Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  dicembre 08 Lunedì calendario

Legge sul consenso nei rapporti sessuali Sei donne su dieci la ritengono indispensabile

Un italiano su due – il 51,6% secondo una ricerca di Only Numbers – ritiene necessaria una legge che definisca il consenso nei rapporti sessuali, ribadendo un principio semplice: “senza un sì libero e attuale, è stupro”. Il dato arriva in seguito alla proposta di governo nata dal patto tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e la segretaria del Partito Democratico Elly Schlein, segno di un dibattito che si fa sempre più centrale.
Un testo che ha superato l’esame della Camera, ma che si è poi arenato in Senato, dove la presidente della 2ª commissione giustizia, la Senatrice Giulia Bongiorno, ha chiesto uno stop per ulteriori approfondimenti nel merito. Sulla proposta di legge i dati mostrano una maggioranza netta nel Paese a favore dell’intervento legislativo. Colpisce in particolare la posizione delle donne tra i 25 e i 64 anni -in piena età sessualmente attiva- tra le quali oltre il 60.0% considera la misura indispensabile. È un segnale forte, che intercetta un’esigenza culturale prima ancora che normativa. All’interno dei diversi elettorati, tuttavia, emergono sfumature significative. Gli elettori di Fratelli d’Italia appaiono sostanzialmente divisi: il 45,7% si dichiara favorevole, mentre il 43,3% è contrario. Anche nel Movimento 5 Stelle, pur riconoscendo la rilevanza del tema, si registra la quota più bassa di consensi (43,8%). È il segno che la questione non segue le tradizionali linee di frattura ideologica, ma attraversa identità politiche diverse e sensibilità personali.
La fotografia degli elettorati rivela un dato che dovrebbe far riflettere la politica più di quanto non stia accadendo: l’idea di una legge sul consenso non si colloca lungo il classico crinale destra-sinistra. È un tema trasversale, che tocca le persone prima ancora degli schieramenti. Ed è proprio qui che la politica, se avesse il coraggio di riconoscerlo, potrebbe trovare l’occasione per essere più corale, meno tattica, più capace di unire invece che dividere. Ci sono questioni -la libertà e la sicurezza delle donne sono certamente tra queste-, che dovrebbero essere sottratte alla logica del posizionamento politico e restituite alla responsabilità istituzionale. Una politica matura non teme di condividere il terreno delle battaglie culturali fondamentali; potrebbe temere piuttosto, di non saperle affrontare con la dignità che meritano. Su temi come il consenso, la violenza di genere, il rispetto del corpo e dell’autonomia delle persone, la coralità non è una concessione: dovrebbe essere un dovere.
Emerge poi un altro dato che merita una certa attenzione: per il 43.8% degli intervistati una legge sul consenso al rapporto, pur considerata importante, non sarebbe realmente utile nella prevenzione della violenza di genere o di comportamenti non rispettosi. Anche le donne su questo punto risultano divise: il 38.8% la considera uno strumento di prevenzione, mentre il 37.6% non ne riconosce un’efficacia deterrente. Ancora più netta la posizione degli uomini: uno su due (50.3%) condivide questa ultima valutazione. I dubbi sollevati sembrano pesare più sul piano culturale che su quello strettamente giuridico: una norma basata sul “consenso attuale” rischia di essere percepita come uno spostamento dell’onere della prova, alimentando timori di accuse strumentali o di zone grigie difficili da gestire. In realtà il diritto mantiene fermo il principio secondo cui è sempre l’accusa a dover dimostrare il reato.
Tuttavia, ascoltare la percezione dell’opinione pubblica è utile, perché spesso intercetta segnali deboli -preoccupazioni, desideri o frustrazioni- prima che assumano una forma più strutturata. Comprenderli in anticipo aiuta a prevenire conflitti, errori strategici o crisi comunicative. Per questo la proposta appare soprattutto come una legge simbolica, pedagogica: una cornice culturale che mira ad affermare un principio, più che a funzionare come deterrente effettivo. E proprio perché si tratta di un terreno di civiltà, prima ancora che di schieramento politico, la politica avrebbe l’occasione -e forse il dovere- di affrontarlo con una voce più corale e meno tattica, anche sulla questione che riguarda lo stallo del nullaosta in Senato. Questo quadro suggerisce una verità spesso rimossa: una legge di principio non basta a fermare la violenza. Serve a definire un perimetro culturale, a indicare da che parte sta lo Stato, ma non può sostituire politiche strutturate, investimenti, educazione, prevenzione né, soprattutto, il rafforzamento della certezza della pena, che molti cittadini percepiscono come il vero deterrente. Sul piano politico, il patto Meloni-Schlein è stato letto da più parti come una convergenza tattica – non strategica – utile a distogliere l’attenzione dalla politica interna e dallo scontro sulla legge di bilancio. Un’interpretazione che, seppure polemica, rivela quanto il dibattito sul corpo delle donne e sulla loro sicurezza resti un terreno simbolico su cui si misurano anche equilibri di potere. Al di là delle strategie, resta una domanda essenziale che la società non può più eludere: vogliamo davvero riconoscere che il consenso è il cuore della libertà sessuale? Oggi la risposta è ancora incompleta. Ed è proprio per questo che merita di essere ascoltata con più serietà di quanta la politica, talvolta, sembri disposta a concedere. Perché mentre si discute di proposte e si assiste agli scontri tra maggioranza e opposizione, un’altra donna viene violata.