La Stampa, 9 dicembre 2025
Tav 20 anni di protesta
Sono passati vent’anni. Gli scavi per l’alta velocità Torino-Lione sono al 25% di realizzazione. Ancora più di tremila persone, forse quattromila, sono in marcia per opporsi alla costruzione dell’opera più contestata della storia d’Italia. «Ma guardate che essere contro il Tav non significa essere contro un treno veloce, ma contro il sistema che lo produce e questo modo sbagliato di intendere la vita» dice la signora Nicoletta Dosio, 79 anni, camminando giù dai tornanti della vecchia strada provinciale della Val di Susa. Lei c’era già allora, c’è sempre stata.
L’8 dicembre 2005 è considerato il momento fondativo della protesta. Seguiva la “Battaglia del Seghino” del 31 ottobre, gli scontri con le forze dell’ordine. E manganellate, corse nei boschi, lacrimogeni, ruspe, blitz notturni, blocchi stradali, violenza. «Quel giorno abbiamo invaso l’area del primo cantiere, proprio qui a Venaus. Eravamo in tantissimi».
Sono passati vent’anni: una sequenza infinita di proteste, denunce, festival, canzoni, slogan. «A sarà düra!», fu urlato per la prima volta in quell’inverno. Ed è stata dura veramente, per tutti. Ma sono ancora qui adesso, negli stessi posti, fra le stesse montagne. «Quel corridoio che doveva trasportare le merci, ora è un’opera strategica per la guerra che stanno preparando. Lo useranno per le armi e per i soldati», dice Nicoletta Dosio. «Queste cose i ragazzi le sanno e non le vogliono, non vogliono un futuro di devastazione. Ecco perché sono con noi, per un bellissimo passaggio di testimone». È vero, ci sono molte ragazze e molti ragazzi che non hanno ancora compiuto vent’anni. Uno di loro, alto, pallido e tremante di emozione, urla al microfono: «Questo non è un treno che unisce. Questo non è un treno che porta futuro. Rappresenta tutto quello che ci viene tolto: il lavoro, il diritto alla cura, i trasporti locali. Le grandi opere portano speculazione, sciacallaggio e infiltrazioni mafiose. La Val di Susa non è una merce, ma una comunità viva. Questo non è un treno, ma una macchina insaziabile che devasta il territorio. Andate via!». Sono i figli delle proteste No-Tav. Una «lotta dal basso» che è diventata un marchio, qualcosa che esce di molto dai confini locali. Arrivano ragazzi e ragazze da tutta Europa. Arrivano gli stessi studenti che manifestano a Torino per la Palestina e per la liberazione dell’imam Mohamed Shahin. La protesta è diventata, anche, un laboratorio. A cui, da sempre, partecipano gli autonomi di Askatasuna. È questa, infatti, la domanda più ricorrente che si rivolge al valligiano. Per esempio a Guido Fissore, 80 anni, uno che ha passato due notti in carcere per aver picchiato un poliziotto con la stampella della sua gamba rotta: «Chi c’è dietro gli scontri? Di chi è la regia?». Lui risponde: «Askatasuna è una forza politica che fa pienamente parte del nostro movimento. Se siamo in tanti, la loro posizione si diluisce. Ma abbiamo sempre discusso tutto». Ecco al microfono Dana Lauriola, militante di Askatasuna, condannata a due anni per un blocco autostradale, pena scontata con sette mesi di carcere e poi ai domiciliari: «Sono passati vent’anni da quando una comunità ha imparato a essere movimento. Il 5 dicembre 2005 eravamo in pochi al presidio, con il freddo e la neve. Quando sono arrivati gli agenti con i caschi neri che luccicavano nella notte, ecco persone da tutta la valle, anche in pigiama, per opporsi. Quel giorno è iniziata una storia meravigliosa che non era ancora scritta. Avevamo ragione allora e abbiamo ragione oggi. Siamo ancora qui a immaginare un futuro possibile per questo Paese». Insomma, è una marcia auto celebrativa. Fra gli altri, c’è l’ex sindacalista della Fiom Giorgio Cremaschi. Il No-Tav Luca Abbà, divenuto celebre suo malgrado per una caduta rovinosa da un traliccio dell’alta tensione. Alcuni sindaci. Il presidente dell’Unione montana Valsusa, Pacifico Banchieri: «La Tav è un’opera sbagliata per ragioni ecologiche e ambientali. Ma soprattutto è un’opera che toglie soldi a altre opere prioritarie: i trasporti locali, la metropolitana, i servizi. Ecco perché, ancora oggi, marciare con voi ci sembra la cosa giusta».
La sera prima c’era stato l’ennesimo assalto al cantiere condotto da una ventina di manifestanti incappucciati: la minoranza violenta che rovina le intenzioni di tutti. Lancio di pietre contro le forze dell’ordine: un poliziotto ferito. Ma quella dell’8 dicembre 2025 è stata una giornata che nessuno ha voluto sporcare. A aprire la marcia, un trattore. Sulla benna, una panca. Sulla panca, la signora Marisa Mejer, 80 anni: «Non abbiamo vinto, ma abbiamo dato fastidio e ne daremo ancora parecchio. È stato magnifico quello che siamo riusciti a fare. Voglio vedere come andrà a finire».
La fine dei lavori è prevista nel 2033. La fine della marcia, invece, è alle 17 a San Giuliano di Susa, davanti alla casa espropriata alla signora Ines Zuccotti di 87 anni. «Qui ho cresciuto i miei tre figli, c’è la mia vita», ha detto il giorno che se n’è dovuta andare. Quella casa è diventata il nuovo presidio No-Tav. Un giorno diventerà la “nuova stazione internazionale” di Susa.