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 2025  dicembre 10 Mercoledì calendario

Fabio Capello: “Io, melomane alla Scala come a San Siro, passione nata a 18 anni”

Stavolta non era la Scala del calcio, ma la Scala e basta. E Fabio Capello, impeccabile nel suo smoking accanto alla moglie Laura, domenica si è goduto la prima “Prima” della sua vita nel più importante teatro al mondo. Emozionato, lui che è noto per la saldezza di carattere. Ma di fronte alla grande bellezza, pure la saldezza può vacillare. Fabio Capello, la musica e le arti figurative: storie d’amore lunghe una vita.
Mister, possiamo chiamarla così anche se non parleremo nemmeno un po’ di calcio?
«Ma sì, ho lavorato tanto in Inghilterra, mister va benissimo».
Come si è sentito, al ballo del debuttante?
«Veramente, sono abbonato da quattro anni alla stagione sinfonica e concertistica della Scala, e ascolto musica classica da più di mezzo secolo. È una delle mie principali passioni».

Mai, però, una prima alla Scala. Stavolta, invece?
«Ho ricevuto un invito, graditissimo e inaspettato, da parte del sovrintendente Fortunato Ortombina che avevo conosciuto proprio andando a rinnovare l’abbonamento. Ma una Prima alla Scala, sono sincero, l’ho sempre considerata una cosa troppo grande. Non ho neppure idea di come si prenotino i biglietti, né come fare a ottenerli».
Beh, lei è Fabio Capello: si è sentito un privilegiato, seduto su quella poltroncina rossa?
«Decisamente sì. Essere lì è stato davvero un onore».
Ma lei non è certo un personaggio mondano: si sarà sentito un pesce fuor d’acqua.
«Anch’io pensavo che sarebbe stato un evento mondano, invece mi sono subito accorto che la maggior parte delle persone era lì per la musica, ed è stato bellissimo. Un pubblico concentrato per seguire un’opera piuttosto impegnativa».
L’ha trovata difficile?
«Guardi che io e mia moglie andiamo sempre all’opera preparati.
Abbiamo studiato, ci siamo letti il libretto e per fortuna il testo scorre sui monitor, perché altrimenti non si capirebbe nulla. Devo dire che l’orchestra è stata strepitosa, per non parlare del maestro Riccardo Chailly».
Vi conoscete?
«No, e mi sarebbe piaciuto incontrarlo. Ma dev’essere stato stanchissimo dopo una performance molto lunga e faticosa. Sarà per un’altra volta».
Come è cominciata la sua passione musicale?
«La spinta iniziale me la diede Laura quando eravamo ancora fidanzati, ci siamo conosciuti a scuola e ci siamo messi insieme quando avevamo diciotto anni. Io sono un curioso da sempre. Ero un ragazzo e giocavo nella Spal: al teatro di Ferrara rappresentavano La Bohème, e Laura mi chiese di accompagnarla: potevo rifiutare?»
No di certo: così l’amore per una donna si è esteso a quello per la musica.
«Un colpo di fulmine. A partire da quella prima sera sono stato conquistato: dell’opera mi piace tutto, i cantanti, le trame narrative, la sceneggiatura, ovviamente le musiche. Un’arte molto italiana».

Ha un autore del cuore?
«No, e comunque la musica classica e sinfonica mi piacciono ancora di più. Claudio Abbado, grande milanista, è da anni un mio buon amico: quand’era direttore dei Berliner mi invitò, ma purtroppo non riuscii mai ad andare a sentirlo in Germania. Qui in Italia, invece, accadde molte volte. Quante cassette con le partite del Milan gli ho mandato, e lui ricambiava con i suoi cd. A Londra sono diventato amico di un altro importante direttore d’orchestra, il russo Valerij Gergiev. La mia passione di musicofilo mi ha regalato serate memorabili, come quella volta che ascoltai il sublime Rostropovi? con il suo magico violoncello. Un paradiso».
Altri concerti speciali?
«Uno, recentissimo, sempre alla Scala, con la violinista Lisa Batiashvili e Daniel Barenboim direttore per un indimenticabile Beethoven».
Capello, lei è anche un grande appassionato d’arte.
«Sempre merito di mia moglie: abbiamo visitato quasi tutti i luoghi artistici e culturali al mondo, ci manca solo l’Isola di Pasqua. E i musei, ovviamente. Ero amico di Alberto Burri: troppo amico, per chiedergli di acquistare una sua opera».
Quali, i suoi artisti preferiti?
«Amo l’arte contemporanea, quella che, come si dice, non si capisce... Ma io non ne faccio una questione mentale: mi piace ciò che mi dà una sensazione. Apprezzo artisti come Kiefer, Kounellis, Condo e Cecily Brown, insomma chi è davvero innovativo. A Roma avrei tanto voluto conoscere Cy Twombly, purtroppo non andai mai a trovarlo».

Gli sportivi amano poco la cultura: un luogo comune?
«Direi di sì, non generalizziamo».
Ma è più difficile capire di calcio o di arte contemporanea?
«L’arte, se ti impegni e ti sintonizzi, alla fine la puoi comprendere. In quanto al calcio, si dice che lo capiscano proprio tutti: io penso, invece, che ognuno lo capisca a modo suo, o creda di capirlo».
Secondo lei è più complicato giocare a San Siro, la Scala del calcio, oppure esibirsi alla Scala?
«Due luoghi che in fondo si somigliano, anche per la pressione che si avverte e per la storia che racchiudono: difficile essere grandi interpreti, lì. La Scala, qualunque sia, non è per tutti».