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 2025  dicembre 09 Martedì calendario

Meloni: non si fa a meno degli Usa. Oggi l’incontro con il leader di Kiev

Zelensky arriva oggi a Palazzo Chigi, dopo le tappe europee di Londra e Bruxelles, con la consapevolezza di essere a un bivio storico e con la convinzione, condivisa dalla Meloni, che bisogna fare di tutto per tenere convergenti le posizioni di Europa, Ucraina e Stati Uniti. Impresa però per nulla facile vista la «forte accelerazione», così la descrivono nell’entourage della premier, che gli americani stanno imprimendo alle trattative, e visto quanto dichiarato da Macron: il punto più difficile per il capo dell’Eliseo è proprio mantenere questa convergenza.
Meloni, che ha partecipato in collegamento da Roma a una parte del confronto che si è svolto a Londra fra Zelensky, il cancelliere tedesco Merz, il britannico Starmer e il presidente francese, una sorta di briefing allargato ai vertici di Polonia, Finlandia e Danimarca, accoglierà Zelensky con la buona notizia che sono in dirittura d’arrivo gli aiuti italiani utili a rafforzare la tenuta della rete elettrica del Paese, ma allo stesso tempo è probabile che spingerà il tasto dell’utilità di fare delle concessioni territoriali, anche dolorose, pur di mettere fine alla guerra, nel contesto di garanzie di sicurezza che invece l’Italia come tutti gli europei stanno lavorando per definire nel modo più massiccio ed efficace possibile.
Ma Zelensky arriva in Italia – in mattinata vedrà anche Papa Leone XIV a Castel Gandolfo – in un momento in cui si moltiplicano gli interrogativi sull’indirizzo politico di Roma, che negli ultimi giorni è apparso sempre più diviso, con posizioni in alcuni casi distanti fra la premier e i suoi due vice. Un quadro che in alcuni casi disorienta gli alleati europei, e forse lo stesso Zelensky, e che è plasticamente descritto dalle dichiarazioni delle ultime settimane: Salvini fa spesso il controcanto delle posizioni del Cremlino, o comunque rema contro ulteriori aiuti a Kiev; Tajani ha reagito alla pubblicazione della nuova strategia di politica estera della Casa Bianca, invocando un programma di riforme del governo dell’Unione che includa il superamento del voto all’unanimità, anche per togliere il potere di veto ad attori filorussi come Orbán; la premier invece sembra stare a metà del guado: in Parlamento ha detto di non ritenere auspicabile quello che il suo ministro degli Esteri giudica imprescindibile, mentre continua a sostenere, in recenti colloqui privati, che l’Italia «non può fare a meno del suo rapporto privilegiato con gli Stati Uniti, perché non è in grado di difendersi da sola».
Forse anche per questo Meloni ieri ha posto l’accento sull’importanza «dell’unità di vedute tra partner europei e Stati Uniti per il raggiungimento di una pace giusta». Una formula diventata quasi un mantra, a dispetto di quello che sta accadendo nel corso dei negoziati, con una posizione americana che appare sempre più sbilanciata sugli interessi russi, piuttosto che su quelli ucraini ed europei. Se la premier resta convinta che è «fondamentale aumentare il livello di convergenza su temi che toccano gli interessi vitali dell’Ucraina e dei partner europei», dall’altra parte guida un governo che ha più dubbi di altri Stati europei sulla necessità dell’utilizzo degli asset russi congelati in Belgio per aiutare l’Ucraina.
A tutti gli interlocutori, italiani ed internazionali, che esternano pressioni su Meloni perché esca da una posizione che ritengono ambigua (la segretaria del Pd Elly Schlein chiede di uscire da una posizione di «vassallaggio» degli Stati Uniti) la premier risponde che il rapporto con la Casa Bianca resta un punto fermo, anche a dispetto delle decisioni di Trump, nel settore dei dazi o negli investimenti obbligati di imprese italiane in territorio americano (compresa Stellantis), che sembrano andare in direzione opposta, senza un occhio di riguardo per gli interessi nazionali.
Del resto il 3 dicembre alla Camera il governo si è opposto a un risoluzione di Azione che chiedeva di attuare una direttiva europea sul sistema sanzionatorio delle interferenze russe, altro dato che non aiuta a fare chiarezza. «Meloni continua a stare con un piede in due staffe», dicono nel Pd, facendo un elenco di casi in cui l’Italia, a cominciare dal programma Purl, acquisto di armi americane da girare a Kiev, ha finora deciso di non decidere. La visita di Zelensky, richiesta con forza da palazzo Chigi, sembra anche colmare il gap fra i passi ufficiali del governo e le dichiarazioni pubbliche di sostegno a Kiev.