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 2025  dicembre 10 Mercoledì calendario

Freddie Scappaticci, il boia italiano dell’Ira (che i servizi segreti di Londra proteggevano)

È una delle vicende più incredibili e macabre a emergere dalla tormentata storia dell’Irlanda del Nord: quella di Federico «Freddie» Scappaticci, il torturatore italiano dell’Ira che venne protetto per decenni dai servizi segreti britannici. 
I dettagli di questa storia sono stati descritti in un rapporto di 160 pagine pubblicato a conclusione di un’inchiesta durata nove anni e costata quasi 50 milioni di euro: e sono un atto d’accusa nei confronti del MI5, il servizio di sicurezza interno di Londra. 
Scappaticci era figlio di immigrati italiani a Belfast e da ragazzo fu una giovane promessa del calcio: ma nel 1969, a 23 anni, scelse una carriera diversa e si arruolò nell’Irish Republican Army, l’organizzazione terroristica che si batteva contro il governo britannico. 
Nella prima metà degli anni Settanta «Freddie» venne arrestato e rilasciato più volte, ma intanto scalava i ranghi dell’Ira fino a diventare il responsabile della sicurezza interna, in particolare di quell’unità incaricata di far fuori i collaboratori della polizia britannica. 
Scappaticci veniva descritto come un bullo sadico, che godeva nel torturare e giustiziare personalmente i sospetti informatori: durante gli interrogatori minacciava di scuoiarli, li faceva confessare per poi ucciderli con un colpo alla testa. 
I cadaveri, legati e incappucciati, venivano abbandonati ai bordi delle strade: e ai familiari il boia faceva ascoltare le registrazioni delle confessioni estorte. 
Ma Scappaticci aveva in realtà una doppia vita: fin dalla seconda metà degli anni Settanta era diventato lui stesso un informatore dei servizi britannici – nome in codice Stakeknife – che lo consideravano una «gallina dalle uova d’oro», le cui soffiate avevano consentito di neutralizzare molte operazioni dell’Ira.
Per questo a Londra avevano deciso di proteggere a ogni costo la loro più preziosa talpa all’interno del movimento terrorista nordirlandese: e così più di una volta lo avevano sottratto all’arresto da parte della polizia locale. 
Non si sa cosa avesse spinto Scappaticci a diventare un collaborazionista: forse i soldi che gli venivano offerti, forse l’insoddisfazione con le gerarchie dell’Ira, magari un desiderio genuino di contribuire alla fine del conflitto. Ma la realtà è che, grazie alla protezione dei servizi britannici, «Stakeknife» continuò indisturbato la sua carriera di boia: e l’inchiesta ha adesso stabilito che le sue informazioni servirono a salvare molte meno persone di quante lui stesso non abbia ammazzato. 
Già nel 1999 i giornali inglesi avevano svelato l’esistenza di un infiltrato ai vertici dell’Ira: e nel 2003 Scappaticci venne identificato come l’agente Stakeknife. Lui negò tutto, ma i servizi britannici lo trasferirono in Inghilterra sotto falso nome e lo misero sotto protezione, assegnandogli una spaziosa casa in un villaggio del Surrey. 
Nessuno dei suoi vicini sospettava la vera identità di quel tipo che conduceva una vita abbastanza solitaria: l’unica volta che ebbe a che fare con la giustizia fu quando venne condannato per possesso di materiale pornografico estremo, un vizio che coltivava da sempre. 
Due anni fa, un ictus lo ha stroncato una volta per tutte: ma la pubblicazione del suo testamento è stata bloccata (una cosa che avviene solo per i reali), probabilmente per non rivelare l’entità dei pagamenti che aveva ricevuto dai britannici. La conclusione dell’inchiesta è un parziale sollievo per i familiari delle vittime di Scappaticci, che per anni, oltre al dolore, hanno dovuto subire il marchio d’infamia di essere parenti di «traditori»: ora si aspettano le scuse formali da parte del governo di Londra.