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 2025  dicembre 09 Martedì calendario

Dall’angioplastica all’intervento al femore, ecco i 15 migliori ospedali d’Italia

A dieci anni dall’entrata in vigore del Decreto ministeriale (Dm) 70 che ha fissato gli standard di efficienza degli ospedali, l’Italia continua a fare i conti con un vizio difficile da estirpare: una rete ospedaliera troppo dispersiva, fatta di reparti e ospedaletti che trattano pochi casi all’anno, specie negli ambiti più delicati come la chirurgia oncologica o le procedure salvavita. Una dispersione che non è solo un problema organizzativo: più bassa è la casistica, più alto è il rischio per i pazienti. Lo certificano i numeri del Programma nazionale esiti (Pne), che anche nell’edizione 2025 mette in fila progressi importanti, ma anche criticità che hanno il sapore amaro delle occasioni perse. E stila un elenco di 15 strutture che rappresentano l’eccellenza ospedaliera in Italia.
Il principio è semplice e vale in ogni settore, ma in sanità diventa una legge di gravità: dove si opera di più, si sbaglia di meno. Non a caso, gli interventi più complessi concentrati nei centri ad alto volume mostrano performance migliori, mentre là dove prevalgono reparti con tre o quattro casi al mese – o addirittura all’anno – gli esiti peggiorano. È il caso, ad esempio, delle resezioni pancreatiche, che al Sud finiscono in strutture ad alto volume solo nel 28% dei casi, contro una media nazionale del 54%. Oppure degli interventi al retto, dove addirittura si registra un arretramento: appena il 22% eseguito in centri sopra soglia, contro il 30% del 2015. Un passo indietro in un campo in cui la curva di apprendimento conta più del bisturi.
Eppure, laddove lo Stato ha imposto standard chiari, la differenza si vede. Il Dm 70 ha introdotto parametri minimi di attività e sicurezza, e i risultati parlano: nella chirurgia della mammella il 90% dei casi è oggi trattato in strutture ad alto volume (erano il 72% dieci anni fa). Anche colon, prostata e polmone mostrano un progressivo riordino, segno che quando le regole sono definite e monitorate, il sistema risponde. Perché – dice in filigrana il Pne – la qualità migliora quando è misurata.
Ma il vero tallone d’Achille resta la disomogeneità territoriale. L’Italia appare come una sanità a due velocità: Nord più vicino agli standard, Sud spesso incagliato sotto soglia, sia nei volumi che nella rapidità dei trattamenti. Emblematico il caso dell’angioplastica urgente: la quota di pazienti trattati entro 90 minuti sale al 63% a livello nazionale, ma con un gradiente Nord-Sud che continua a scavare differenze di sopravvivenza. Lo stesso copione si ripete nella frattura del femore: 60% operata entro due giorni, ma molte regioni meridionali restano sotto lo standard. Fatto sta che nella classifica dei 15 migliori ospedali d’Italia stilata da Agenas ben 10 siano al Nord – di cui nella sola Lombardia – e solo uno al Sud, in Campania.
La lezione che emerge è chiara: non basta aggiungere tecnologia o rifare i pronto soccorso, se prima non si razionalizza la rete dei punti di erogazione. Il Pne fotografa ben 1.117 strutture di ricovero, sia pubbliche che private convenzionate. Un mosaico così frammentato che non sorprende scoprire come 198 di esse siano state segnalate per 300 audit a causa dei risultati molto bassi o delle criticità nella codifica clinica. È l’altra faccia della dispersione: troppi reparti per pochi pazienti, e la qualità si assottiglia come una coperta troppo corta. Eppure qualche spiraglio c’è. Sessantotto strutture sono uscite dalla “lista nera” dell’audit grazie a miglioramenti documentati, distribuiti in tutte le regioni. Segno che la trasparenza funziona: quando gli esiti diventano pubblici e confrontabili, le aziende ospedaliere si muovono.
Il quadro complessivo che emerge dal Pne è quello di un sistema che sa migliorare quando gli vengono dati obiettivi chiari e verificabili. Dove esistono standard – come per la day surgery della colecistectomia, salita dal 22 al 39% in dieci anni, o per la riduzione dei tagli cesarei primari – i progressi sono tangibili. Dove invece prevalgono inerzie, autonomie fuori controllo e campanilismi, la qualità ristagna. Se l’Italia vuole davvero una sanità capace di garantire equità e sicurezza, la strada è segnata: meno ospedali che fanno tutto e di tutto, più centri che fanno bene ciò per cui sono attrezzati. Perché quando è in gioco la vita, la statistica non è un dettaglio: è parte della cura.
I 15 migliori ospedali italiani (Pne 2025)
Strutture valutate su almeno 6 aree e con livello alto/molto alto in tutte le aree considerate
L’ospedale Bolognini di Seriate (Bergamo)
 
Ospedale Bolognini – Lombardia (6 aree)
Ospedale di Montebelluna – Veneto (6 aree)
Ospedale Bentivoglio – Emilia-Romagna (6 aree)
Ospedale di Città di Castello – Umbria (6 aree)
Ospedale Maggiore di Lodi – Lombardia (7 aree)
Fondazione Poliambulanza – Lombardia (7 aree)
Ospedale Papa Giovanni XXIII – Lombardia (7 aree)
Istituto Clinico Humanitas – Lombardia (7 aree)
Ospedale di Cittadella – Veneto (7 aree)
Ospedale Fidenza – Emilia-Romagna (7 aree)
P.O. F. Lotti, Pontedera – Toscana (7 aree)
Stabilimento Umberto I, G.M. Lancisi – Marche (7 aree)
A.O.U. Federico II di Napoli – Campania (7 aree)
Ospedale di Savigliano – Piemonte (8 aree)
Ospedale di Mestre – Veneto (8 aree)