Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  dicembre 07 Domenica calendario

Il fascino irresistibile del numero 1

Per esperienza di libraio antiquario so che un’élite di collezionisti italiani è capace di sorprendere, “inventando” percorsi non ancora immaginati da istituzioni e professionisti del settore. È il caso di Enrico Redaelli, art director di vecchia data di molte pubblicazioni di Class Editori, e non solo, che da decenni raccoglie con metodo il primo numero dei periodici italiani venduti in edicola, in vari casi attivi tuttora, ma spesso estinti dopo l’inizio delle pubblicazioni. Lo fa a partire dai primi anni 70 e, da vero cultore, si è anche concesso il piacere di acquistare nei mercatini qualche esemplare di testate storiche antecedenti o mancanti nella raccolta.
Nel mondo del collezionismo del primo Novecento libri e riviste letterario-artistiche importanti (pensiamo a “Poesia”, “Lacerba”, “Campo Grafico” e via elencando) vanno a braccetto, integrandosi a vicenda, e altrettanto avviene con il secondo Novecento più meritevole. Va riconosciuto che alcune istituzioni pubbliche, specie universitarie, da qualche tempo cercano di coprire le lacune, soprattutto per quanto riguarda il pubblicato di periodici letterari e culturali. Manca invece l’idea di concentrarsi sul “numero uno” (e, quando possibile, anche sul numero zero di prova) e di rivolgere l’attenzione al mare magnum della contemporaneità. Certo, così facendo Enrico Redaelli era informato in tempo reale su quanto stava accadendo nell’ambito del suo lavoro. Ma non era solo un puntiglioso costante aggiornamento professionale il suo, era il tarlo della passione che agiva, come lui stesso scrive.
Il risultato finale è che i suoi oltre settecento numeri raccontano non solo un inedito “come eravamo”, ma la politica, la cultura, il costume e la cronaca dell’Italia meglio di un saggio di sociologia. Leggere gli editoriali, qualche articolo, soffermarsi sulle fotografie e le illustrazioni vuol dire immergersi in mezzo secolo con una freschezza di approccio senza eguali, che l’eventuale versione digitale non riuscirà mai a rendere fino in fondo. Anche la selezione di centocinquanta copertine e prime pagine presenti in mostra nella loro fisicità e riprodotte in catalogo è sufficiente a restituirci il sapore e il senso dell’epoca.
La “pesca” cartacea messa in atto da Redaelli era giustamente “totale” (ma qualcosa sfugge sempre, perché veicolato in circuiti alternativi e di nicchia o per altri motivi) e costringe a una selezione non facile per documentare quella lunga e articolata stagione di profondi cambiamenti nella società italiana. Per comodità espositiva e narrativa sono state individuate diciotto agili sezioni, ognuna con una manciata di esemplari significativi. Tutti appartengono per rigore collezionistico alla categoria dei numeri uno, più qualche raro numero zero, criterio che spiega il non inserimento di alcune testate interessanti presenti nella raccolta con numeri di poco successivi. Ognuno poi troverà qualche mancanza, ma sono poche e saranno oggetto di ricerche e acquisizioni successive.
Dopo l’omaggio al rarissimo primo numero del “Corriere della Sera” (5 marzo 1876), un vero e proprio cimelio, la mostra si apre con alcuni periodici a cavallo tra anni 50 e 60 tra cui “Gente”, “Storia illustrata” (entrambi usciti nel 1957) e “Panorama” (1962). La contestazione, il Sessantotto e la radicalizzazione successiva trovano spazio nella sezione seguente, dal “Manifesto” a “Controinformazione”, a cui si aggiunge un capitolo dedicato a satira e fumetti.
Ma è la grande fioritura di quotidiani e settimanali tra informazione, politica e cultura a dominare la scena dagli anni Settanta in poi, fino agli anni Duemila. Si segnalano, tra i quotidiani variamente schierati politicamente e variamente longevi: “la Repubblica” (1976), “L’Occhio” (1979), “Reporter” (1985), “Liberazione” (1991), “L’Indipendente” (1991), “la Voce” (1994), “Il Foglio” (1996) e via continuando fino ai nostri giorni. (...)
Va anche sottolineato come, scorrendo i nomi delle città sedi delle redazioni e delle case editrici, emerga con forza il ruolo di Milano, capitale indiscussa dell’editoria periodica ancor più che di quella libraria, qui rappresentata con oltre due terzi delle testate. La veloce carrellata sul percorso della mostra e, più in generale, sulla collezione costruita con lungimiranza da Enrico Redaelli – su cui Paolo Fallai, giornalista e scrittore, si sofferma con acume nel dettaglio introducendo tutte le sezioni – non può non concludersi con una riflessione sullo stato attuale delle cose. Basta guardarsi in giro percorrendo l’Italia per accorgersi che in molti borghi ha chiuso l’unica edicola rimasta e che nelle città aumenta il numero di edicole con le serrande abbassate e arrugginite e con l’insegna scolorita “vendesi”. Basta pensare ai lunghi giri fatti la domenica mattina cercando di acquistare un quotidiano per realizzare che siamo in presenza di un passaggio e di una crisi epocale, con il numero di edicole “pure” (quelle in cui si vendono prevalentemente giornali e riviste) passato negli ultimi venti anni da circa 40.000 a meno di 12.000 oggi. Basta osservare in treno o sui mezzi pubblici il numero e l’età delle persone incollate agli smartphone e confrontarli con quello dei lettori per capire perché anno dopo anno diminuiscono le copie vendute dei quotidiani e aumentano i conti in rosso delle case editrici.
La mostra forse è il canto del cigno di una stagione intensa di pubblicazioni e di contestuale rinnovamento grafico, come documentano i nomi di Giuseppe Trevisani, Bob Noorda, Giulio Confalonieri, Giancarlo Iliprandi, Salvatore Gregorietti, Gianni Sassi, Massimo Dolcini, Andrea Pazienza, Franco Maria Ricci, Pierluigi Cerri, Gianluigi Colin. Ma vuole essere anche la riaffermazione testarda del valore insostituibile della stampa nella formazione culturale e politica. Non basta leggere i “classici” insieme a buona letteratura e saggistica contemporanea, bisogna in parallelo immergersi nel dibattito delle idee e delle posizioni politiche che solo i periodici sono in grado di offrire. Faccio parte di una generazione cresciuta a pane e giornali e resto convinto che una solida formazione corre fin dalla giovinezza sul doppio binario. Sta a ognuno individuarlo e percorrerlo.