Libero, 7 dicembre 2025
Chailly sulla Lady Macbeth di Šostakovic
Febbre Šostakovic. La prima volta fu con Il Naso. Riccardo Chailly appena ventenne ne fu rapito, tanto da spingerlo ad immergersi nella complessità musicale del suo autore. Anche per Lady Macbeth è stato amore a prima vista. E, quando si è trattato di scegliere l’opera inaugurale, la sua ultima da direttore musicale della Scala, la bacchetta è caduta sugli ottovolanti drammaturgici della sensuale e tragica eroina, censurata da Stalin. Dopo
Boris Godunov di Musorgskij di nuovo un compositore russo, con la guerra di Putin contro l’Ucraina. «Qui la politica non conta, siamo di fronte ad un capolavoro del ’900. Proprio per sottolinearne la grandezza ho voluto che aprisse la stagione nel cinquantenario della morte del compositore. Una partitura vittima della dittatura sovietica, che ha allontanato per sempre Šostakovic dal teatro d’opera. Sarebbe stata la prima di un Ring russo sulle condizioni di vita delle donne durante la dittatura».
Perché ha scelto l’opera originale e non quella “purgata” di Katerina Izmailova?
«Ho conosciuto la vedova di Šostakovic, Irina Antonovna al teatro Bolshoi di Mosca, le chiesi su quale delle due avrebbe puntato. Mi rispose con un sorriso, il cui senso era inequivocabile. Una sorta di autorizzazione morale a dirigere la prima stesura».
Perché è un capolavoro?
«È un’opera abrasiva, rivoluzionaria. Il suo linguaggio è attualissimo, combina temi musicali diversi, dalle melodie popolari russe, la dodecafonia alla politonalità. Basti pensare all’uso del flexaton, uno strumento elettronico il cui suono somiglia a una sirena, che accompagna l’aria cantata dall’insegnante Anche le rane hanno un’anima dell’insegnante o dei glissandi dei tromboni, di grande sensualità».
Una prova difficile…
«Ad ogni esecuzione restiamo come infiammati da un’avventura folgorante, come se avessimo messo le dita in una presa elettrica. La complessità ritmica di quest’opera è straordinaria, ma faticosa sia per i professori d’orchestra che per il coro. Per fortuna, abbiamo un cast di madre lingua, ma anche i nostri cantanti, abituati al sillabato rossiniano, sono bravissimi nel padroneggiare la velocità di questa partitura».
Le arie più belle?
«Ogni battuta è straordinaria. In quest’opera ci sono già le sue 15 sinfonie. La narrazione è nella musica. Nel primo atto salgono dall’orchestra i colori dell’anima della protagonista; l’ozio, la solitudine. La violenza tellurica viene dopo, con Boris che fa lo smargiasso con un valzer di violini che ricorda la Sagra della Primavera di Stravinskij. Struggente il finale del suicidio di Ekaterina che riprende la melodia del Canto della Terra di Mahler».