La Stampa, 8 dicembre 2025
Le incognite del parto in anonimato: "Serve una legge per tutelare le madri"
«Serve una norma per i figli adottati che vogliono conoscere le proprie origini, ma che tuteli davvero il diritto delle donne che hanno scelto il parto in anonimato. I tribunali, oggi, vanno in ordine sparso». L’appello al legislatore arriva da Torino, dal mondo degli assistenti sociali, dell’Università, delle associazioni. L’occasione è un convegno sul tema in Città metropolitana, ma la storia affonda le radici nel tempo e in un groviglio di sentenze.
Era infatti il 2013 quando la legge 184/83 sulle adozioni veniva dichiarata incostituzionale nella parte in cui non prevede la possibilità, per chi non è stato riconosciuto alla nascita, di conoscere l’identità della madre biologica. Nel 2001, poi, la modifica che concedeva all’adottato, una volta compiuti 25 anni (o alla maggiore età, ma solo se in caso di gravi e comprovati motivi di salute psico-fisica), l’opportunità di accedere a informazioni sui propri genitori biologici; per far prevalere il diritto di anonimato della madre, però, l’accesso era vietato in caso di mancato riconoscimento. Da qui, però, si sono susseguite sentenze che hanno espanso sempre di più le possibilità del figlio, in particolare quella della Corte costituzionale che ha aperto alla possibilità di interpello. Su questo ha scritto la direttrice del dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino, Valeria Marcenò, costituzionalista: «Fu una sentenza rilevantissima, che ha stabilito un nuovo punto di equilibrio tra il diritto alla segretezza del parto e il diritto del figlio adottato adulto all’accesso alle informazioni sulle proprie origini familiari o genetiche».
Ne sono però seguite un’altra serie di pronunce della Cassazione che hanno progressivamente allargato il diritto del figlio adulto, a partire da quella del 2016 che ha aperto al riconoscimento della madre biologica se deceduta. «Ma il diritto della donna a partorire in anonimo – aggiungono dall’Università di Torino – non va reso evanescente, perché è riconosciuto anche dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. In assenza di un intervento del legislatore, che è stato fortemente sollecitato dalla Consulta nel 2013, con varie proposte di legge mai arrivate a buon fine, sono le autorità giudiziali a dover costruire la procedura di interpello, mentre i servizi sociali territoriali e le professioni sanitarie devono garantire la massima protezione al diritto della donna».
Così, oggi, i 29 tribunali per i minori di Italia si muovono in ordine sparso. «Si tratta di un bilanciamento non facile – afferma Mariateresa Buscarino dell’Ordine degli assistenti sociali – per chi vive la realtà quotidiana all’interno dei servizi sociali. Purtroppo, non esistono linee guida nazionali che possano indicare le buone prassi quando una persona adulta, oltre i 25 anni in questo caso, decida di accedere ai dati dei propri genitori biologici. Siamo in una situazione a macchia di leopardo molto pericolosa».
Il tribunale dei minori di Napoli, ad esempio, consente e autorizza sempre l’accesso al proprio certificato di nascita in caso di morte della madre, mentre quello di Palermo, al contrario, non lo permette mai per tutelare altri familiari non informati dell’esistenza di un figlio. Lo spiega bene la dottoressa Emily Lerda nella sua indagine, dove si trovano anche alcune testimonianze: «Ho chiesto a due donne che hanno scelto il parto in anonimato come si sentirebbero a sapere che, una volte decedute, il figlio biologico potrebbe ottenere informazioni sulle proprie origini. Entrambe mi hanno risposto “Male”, perché oggi hanno una nuova vita, un marito e figli che non sanno niente del suo passato. E ai quali, a quel punto, non potrebbero dare nemmeno spiegazioni. Ad oggi viene lasciato un ampio margine di discrezionalità».
Dal 1951 ad oggi sono stati 89.427 i bambini non riconosciuti alla nascita, passando da circa 409 nel 2010 a 169 nel 2022. Un calo che potrebbe essere legato a questa zona grigia in cui viene lasciato il parto in anonimato. Per Frida Tonizzo, presidente dell’Associazione famiglie adottive e affidatarie a Torino, basterebbe «una diversa procedura in attuazione della sentenza della Corte costituzionale che preveda la possibilità di interpello della donna, ma unicamente nei casi in cui la stessa abbia preventivamente rinunciato al diritto all’anonimato». Ma Tonizzo fa anche un passo indietro e chiede di guardare la questione da un’altra prospettiva: «Prima di parlare di accesso alla identità della donna dobbiamo attivarci perché le partorienti e le gestanti che si trovano in gravi difficoltà possano essere assistite per decidere se riconoscere o meno il loro nato. Su questo il Parlamento dovrebbe approvare una legge che preveda la realizzazione, da parte delle Regioni, di almeno uno o più servizi specializzati in grado di fornire loro l’aiuto necessario: in Piemonte sono stati individuati quattro enti gestori con questa competenza». —