corriere.it, 7 dicembre 2025
Dal 10 dicembre in Australia saranno vietati i social agli under 16: multe salate per le piattaforme che non si adeguano
A partire da mercoledì 10 dicembre in Australia, ai minori di 16 anni sarà vietato l’utilizzo dei social media a prescindere dalla volontà dei genitori: Instagram, Facebook, TikTok, X, YouTube, Snapchat, Threads, Reddit saranno bandite, così come le piattaforme in streaming Twitch e Kick. Restano attivi Youtube Kids e Linkedin. La legge vieta la creazione di account per chiunque abbia meno di 16 anni e richiede la disattivazione o la cancellazione degli account esistenti.
L’attuazione della norma solleva diversi interrogativi, come garantire che i giovani non aggirino le normative oltre a suscitatare indignazione tra le aziende tecnologiche e tra gli stessi minorenni.
Dal 4 dicembre Meta, la casa madre di Facebook, Instagram e Threads, ha iniziato a rimuovere gli account dei giovanissimi. La piattaforma ha iniziato già lo scorso mese ad inviare notifiche ai diretti interessati tra i 13 e i 15 anni, segnalando l’imminente chiusura degli account. Secondo i dati forniti dalla Bbc, in totale sono 150mila utenti di Facebook e 350mila quelli di Instagram.
Cadrà sulle piattaforme la responsabilità di non avere utenti sotto i 16 anni: ragazzi e genitori non saranno multati. I social che trasgrediranno al divieto, o che non assumeranno misure adeguate al fine di mantenere i giovani al di fuori dei propri spazi digitali, rischiano multe salate. Le piattaforme potrebbero dover sborsare fino a 28 milioni di euro.
Le piattaforme dovranno implementare sistemi efficaci per accertare l’età dell’utente come analisi del volto, verifiche documentali, sistemi biometrici, indicartori comportamentali registrati con l’intelligenza artificiale.
Un portavoce di Meta ha assicurato alla Bbc che «Il rispetto della legge sarà un processo continuo e articolato». Tuttavia, non sono mancate “velate” sottolineature al processo in atto, che necessita «un approccio più efficace, standardizzato e rispettoso della privacy».
La creatura di Mark Zuckerberg è infatti dell’idea che anche gli app store dovrebbero assumere il ruolo di mediatore. Stando a Meta, la verifica dell’età dovrebbe avvenire mentre viene scaricata l’applicazione. In questo modo non vi sarebbe la necessità di sottoporsi alla verifica per ogni applicazione. Alcune aziende, come Google (proprietaria di YouTube, uno dei social network più popolari tra i giovani), sostengono che il divieto potrebbe avere l’effetto opposto a quello voluto dal governo australiano. Poiché i minori non saranno più in grado di accedere autonomamente, i genitori perderanno la possibilità di monitorare i loro account. «Non saranno più in grado di utilizzare i controlli che hanno impostato, come la scelta delle impostazioni appropriate per i contenuti o il blocco di canali specifici» ha dichiarato un dirigente australiano dell’azienda.
Alcuni minorenni hanno reagito creando account con età false prima dell’entrata in vigore delle normative. Altri hanno scelto di gestire gli account congiuntamente con i genitori, il che, di fatto, apre le porte a ogni tipo di contenuto. Alcuni hanno anche intrapreso azioni legali. Secondo quanto riportato dal Guardian due quindicenni, Noah Jones e Macy Neyland, hanno intentato una causa presso l’Alta Corte d’Australia, sostenendo che la legge imposta dal governo viola il loro diritto costituzionale alla libertà di espressione politica. Gli utenti che desiderano aggirare le restrizioni potranno collegarsi con le reti private virtuali (VPN) che consentono di connettersi a Internet tramite server in altri paesi e aggirare le limitazioni imposte dal paese di origine.
Chi invece sarà segnalato erroneamente come minore potrà inviare un «video selfie» per chiedere una revisione della decisione di Meta, al fine di verificare l’ età, oppure mediante l’invio di un documento di guida o di identità (eventualità tutt’altro che remota se i genitori cederanno i propri smartphone ai figli che, con il loro genere di visualizzazioni farebbero credere che quel profilo appartiene a un minorenne).
Quanto sta accadendo in questi giorni in Australia, in seguito l’approvazione della legge avvenuta lo scorso anno, è un precedente che potrebbe fare scuola e il Paese è un «osservato speciale» per capire come si evolverà la situazione.
L’Australia non è l’unico Paese che si sta muovendo in questo senso. Poche settimane fa, anche l’Europa ha proseguito la discussione sullo stesso tema. Ma anche se c’è l’approvazione di Bruxelles, non è ancora giuridicamente vincolante e il lavoro è solo alle prime fasi. Ma ciò che accade in Australia aiuta a comprendere i possibili scenari di attuazione e le criticità operative.
