la Repubblica, 9 dicembre 2025
Giustizia, crescono i costi. L’Anm: “Con la riforma 70 milioni in più l’anno”
Non soltanto uno «stravolgimento della Costituzione». Il tentativo di «portare i pubblici ministeri sotto il cappello dell’esecutivo». La nuova riforma della giustizia, secondo il comitato del No e l’Associazione nazionale magistrati, significherebbe soprattutto un aggravio di costi per i cittadini, «a fronte di nessun miglioramento del funzionamento della giustizia». Per questo provano a spostare il confronto dal terreno delle dichiarazioni a quello più concreto dei numeri. Quelli del bilancio del Consiglio superiore della magistratura, innanzitutto.
Il preventivo 2025, approvato dal Csm, dice che far funzionare l’organo di autogoverno costa 45 milioni e 250 mila euro l’anno: 5,9 milioni per i compensi dei componenti, 29,3 milioni per il personale, 9,7 milioni per beni e servizi. Una macchina costosa, certo, ma stabile. Con la riforma, quella macchina triplicherebbe: due Csm separati, uno per i giudici e uno per i pubblici ministeri, più la nuova Alta Corte disciplinare. È qui che, secondo i calcoli del comitato, il costo esplode: da 45 a 115 milioni di euro. Settanta milioni in più ogni anno. «Risorse che potrebbero essere usate per assumere giovani laureati nella giustizia, nella sanità, nella scuola, in quei servizi che migliorano davvero il Paese», osserva il segretario dell’Anm, Rocco Maruotti. «Questo è il prezzo dell’operazione politica e propagandistica che si sta facendo attorno alla giustizia».
La parte più contestata è proprio l’Alta Corte disciplinare, l’organo che sostituirebbe le sezioni disciplinari del Csm. Un organismo nuovo, strutturalmente pesante, stipendi equiparati ai vertici della magistratura, mandato esclusivo per quattro anni. «Un organo totalmente inutile – dice Maruotti – visto che l’attuale Csm già irroga in modo efficace le sanzioni necessarie. Non c’è alcuna emergenza disciplinare da risolvere». Il tema non è solo di opportunità, ma di proporzione: secondo le stime circolate negli uffici, ogni giudice dell’Alta Corte arriverebbe a decidere meno di cinque procedimenti l’anno. «Saranno i magistrati più pagati al mondo in proporzione al lavoro che faranno. Ogni sentenza costerà ai contribuenti più di 50 mila euro. Un vero affare per i cittadini italiani».
Dentro questa discussione si apre un’altra contraddizione: quella degli addetti all’Ufficio del processo. Duemila giovani che negli ultimi due anni hanno permesso agli uffici giudiziari di smaltire arretrati, velocizzare i fascicoli, recuperare ritardi strutturali. Ragazzi selezionati con un bando pubblico, formati sul campo, oggi indispensabili in cancelleria e in procura. I loro contratti, però, sono scaduti. E mentre si discute di nuovi organi, nuovi stipendi, nuove strutture, loro rischiano di tornare a casa. Con il rischio di far precipitare l’Italia in difficoltà serie sugli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza. L’ingresso degli addetti all’Ufficio del processo ha prodotto risultati misurabili: secondo gli ultimi dati, la durata dei procedimenti si è già ridotta del 20% nel civile e del 28% nel penale. L’Europa chiede di arrivare rispettivamente al -40% e al -25% entro giugno 2026. Un obiettivo possibile, ma non se i 12mila assunti in tutta Italia dovessero interrompere il lavoro nei prossimi mesi. A più riprese il ministero della Giustizia ha parlato di possibili stabilizzazioni, ma sempre per numeri che non superano le 6mila unità. «La questione – osservano dall’Associazione magistrati – è ancora più ampia: da un lato si spendono soldi per nuovi Csm che non servono a nessuno. Dall’altro si mandano a casa, per mancanza di risorse, professionisti che rendono più efficiente la giustizia. È la dimostrazione di quali siano le vere priorità».