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 2025  dicembre 07 Domenica calendario

Santa Marina, il mistero della santa «ribelle» che si finse uomo, fu accusata di stupro e cacciata dal monastero

Siamo nel V secolo dopo Cristo, in un monastero del Libano settentrionale formato sulla montagna da grotte scavate nella roccia. È morto un monaco, ancora giovane, e i confratelli lo stanno preparando per la sepoltura. Togliendogli la tonaca sono sconvolti da una realtà che non avevano mai immaginato: il loro confratello Marino era in realtà una donna, Marina. No, non siamo davanti a un travestito, a un caso di gender fluid, ma a una storia di eroica sopportazione. Tanto è vero che Marina/Marino verrà considerata santa proprio per questo: aver finto per tanti anni di essere un uomo, simulazione che è stata interpretata come uno sforzo e una penitenza portate fino all’estremo.
Intorno alla sua vicenda misteriosa si sono formate due leggende, abbastanza diverse fra loro: la più antica è vicina ai fatti, la seconda è stata modificata cinque o sei secoli più tardi. Io preferisco la più antica perché mi sembra la più vera, ma – lo confesso – è anche quella che mi piace di più. La seconda invece dev’essere stata inventata per rendere in qualche modo accettabile la vicenda di questa santa, benché niente riesca a normalizzare del tutto questa storia, che continua a conservare tratti di assurdità.
Bisogna ricordare che gli eventi si svolgono in un mondo ancora non completamente cristianizzato, nel quale si stavano facendo i primi esperimenti di vita monastica, soltanto maschili. La vocazione religiosa delle donne, che implicava la castità, non era vista con favore, perché le donne servivano a garantire la continuità del gruppo umano al quale appartenevano, continuità sempre minacciata dalle morti per parto e dalle morti dei bambini.
Marina, giovanissima e attratta dal cristianesimo nonostante facesse parte di una famiglia pagana, vedeva con terrore l’avvicinarsi del momento in cui l’avrebbero costretta a sposare un uomo che non conosceva neppure, con ogni probabilità molto più vecchio di lei, e che magari non le avrebbe permesso di condurre una vita cristiana. A scappare neanche pensava: come poteva una ragazza sola sopravvivere in un mondo in cui le donne erano solo appendici di una famiglia?
Certamente era a conoscenza dell’esistenza di quel monastero maschile, un insieme di uomini votati a Dio in una vita quasi eremitica, e ne sentiva il fascino. Ma sapeva che per le donne questa scelta non era possibile. Allora Marina prese una decisione coraggiosa: nascose il suo corpo adolescenziale in una tunica con il cappuccio, come quelle che indossavano i monaci, e raggiunse il monastero per candidarsi alla vita monastica. I monaci accettarono questo giovane imberbe che si era presentato con il nome di Marino, e che imparò presto le regole monastiche, i canti, le preghiere, testimoniando una vocazione vera, accolta con tutto il cuore.
Vivendo in una grotta buia, magrissima grazie a un regime alimentare molto povero, Marina non suscitò mai sospetti nei confratelli, anzi, con gli anni si avviava a diventare un monaco rispettato e amato. Tanto che, dopo alcuni anni di noviziato, la considerarono pronta per uscire talvolta dal monastero, insieme ad altri monaci, per mendicare il cibo necessario alla loro sopravvivenza. In una di queste spedizioni esterne, durante la quale i monaci avevano passato la notte in una locanda, Marina/Marino venne accusata di avere fatto violenza alla figlia del locandiere, che poi era rimasta incinta.
Per i monaci era facile credere a questa accusa: nonostante l’aspetto mingherlino del giovane monaco accusato dalla donna, sapevano per esperienza personale quanto temibili fossero gli attacchi del demonio, quanto forti le tentazioni sessuali. Marina/Marino fu cacciata dal monastero, e più tardi costretta ad allevare il bambino.
Senza protestare, senza lamentarsi, si ridusse così a vivere di elemosine davanti alla porta del monastero, crescendo quel bambino non suo con vero amore. Dopo alcuni anni, forse quando il ragazzo decise di farsi monaco, Marina/Marino venne riammessa fra i monaci, ma con l’obbligo di svolgere i lavori più duri. Sempre senza lamentarsi, visse così fino alla morte. Si scoprirono allora la sua innocenza e la falsità dell’accusa, così l’ammirazione per la sopportazione del castigo immeritato valse a Marina il riconoscimento di santità.
Il racconto presenta aspetti inquietanti. Uno di questi, quello che in passato senza dubbio suscitava più problemi, era la ribellione alla famiglia, seguita dall’iniziativa così audace da parte di una donna. Alcuni secoli dopo, finiti i tempi eroici del primo cristianesimo, le donne – soprattutto se cristiane – dovevano tornare all’obbedienza, dare il buon esempio.
Così si modificò il testo originario della storia, favoleggiando una sorta di idillio familiare, che restituiva Marina all’obbedienza, anzi, a una obbedienza fino all’estremo. In questa nuova versione, i genitori erano cristiani e, dopo la morte della madre, si era creata una intesa speciale fra padre e figlia. Così, quando il padre, affranto dal dolore della perdita, decise di ritirarsi nel monastero, non se la sentì di abbandonare la figlia e neppure pensò – chissà perché – di trovarle un marito. Ma la portò con sé, travestendola da uomo.
Il segreto venne mantenuto anche dopo la morte del padre, e la seconda parte della storia ripete esattamente la prima versione: con la falsa accusa, la punizione e infine con la scoperta dell’identità sessuale femminile al momento della morte. In questa seconda versione tutto torna a posto: Marina è un modello di obbedienza familiare, e alla sua forza nel sopportare l’inganno, derivato dalla sua appartenenza sessuale e dalla falsa accusa, si aggiunge l’obbedienza alla pretesa del padre. L’idea è stata del padre, e lei ha solo acconsentito.
Marina dunque non è più una ragazza forte e libera, che si traveste da uomo per godere della libertà di scelta di cui godono i maschi, ma una figlia sottomessa. Rimane però, in entrambe le versioni della storia, una questione irrisolta: Marina non avrà taciuto davanti alla falsa accusa non tanto per penitenza e per obbedienza al volere di Dio, ma piuttosto per nascondere il suo inganno? Non avrà forse temuto, se avesse svelato di essere una donna, una punizione magari ancora più severa per il suo travestimento?
Nonostante questa storia un po’ traballante, ma nello stesso tempo affascinante, i miracoli hanno confermato la santità di Marina, e sono stati tanti. Anzi, una leggenda dice che la prima miracolata fu proprio la giovane colpevole della falsa accusa, caduta malata.
Così Marina “il monaco” è diventata una santa importante; tanto importante che nel Medioevo i veneziani si sono procurati le sue spoglie, ora conservate in una ricca teca nella chiesa di Santa Maria Formosa, e bisogna tenere presente che i veneziani trafugavano le reliquie, come quelle di san Marco, con operazioni pericolose e costose soltanto se ne valeva davvero la pena. 
Ancora oggi Marina è molto venerata, anche nella chiesa copta e dai drusi. Nelle regioni che orbitavano nell’antico impero bizantino ci sono chiese a lei dedicate: in Italia, soprattutto in Puglia, Calabria, Sicilia. E la sua immagine, raffigurata in vari modi, è molto interessante: un monaco dal volto femminile e con un bambino attaccato al suo saio. 
Santa Marina è invocata come protettrice dal mal di testa. Forse in tutte queste complicate vicissitudini non sapeva più neppure lei chi era, e cercando di capirlo le veniva mal di testa.