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 2025  dicembre 08 Lunedì calendario

Belli, bravi e zero capricci: sono le prime star da “IA”

Segni particolari: bellissima. E canta divinamente, nulla da invidiare a Beyoncé. Peccato che Xania Monet non esista, almeno secondo i parametri della nostra specie. Il dettaglio non le ha impedito, per la prima volta nella storia, di conquistare la vetta delle classifiche Gospel e R&B di Billboard. Caso isolato? Macché. L’Intelligenza Artificiale sta piantando le bandierine nel campo coltivabile dell’industria musicale. Andate a cercare Breaking Rust: un tipico cowboy fisicato, lo sguardo dell’uomo che non deve chiedere mai. La sua Walk my walk si è insediata al n.1 delle Charts Country. Quanto al rock, l’estate scorsa i Velvet Sundown avevano totalizzato milioni di streaming con il loro sound West Coast, reminiscente degli Eagles. La mannaia dell’IA è già calata sulle chitarre degli umani: questi si sono fatti harakiri da soli, piegandosi alla pochezza di brani effimeri, fatti con lo stampino, inconsistenti dal punto di vista creativo, bassamente pop.
Il copia e incolla degli artisti incatenati dalla tirannia delle piattaforme si è rivelato un suicidio di massa, senza la possibilità di tornare a uno status quo ante di repertori composti e suonati da uomini e donne. Studi di settore hanno certificato che il valore attuale dei prodotti musicali generati dall’IA si attesta sui 6,6 miliardi di dollari. Una fetta di torta che entro il 2034 sarà decuplicata, per un tasso di crescita di quasi il 28% all’anno. Intanto un sondaggio di Deezer attesta che sì, il 52% degli utenti sono “turbati” dal fenomeno, incerti se sentirsi ingannati o curiosi di fronte ai divi partoriti dall’IA. Problema che non dovrebbero porsi: se smanetti su YouTube o Spotify difficilmente distinguerai, a questo punto, il carnale e il cibernetico. Come del resto teme anche Hollywood, in vista dei ruoli da affidare alla prima attrice virtuale, Tilly Norwood. Certo, nel cambio di passo tecno-culturale, dove l’Intelligenza Artificiale crea benefici e danni in egual misura, il focus sulla filiera delle note sembra un bullone in uno schiacciasassi.
L’IA è già in grado di effettuare diagnosi istantanee in campo medico o di imbesuire gli studenti che la utilizzano per fare ricerche; i suoi inventori si interrogano, allarmati, sul “principio di coscienza” che i loro prodotti potrebbero manifestare, rifiutando di farsi spegnere, depistando gli interlocutori, manipolando dati e blandendoli sul piano psichico. Un panorama distopico, dove ci si innamora di una chat o di un robot e ci si ammazza seguendone i consigli. Dove i deepfake nel mondo dell’informazione potrebbero creare conflitti devastanti: vedi l’intervista, realizzata da pirati, della giornalista di Sky Yalda Hakim alla sorella dell’ex premier del Pakistan, Imran Khan, sulle possibilità di uno scontro definitivo con l’India. Dichiarazioni infondate, messe insieme grazie a software sofisticati, ma che hanno avuto una enorme eco nel subcontinente asiatico. D’altra parte, se l’IA non è ancora determinata a spingere autonomamente il bottone nucleare, è sufficiente plasmarla per diffondere news-patacca, senza farle sporcare le mani. L’utilizzo in area musicale, al confronto, è quasi da giocattolai.
A ben vedere, può anche trasformarsi in una opportunità di ricchezza. Torniamo a Xenia Monet: la sua “mamma” è una stimata poetessa trentenne del Mississippi, Talisha Jones. Un bel giorno ha attivato l’abbonamento a uno dei siti, Suno, in cui si possono creare canzoni IA: ce ne sono per tutte le tasche, alcuni gratis o da pochi dollari al mese: Udio, AIMusicGen.ai, Soundraw, LoudMe e mille altri. Talisha ha scritto i testi di Tania e ha inserito nel generatore le istruzioni per lo stile e l’arrangiamento dei brani, confezionando così l’album Unfolded che ha sbancato internet e le radio americane. Il successo ha frutttato a Talisha e Tania un contratto da 3 milioni di dollari con Hallwood Media. Monet ha un manager per pianificare “impegni” e trattative, e per ora non fa capricci come le colleghe in carne e ossa. Non pretende percentuali, non si presenta in ritardo agli appuntamenti, su Instagram ha un profilo seguitissimo. Il prossimo step sarà un tour (l’idea dei live con gli avatar dei miti defunti sta rapidamente invecchiando) o uno special tv?
E come affronteranno le piattaforme l’invasione degli idoli IA dopo che ai musicisti emergenti concedevano una miseria di compenso per ogni stream? E le leggende di rock e pop in che modo stanno fronteggiando l’offensiva? In Gran Bretagna mille artisti – Paul McCartney, Damon Albarn, Tori Amos, Annie Lennox, Kate Bush – hanno realizzato il disco collettivo Is this what we want? con brani muti, di rumori d’ambiente in studi non operativi, per protestare contro l’IA e la mancata protezione dei diritti d’autore da parte del governo di Londra. Battaglia romanticamente di retroguardia. La guerra è già persa.