Una soluzione simile è stata pensata anche in Malesia con una misura che entrerà in vigore all’inizio del 2026. Anche in questo caso, la soglia resta fissata ai 16 anni. Le piattaforme dovranno inoltre utilizzare sistemi eKYC (electronic Know Your Costumer) affinché venga verificata l’età tramite documenti o altri mezzi idonei ad accertare che l’utente sia maggiore di 16 anni. Il divieto malesiano non è ancora del tutto definito nei suoi aspetti applicativi. L’Online Safety Act del 2025 sta ponderando le responsabilità delle piattaforme affinché vengano introdotti limiti sui contenuti per gli utenti appartenenti alla fascia 16-18 anni. A motivare il governo ad attuare una stretta simile sono la crescita di truffe online, lo sfruttamento sessuale dei minori e il cyberbullismo.
Lo scorso ottobre anche la Danimarca ha optato per un divieto simile per i minori di 15 anni. Questo perché secondo la premier Frederiksen «le piattaforme social hanno rubato l’infanzia» dei giovani danesi: «Mai così tanti bambini e giovani hanno sofferto di ansia e depressione». Al momento non è stato ancora definito un piano d’azione, ma a livello europeo la riflessione politica si trova in una fase poco più avanzata.
A muovere il movimento anti social per gli under 16 è il fatto che l’uso eccessivo dei social media rappresenterebbe un rischio per la salute fisica e mentale di bambini e adolescenti. Secondo la società legale tatunitense, Motley Rice, che sta muovendo un’azione contro i gestori delle piattaforme social, Meta sarebbe stata a conoscenza delle conseguenze alla salute mentale dei giovani, ma non avrebbe adottato misure adeguate per intervenire. Se ne parla da anni,ma l’argomento ritornato in auge di recente in seguito ad una nuova inchiesta di Reuters secondo cui Meta avrebbe mantenuto stretto riserbo su di una ricerca interna in cui emergevano prove causali che sottolineavano come gli effetti di Facebook sulla salute mentale fossero dannosi.
Lo scopo dei divieti è quello di proteggere i giovani e i giovanissimi, nonché la cosiddetta Generazione Alpha, dai danni che sono stati associati ai social media nelle generazioni precedenti. Ma il divieto è una strada giusta? A livello mondiale, mediamente l’età minima per l’accesso ai social è tra i 13 e i 16 anni. C’è chi attua un controllo totale e contingentato con il Minor Mode per l’accesso ai social come la Cina, e chi, come il Kenya, ha optato per una soluzione più severa affidando alle app la verifica dell’età degli utenti. Ma se in tutto il mondo l’idea è quella di introdurre limiti o divieti, c’è anche chi, come il Pakistan, ha fatto marcia indietro dopo l’iniziale introduzione di un divieto per gli under 16.
Il divieto potrebbe non essere una soluzione
Indipendentemente dalle scelte di ogni Paese o continente, il divieto in sé potrebbe non essere l’unica soluzione. Come abbiamo raccontato lo scorso ottobre molto dipende dall’educazione impartita ai più giovani e alla capacità dei genitori di sapersi gestire nell’utilizzo degli strumenti digitali davanti ai figli. «Educare è più faticoso che vietare. Se gli adulti per primi non riescono a staccarsi dal telefono, come possono pretendere che lo facciano i giovani? Se come comunità impariamo a dare valore al tempo disconnesso e considerare normale lo stare senza smartphone, allora le generazioni più giovani cresceranno in un contesto più sano e il cambiamento arriverà da sé» aveva commentato la psicoterapeuta Laura Turuani su Corriere Login.
Parole che trovano riscontro in un articolo pubblicato lo scorso settembre su Research Gate, che ha preso in analisi il caso australiano. Secondo i ricercatori, il divieto in sé non sarebbe una soluzione efficace. La letteratura scientifica non confermerebbe un rapporto di causa-effetto tra social media e disturbi psicologici. Certo, la misura potrebbe portare tutele e protezione, ma anche ridurre l’esposizione a confronto sociale, migliorare il sonno, il movimento e le relazioni personali.
Secondo gli studiosi un approccio più efficace potrebbe essere un modello di “harm minimisation”, alla stregua delle politiche sull’alcol rivolte agli adolescenti. Il divieto totale dunque potrebbe essere sostituito con alfabetizzazione digitale, sviluppo di resilienza, capacità di chiedere aiuto e preparare i giovani ad un utilizzo consapevole una volta raggiunta l’età minima necessaria per usufruire dei social media. Sempre con il supporto di genitori o tutori, con le famiglie e gli istituti scolastici che rivestono un ruolo centrale.