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 2025  dicembre 06 Sabato calendario

Michael Bublé: «Io, re del Natale canto l’Ave Maria chiesta dal Papa»

«Marito e padre fedele, custode del grande canzoniere americano, sex symbol, umile canadese». È così che nelle due (ironiche) righe di biografia sul suo account Instagram ufficiale Michael Bublé si presenta ai 4,3 milioni di fan in tutto il mondo. Dimentica di citare una cosa, però: il titolo di re del Natale. Come ogni anno, a poche settimane dalle festività il suo album Christmas torna puntuale nelle classifiche mondiali: nell’ultima settimana è stato addirittura il quarto più ascoltato a livello mondiale su Spotify. Uscito nel 2011, il disco contenente le reinterpretazioni del 50enne cantante canadese di classici come Santa Claus Is Comin’ to Town, Jingle Bells e White Christmas ha superato quota 5 miliardi di stream su Spotify. «Se le hit natalizie sono più croce o più delizia per la mia carriera? Delizia, tutta la vita. Sono grato a questo repertorio», dice lui, 75 milioni di copie vendute a livello mondiale, incontrato ieri a Roma alla vigilia della sua partecipazione al Concerto con i Poveri, oggi alle 17.30 nell’Aula Paolo VI in Vaticano, condotto da Serena Autieri con la direzione artistica di Monsignor Marco Frisina. In sala, uno spettatore d’eccezione: Papa Leone XIV, che per la prima volta dall’inizio del suo pontificato parteciperà a un concerto pubblico.
Ha già incontrato Sua Santità, Bublé?
«Ieri. È stato uno dei momenti più belli della mia vita. Ho provato emozioni indescrivibili. Con me ho portato mia moglie e i miei genitori (che hanno origini italiane, per metà abruzzesi e per metà venete, ndr)».
Le ha fatto qualche richiesta particolare?
«Sì. Mi ha chiesto di cantare per lui l’Ave Maria di Schubert. L’ho cantata una sola volta nella mia vita, più di dieci anni fa, in uno studio di registrazione, proprio quando registrai nel 2011 l’album natalizio Christmas: sono un po’ agitato, ma non lo voglio deludere. Ho capito che non c’è da avere, ma solo provare tanta gioia. Di canzoni ce ne sono molte sulla lista e tutte quelle che ha chiesto le farò».
Che ruolo devono avere gli artisti in tempi difficili come questi che stiamo vivendo?
«Accendere una luce. Oggi i tempi sono duri e le luci possono spegnersi ovunque. Ma se hai dentro di te la fede, grazie a quella puoi trovare una strada».
Cosa significa per lei avere fede?
«Avere fede nel senso cattolico del termine. Mia madre era la mia catechista. E la fede, nella mia vita, è sempre stata forte. Anche nelle questioni di salute che hanno riguardato componenti della mia famiglia (nel 2016 al figlio Noah, che all’epoca aveva 3 anni, il primo di quattro avuti dalla moglie Luisana Lopilato, fu diagnosticato un raro tumore al fegato dal quale è guarito dopo cure intensive, ndr). Quando parlando con le persone rivelo di avere una fede enorme, mi guardano scioccate, perché oggi è raro sentire qualcuno ammettere di avere della fede».
Suo figlio Noah, che oggi ha 10 anni, come sta?
«Bene, grazie al cielo. È un ragazzo forte: il modo con cui ha combattuto contro la malattia è stato commovente».
Nel 2022 contribuì alla scrittura di “Higher”, la canzone che diede il titolo al suo ultimo album: il prossimo passo è un duetto?
«Chissà. Quello che è certo è che ama la musica. E come lui anche il fratellino Elias (nato nel 2016, ndr) e le sorelline Vida Amber Betty e Cielo Yoli Rose (nate rispettivamente nel 2018 e nel 2022, ndr). Non so se seguiranno le mie orme, ma sono felice che Dio li abbia benedetti con l’amore per la musica».
Sta lavorando a un nuovo album per caso?
«Sì, spiazzante: sarà il disco della mia svolta country. Ricanterò alcuni dei più iconici brani del genere. Uscirà presto. Non mi sono mai divertito così tanto in vita mia. Sono andato a Nashville a registrare con i migliori musicisti country del mondo. In tre giorni abbiamo inciso nove canzoni. Sono tutti standard. Tra gli altri, ci sarà anche una mia rivisitazione di Crying Time (originariamente incisa nel 1964 da Buck Owens ma portata al successo da Ray Charles, che con il brano vinse due Grammy Awards nel 1967, ndr). Voglio portare lo swing nella musica country. Del resto, i miei miti, da Frank Sinatra a Ray Charles, si sono tutti confrontati in un modo o nell’altro con questo genere».
Come si spiega il revival del country di questi anni?
«La gente ha voglia di ascoltare nella musica storie vere, melodie potenti».
E il Michael Bublé re del Natale che fine farà?
«Continuerà ad esistere. C’è un Michael Bublé per ogni periodo dell’anno: Natale, San Valentino, la Festa della mamma. Sono felice di essere invitato, se così si può dire, nelle case delle persone per celebrare un momento così bello come il Natale».
Chi vincerà la sfida quest’anno tra lei e Mariah Carey?
«Non c’è nessuna sfida: ci stimiamo e anni fa cantammo insieme la sua All I Want For Christmas Is You».
Un disco insieme?
«Io adoro Mariah e lei lo sa: è una regina».
Ai Juno Awards a marzo ha difeso il Canada, il suo paese, dopo che Donald Trump aveva proposto di trasformarlo in uno stato americano: le fa paura la sua politica?
«Non ho difeso il Canada, perché non c’era nulla da difendere. Non siamo sotto attacco. Quella era solamente una dichiarazione d’amore per il mio paese, dettata dall’orgoglio di essere canadese. E questo è tutto».