa 1,5 miliardi, di cui 469 milioni destinati alle società italiane: di questi, ben l’82,5 per cento è stato assorbito da quelle romane. E tra il 2016 e il 2024, Lazio Cinema International ha erogato 80,6 milioni mentre gli investimenti sul territorio regionale sono stati di 268,67 milioni con un impatto economico complessivo stimato intorno al miliardo di euro. L’audiovisivo produce infatti ricadute importanti: la Cassa Depositi e Prestiti ha evidenziato che ogni euro investito nel cinema genera un impatto economico di 3,54 euro sullo scenario italiano, creando valore e occupazione lungo tutta la filiera.
Ma adesso l’imminente maxi-fusione che in America vede in gara Netflix e Paramount per l’acquisizione di Warner rappresenta un pericolo per le imprese nazionali, in particolare quelle romane? «Potrebbe essere un rischio», risponde Lei, «ma anche un’occasione di riflessione per capire se le stesse imprese, unendosi, possano costituire una forza. Bisogna confrontarsi con la nuova realtà, non negarne l’esistenza. L’ostruzionismo non porta alla crescita». Commenta il produttore Gianluca Curti, presidente di Cna che raggruppa le piccole e medie imprese dell’audiovisivo: «Mi auguro che la maxi-fusione non sia un male, piuttosto una spinta al cambiamento: le regole d’ingaggio non saranno più le stesse e l’industria audiovisiva dovrà pensare a un nuovo modello di business. Non possiamo rimanere statici».
Per Alessandro Usai presidente dell’Anica, l’associazione nazionale delle industrie audiovisive e digitali (che ha tra i suoi associati anche Netflix e Warner), il fatto che un nuovo player kolossal si prepari sbarcare nel mercato dell’intrattenimento genera due tipi di preoccupazioni: «La prima è la perdita dei posti di lavoro: l’imminente fusione non dovrà penalizzare la grande professionalità italiana, riconosciuta in tutto il mondo. La seconda preoccupazione è il rischio che si riducano gli investimenti stranieri nel nostro cinema. Netflix è stato finora un investitore importante e Warner, che il 13 gennaio lancerà in Italia e in Germania la nuova piattaforma Hbo Max, ha iniziato producendo la serie Portobello di Bellocchio su Enzo Tortora. Devono continuare». Per noi sarebbe più conveniente che a vincere la “gara” fosse Netflix o Paramount? «Entrambi i colossi hanno un dna cinematografico», osserva Usai, «e questo ci induce a sperare che chiunque la spunti mantenga la centralità della distribuzione dei film nelle sale».