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 2025  dicembre 08 Lunedì calendario

Oro, accordo sulle riserve agli italiani. Ma a gestirle resta la Banca d’Italia

L’ultima versione dell’emendamento suonerà così: «Le riserve auree appartengono al popolo italiano e sono gestite in autonomia dalla Banca d’Italia». Poche parole definitive per una lunga trattativa che ha coinvolto le principali istituzioni di Roma, Francoforte e Bruxelles. E cioè Palazzo Chigi e il ministero dell’Economia e poi la Bce e la Commissione europea. È stato un lavorio certosino, tra opportunità politica e realismo.
Domani è atteso il via libera informale di Bankitalia, nelle ultime ore è arrivato quello del Mef. E poi la battaglia di Fratelli d’Italia, a cui si è accodata anche la Lega, finirà in manovra. Effetti concreti: zero. L’oro patrio – 2.452 tonnellate per un valore di circa 300 miliardi – continuerà a essere custodito nella pancia di Palazzo Koch (e soprattutto all’estero). Sotto la guida quindi di un organismo indipendente, che fa parte del sistema Bce. Tuttavia con l’emendamento ripresentato dal capogruppo al Senato di Fratelli d’Italia Lucio Malan, Giorgia Meloni potrà dire di aver fissato un principio incontrovertibile che prima non c’era.
La classica bandierina da sventolare? «Sì, chiamatela così, se volete. Da anni Giorgia porta avanti questa battaglia: fa parte del nostro Dna. E in una manovra come questa, non proprio espansiva, è un risultato politico importante», dice Ylenja Lucaselli, capogruppo di FdI in commissione Bilancio della Camera. La prima versione, contestata dalla Bce e dalla Commissione, diceva che le riserve auree erano possedute dallo «Stato italiano». Una formula che non era andata giù nemmeno a Bankitalia, alla Ragioneria e al Tesoro. Si rischiavano fraintendimenti non banali «tipo assalti ai caveau», scherzavano, con un filo di apprensione, da via XX Settembre, sede del ministero dell’Economia.
Palazzo Chigi non si è perso d’animo. E si è messo a capire, anche grazie alle consulenze informali di importanti giuristi, come portare a casa il risultato senza arrivare a un frontale con le principali istituzioni economiche italiane ed europee. D’altronde già nel 2019, ai tempi del governo gialloverde, una mozione di FdI a prima firma Meloni parlava proprio di oro posseduto dallo Stato italiano e chiedeva anche di «adottare le iniziative opportune affinché le riserve auree eventualmente ancora detenute all’estero siano fatte rientrare nel territorio nazionale». Quest’ultimo punto non ci sarà. Ma l’impresa, così carica di simbolismi, potrà dirsi compiuta. Per Palazzo Chigi è una perla preziosa nel collier della manovra.
Il Pd con Francesco Boccia, capogruppo al Senato, da giorni storce il naso perché spiega che «nessun governo può disporre dell’oro, né modificarne il regime giuridico». Da FdI il deputato Francesco Filini, responsabile del programma e braccio ambidestro del sottosegretario Giovanbattista Fazzolari, ribadisce che l’emendamento «non lede» l’autonomia di Bankitalia. Anzi in Francia, dice Filini, «il Codice monetario e finanziario stabilisce esplicitamente all’articolo 141-2 che la Banca francese ha la missione di detenere e gestire le riserve in oro dello Stato».
È lecito immaginare che dietro a quest’ultima trattiva ci siano stati anche contatti fra il governatore di via Nazionale, Fabio Panetta, e la premier Meloni. Intanto si registrano scene di giubilo dalla Lega. Il senatore Claudio Borghi, uno dei relatori della manovra, rivendica la primogenitura di questa sfida: «Riprende una mia vecchia proposta di legge del 2018: volete che non la sottoscriva oggi?». E il derby sovranista è servito.