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 2025  dicembre 09 Martedì calendario

Cara Università

Aumentano ancora le rette delle università in Italia. Stando al Rapporto nazionale sui costi degli atenei italiani di Federconsumatori-Fondazione Isscon, giunto alla sua dodicesima edizione, l’anno accademico 2025/2026 segna un ulteriore rincaro: in media, a livello nazionale, circa il 6% in più.
L’Osservatorio ha monitorato quanto costa frequentare un corso di laurea nelle tre macro-aree della penisola, distinguendo fra discipline umanistiche o scientifiche ed esaminando le due con più studenti in tre regioni per un totale di diciotto sedi. L’indagine tiene conto anche delle agevolazioni per gli universitari a basso reddito e meritevoli. Che cosa emerge?
Ebbene, i dati confermano che gli atenei del Nord sono ancora i più cari. In particolare, quelli della Lombardia. Al primo posto, la Statale di Milano seguita dall’università di Pavia e dal Politecnico di Torino. Nella prima, l’importo da corrispondere per la fascia massima (ovvero senza agevolazioni) è di 3.360 euro all’anno per le facoltà umanistiche e ben 4.257,12 euro per l’area scientifica. Pavia richiede un massimo di 3.343 euro annui per le facoltà umanistiche e 4.141 euro per le scientifiche mentre il Politecnico di Torino ha una retta annua di 3.761 euro per entrambe.
Al Sud, il livello più alto tocca all’Università del Salento con una tassa annua di iscrizione pari a 3.206 euro senza distinzioni. Quanto allo storico ateneo di Padova si arriva a 2.955 euro per le facoltà umanistiche e 3.155 euro per le scientifiche. La media italiana dell’intero campione monitorato porta, per le famiglie senza agevolazioni, un costo medio di circa 2.747 euro all’anno.
Venendo alle telematiche, nelle sei principali riconosciute dal Mur si oscilla da un minimo di 2.106 euro all’anno per la laurea triennale a 4.656 euro per la magistrale. Per le lauree da remoto, non si applica l’Isee e sulla retta annuale bisogna aggiungere le tasse regionali (in media, 140 euro) e, spesso, la tassa d’esame.

«L’aumento del 6% delle spese universitarie va letto in un contesto complessivo di perdita del potere d’acquisto delle retribuzioni», commenta Roberto Giordano, vicepresidente di Federconsumatori. «Nella finanziaria in discussione c’è l’incremento delle borse di studio ma anche l’eliminazione dell’esenzione dell’Irpef per dottorati e ricercatori. Da sempre, la nostra proposta è quella di una maggiore lotta all’evasione e all’elusione fiscale che vanno di pari passo con i parametri considerati per il pagamento delle rette, che spesso consentono di pagare di meno a chi invece dovrebbe spendere importi più alti».
Quello dell’Isee è un vecchio nodo. «Va riformato perché è nato come strumento a contrasto della povertà familiare ma non è adeguato per l’università», sottolinea l’onorevole Elena Bonetti per Azione. «Non basta abbassare le tasse per i redditi più bassi senza un sostegno per i costi della vita da fuori sede e, di fatto, si penalizza il ceto medio. Dobbiamo aumentare il numero dei laureati nel nostro Paese: lo studio non può essere un privilegio per pochi ma uno strumento per consentire a tutti di migliorare le competenze».
Non si stupiscono dell’aumento gli studenti. «Lo avevamo preannunciato», rimarca Alessandro Bruscella, coordinatore nazionale dell’Unione degli universitari. «Il Fondo di finanziamento ordinario delle università non ha recuperato neppure quanto perso con l’inflazione. E si è aggiunto il pesante taglio dell’anno scorso». Il riferimento è a luglio 2024 quando il fondo, che aveva ottenuto un incremento di 300 milioni di euro, ha subito una “sforbiciata” di 173 milioni di euro.
Per il 2026, la legge di Bilancio in via di approvazione in Parlamento lo conserva e sono in arrivo 250 milioni di euro in più da destinare alle borse di studio,
conquistati dal ministro dell’Università e della Ricerca Anna Maria Bernini, anche per arginare la fine dei fondi del Pnnr. «Sono un recupero del taglio ma non cambia il quadro complessivo», prosegue Bruscella. «L’università è fanalino di coda. E aumentano le liste di studenti che non riescono ad avere una borsa di studio pur avendone diritto».
A livello nazionale, la “no tax area” è di 22 mila euro. Ma l’università può scegliere di alzarla per sostenere più studenti. Non senza ricadute sugli altri iscritti. «Al netto di proporzionalità e progressione, ogni ateneo ha carta bianca per fissare il suo calcolo per le rette ma, di solito, con un reddito Isee fra 70 e 100 mila euro scatta comunque la massima», spiega Anna Tesi, membro esecutivo nazionale Udu con delega alla contribuzione e al diritto allo studio. «Alzare la “no tax area” non conviene agli atenei perché non c’è mai certezza di quanto recupereranno dal finanziamento pubblico. Dunque, rischiano di perdere sostenibilità. Io ho seguito la riforma a Padova che ha innalzato la “no tax area” a 30 mila euro: risultato? Gli iscritti nella fascia di reddito di 70 mila euro l’anno dopo si sono ritrovati 200 euro in più».