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 2025  dicembre 10 Mercoledì calendario

Ombre su Oliver Sacks: inventò i casi di “Risvegli”

Oliver Sacks arrivò alla psicoanalisi non per scelta ideologica, ma per necessità esistenziale. E la usò per tenere a bada un tormento interiore, scrivendo libri diventati famosi. Ma con dentro un segreto, rivelato dai diari consegnati un anno fa alla New York Public Library e letti adesso dal New Yorker, che ne ha ricavato un lungo ritratto: Sacks, uno dei neurologi più famosi al mondo, morto a Manhattan nel 2015 a 82 anni, ha messo sé stesso nei suoi famosi casi clinici, edulcorandone le storie, dando ai pazienti “poteri” che in realtà non avevano. Un lungo percorso cominciato negli anni ’60 quando era un giovane neurologo inglese approdato a San Francisco, uscito dall’universo vittoriano della sua infanzia londinese. Portava con sé un segreto che, nell’America del dopoguerra, e non solo, era considerato quasi un crimine professionale: l’omosessualità. Un amico gli aveva consigliato una prudenza quasi paranoica: Sacks avrebbe dovuto cancellare gli indizi, non lasciare tracce. Lui scelse una strada che segnò il successo di libri come Risvegli e L’uomo che scambiò la moglie per un cappello: proiettò segretamente sé stesso nei suoi pazienti.
La svolta era avvenuta nello studio di Leonard Shengold, analista meno dogmatico dei suoi colleghi ma pur sempre figlio della disciplina che aveva trasformato l’omosessualità in disturbo da correggere, o almeno da sublimare. Shengold non lo incoraggiò alla castità, ma non la scoraggiò. E Sacks, che viveva un conflitto profondo tra pulsione e vergogna, secondo il New Yorker scelse la via più estrema: rinunciare al sesso, consegnandosi al martirio come forma di sopravvivenza.
L’energia sottratta alla vita intima ha finito per alimentare la sua scrittura, e l’astinenza sessuale si è sublimata in amore per i pazienti, il lavoro e il pensiero. Sacks riempiva diari a ritmo febbrile, anche nello spazio di due giorni. Guidava per le vie di Manhattan e intanto registrava i suoi pensieri, immancabilmente interrotti da uno stop improvviso o da un pedone che attraversava di corsa la strada. Puntava a produrre un milione e mezzo di parole all’anno. Se nel pieno della notte l’eccitazione lo sorprendeva, la raffreddava infilando il pene in una vaschetta di gelatina d’arancia, gesto che oscillava tra umorismo nero e autopunizione monastica.
Nel frattempo, la sua produzione di libri cresceva. Non erano referti medici ma racconti brillanti e ricchi di umanità. I pazienti non erano solo portatori di casi clinici ma persone intrappolate nei loro traumi. Nei gemelli autistici capaci di creare sequenze di numeri primi in L’uomo che scambiò la moglie per un cappello trasferì i suoi conflitti. Uno dei pazienti, Mort Doran, il chirurgo con la sindrome di Tourette di L’antropologo su Marte, aveva notato qualcosa di falso nella propria descrizione, ma perdonò Sacks, perché in fondo «è quello che fanno gli scrittori».
Nei suoi diari il neurologo ha ammesso di aver commesso «molti errori», e confessato un «senso di criminalità»: aveva dato ai pazienti una voce che forse non avevano, aggiunto dettagli, intensificato emozioni, talvolta creato episodi simbolici. Non mentiva per vanità, era autobiografia mascherata. Dal ritratto del New Yorker non emerge la figura del medico-santo che il pubblico avrebbe celebrato, ma di un uomo che sognava di diventare il “Galileo dell’interiorità”, impegnato in un negoziato costante tra desiderio e disciplina, arte e verità, identità e paura, alla ricerca di una forma di redenzione attraverso i suoi libri.