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 2025  dicembre 07 Domenica calendario

Unesco, l’Italia paga di più: la dieta sarà “patrimonio”

Il 10 dicembre, alla riunione del comitato Unesco per il patrimonio immateriale a Nuova Delhi, la cucina italiana (“Tra sostenibilità e diversità bioculturale”, nome ufficiale del dossier) diventerà il 62esimo patrimonio Unesco del paese, meno di sei mesi dopo le “Domus de Janas”, le preistoriche case delle fate sarde. Si dovrebbe usare il condizionale, dato che il verdetto non è ufficiale, perché l’esistenza di una cucina italiana nazionale e omogenea è dibattuta e la dieta mediterranea (che comprendere quella italiana) è patrimonio Unesco dal 2013. Ma mai ’Italia ha avuto una candidatura bocciata. Approvate tutte, dalla pratica agricola della coltivazione della vite ad alberello di Pantelleria, al centro industriale di Ivrea alle colline del prosecco “esempio di sostenibilità”, nonostante siano pesantemente impattate dalla monocoltura Doc. Mai un sito ritirato dalla lista, nonostante i mosaici di piazza Armerina in degrado, i musei chiusi, l’overturismo. Non è difficile spiegarselo: senza l’appoggio dell’Italia, l’organizzazione Onu sarebbe in forte difficoltà.
Il bilancio dell’Unesco è fondato sul contributo dei membri, Stati, Ue, organizzazioni come la Banca mondiale, fondazioni. L’Italia vale da sola il 6,5%. Presto varrà molto di più, dato che gli Usa, il primo contribuente, ha deciso di ritirarsi dall’organizzazione: Trump la reputa poco utile e costosa. L’Italia è stabilmente il quarto contribuente (circa 45 milioni annui), dietro Usa, Cina e Giappone, quindi diventerà il terzo. Ma è il primo, storicamente, per contributi volontari: per essere membri Unesco bisogna versare in base a Pil e popolazione (per questo il primato Usa), ma Roma versa in media oltre 30 milioni annui di contributo libero, quasi il doppio del contributo obbligatorio, senza pretendere nulla in cambio: i fondi Unesco vengono redistribuiti nei Paesi in difficoltà e in via di sviluppo. Insomma l’istituzione, da tempo, non si trova in condizione di garantire l’assoluta indipendenza delle decisioni.
Per l’Italia e l’identità “nazionale” avere il più prezioso e ricco patrimonio culturale a livello globale – un’eredità, nella vulgata, figlia di un periodo in cui il “patrimonio culturale” era fatto solo di quadri, sculture e architetture greco-romane – è diventato imprescindibile. Ora siamo a 61 e la Cina, che si appresta a diventare il primo contribuente, incalza: è a 60, +4 tra 2024 e 2025, certo in un territorio molto più vasto, ma con una crescita costante. Per qualche anno almeno potremo fregiarci del record.
La cucina italiana è solo l’ultima delle candidature fortemente promosse negli ultimi anni dal ministero dell’Agricoltura: la vite di Pantelleria, la pizza, la cava del tartufo sono solo alcuni esempi in cui il marchio Unesco nell’ultimo decennio (con una tendenza globale) è stato usato come una specie di super marchio Doc. La cucina italiana doveva raggiungere, spiegava il ministro Lollobrigida due anni fa, lo status di quelle francese, giapponese, messicana e coreana, che già godono del marchio. E di quella “mediterranea”, aggiungiamo. “Vogliamo raccontare le nostre potenzialità e metterle a disposizione dei nostri ambasciatori, ossia i nostri cuochi e ristoratori in Italia e all’estero. È anche un modo per far crescere le nostre imprese” ha chiarito il ministro nel 2023. Poi è partita la solita grancassa celebrativa, e a fine settembre si è arrivati a “tradizionali” pranzi della domenica davanti al Colosseo con tanto di premier e telecamere Rai. Con il ministro che pochi giorni fa ha detto che la nostra cucina sarebbe la “prima” a essere iscritta nel registro. Falso, ma vale tutto.
Siamo così influenti che altri Stati sono ben felici di associare alla loro candidatura siti italiani (come successo per la dieta mediterranea, l’alpinismo, l’arte dei muretti a secco, la falconeria…). A luglio, in un bilaterale, Italia e Algeria hanno annunciato una prossima candidatura congiunta dei “luoghi di Sant’Agostino”, nato nell’odierna Algeria, vescovo di Ippona, dove è vissuto e morto, ma che passò anche in Italia e la cui salma è a Pavia. Visse anche a Cartagine, nell’odierna Tunisia, ma quella parte non pare poi così importante per la candidatura. E mai si pensi che sia perché Tunisi contribuisce all’Unesco con solo 127 mila euro. Si tratta, senza dubbio, dell’unicità italiana, senza paragoni al mondo.