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 2025  dicembre 09 Martedì calendario

Le merci cinesi invadono il mondo. Avanzo record, oltre i mille miliardi

Il dato sul nuovo surplus commerciale cinese, che a novembre ha superato la soglia record di un trilione di dollari, segnala che la fabbrica del mondo – Pechino produce il 31% del valore aggiunto manufatturiero globale — non solo non ha rallentato sotto i colpi dei dazi americani, ma ha continuato a espandersi.
Secondo la General Administration of Customs, l’amministrazione doganale cinese, nei primi undici mesi del 2025 l’avanzo commerciale ha toccato quota 1.076 miliardi di dollari, superando con un mese di anticipo il livello del 2024 e polverizzando ogni primato precedente. Solo a novembre, il saldo attivo è stato di 111,68 miliardi, frutto di un export che cresce del 5,9% – ben oltre le stime – e di un import fermo a +1,9%. La forbice sempre più ampia rivela una grande rotazione delle rotte mercantili globali. I dati mostrano infatti un crollo delle spedizioni verso gli Stati Uniti, scese del 28,6% a novembre (l’ottavo calo mensile consecutivo). L’export verso l’Unione europea invece è rimbalzato del 14,8%, compensando di fatto il buco lasciato dal mercato americano, mentre i flussi verso i Paesi dell’area Asean sono cresciuti dell’8,2%. Parte di questo boom verso il Sud-Est asiatico, però, potrebbe nascondere un massiccio fenomeno di «trans-shipment»: merci inviate in Vietnam o Thailandia per assemblaggi minimi e poi spedite negli Usa.
Ma dietro questi numeri si nasconde anche la fragilità del modello cinese. Come sanno bene gli economisti, una crescita basata quasi solo sull’export non è sostenibile nel lungo periodo. E i partner, soprattutto europei, lo contestano apertamente. Ieri, al G7 Finanze in Canada, il Mef ha diffuso un allarme severo: uno studio mostra che le materie critiche – cobalto, litio, grafite, terre rare – sono ormai «tutte in mano cinese». Se a questo si aggiunge l’overcapacity già denunciata, «il pericolo cinese sta diventando una valanga». Anche altri Paesi del G7 hanno espresso forte preoccupazione.
Durante la sua visita in Cina la settimana scorsa, il presidente francese Emmanuel Macron ha detto al presidente Xi Jinping che «gli squilibri stanno diventando insopportabili», avvertendo che l’Ue potrebbe alzare i dazi contro l’import cinese. Anche in Italia l’afflusso di prodotti cinesi si avverte pesantemente, come indicano gli ultimi dati dell’Istat. Nei primi dieci mesi dell’anno, il disavanzo con Pechino è salito a 40,6 miliardi di euro. A questo ritmo, il saldo potrebbe arrivare a 45 miliardi entro la fine dell’anno, stima il Mef, dopo aver superato i 34 miliardi nel 2024, quasi il doppio del 2019.
La strategia, però, non è sostenibile nemmeno per la Cina, che non può continuare a trainare la crescita con le esportazioni e gli investimenti pubblici senza generare gravi squilibri interni.
L’automotive illustra bene questa vulnerabilità. Secondo i dati diffusi dalla China Passenger Car Association, le vendite di auto in Cina sono calate dell’8,1% a novembre, segnando il secondo mese consecutivo di contrazione. Così l’export di veicoli, essenziale per smaltire la sovracapacità, ha segnato un nuovo record storico, con 601 mila vetture vendute all’estero in un solo mese (+52% su base annua).
La leadership cinese è consapevole della necessità di un riequilibrio. Xi ha ripetuto che «i consumi interni» devono diventare «il motore principale»
, creando «un mercato domestico più forte». Ma la transizione è complessa: la fiducia resta debole, frenata dal calo dei prezzi immobiliari, che erode la ricchezza delle famiglie, e da un aumento della disoccupazione. Per riuscirci il governo dovrebbe prima stabilizzare il settore immobiliare, assorbendo l’eccesso di capacità, e poi gestire nel tempo una trasformazione strutturale, capace di aumentare la domanda interna e spostare la crescita verso i consumi delle famiglie e gli investimenti privati.