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 2025  dicembre 06 Sabato calendario

Dottrina Trump

Proviamo a mettere insieme il tono assertivo della trentina di pagine di “strategia di sicurezza nazionale”, pubblicata nella notte di venerdì dalla Casa Bianca, con lo scoop dell’agenzia Reuters che dice che dal 2027 (contateli sono tredici mesi) la guida della Nato, e una serie di oneri annessi, dovrà essere europea. Il risultato non è distante dalla certezza che l’Alleanza Atlantica, come l’abbiamo considerata fin qui, è archiviata. E allora è venuto il momento di prendere atto del fatto che un capitolo della Storia si è chiuso e un altro deve essere scritto daccapo. Nelle condizioni peggiori certo: senza aver scelto tempi né obiettivi e immersi, come siamo, in una situazione di incertezza con pochi precedenti in epoche recenti.
Prendere o lasciare perché questa è la “dottrina Trump”. Infatti il documento, scritto in modo piuttosto approssimativo e non immune alle contraddizioni, ha un grande pregio: di costringere tutti ad aprire gli occhi sul fatto che c’è un impianto ideologico preciso che muove le scelte del presidente Trump, ancorché a volte reso più difficile da decifrare dall’irruenza del carattere. D’altronde che si tratti di una sorta di manifesto è chiaro visto che il riferimento alla dottrina del presidente Monroe, che va per la maggiore in questo momento negli Usa, viene arricchita da quello che è virgolettato come “Corollario Trump”. Dunque, la mano che ha compilato l’analisi vuole dirci esplicitamente che questo primo anno di Presidenza Trump non è stato il susseguirsi di azioni confuse e zigzaganti, piuttosto l’applicazione di questa nuova dottrina di politica nazionale e internazionale. Così, se il Quinto presidente americano voleva sancire la scissione dall’Europa e il suo atteggiamento coloniale nei confronti degli Stati Uniti, insomma stabilire il diritto all’autodeterminazione dell’America che poi si traduce in un atteggiamento imperialistico nel nome della salvaguardia degli interessi americani, il “Corollario Trump” diventa la sua declinazione contemporanea. L’attenzione è all’emisfero occidentale che deve essere stabile e preservato dai rischi della migrazione di massa, in cui i governi – tutti insieme – combattono i cartelli della droga e le organizzazioni criminali, e in cui venga garantito l’accesso alle postazioni strategiche. E, non a caso, di quelle postazioni strategiche Trump parla dal giorno uno della presidenza: luoghi come Panama e i suoi porti finiti in mano ai cinesi, il Canada – con cui i rapporti son sempre più tesi- e la Groenlandia che continua ad essere nelle sue mire per il controllo dell’artico e le materie critiche.
Certo, conforta leggere che il presidente americano dice almeno di voler supportare gli alleati europei a preservare la libertà e la sicurezza. Ma decisamente meno rassicurante è il passaggio in cui fa cenno al bisogno di ristabilire la fiducia nella propria civiltà e nell’identità occidentale dell’Europa. Del fatto che questo poi si possa tradurre in propositi molto più espliciti di interferenza nella politica degli stati europei, molto si sta dicendo in queste ore.
Eppure la questione chiave, l’elemento chiave rimane osservare come i punti si stanno via via ricongiungendo in un disegno chiaro.
Allora si tengono insieme le aggressioni verbali di JD Vance a Monaco un anno fa, i continui richiami negativi contro l’Europa accusata di essere un parassita che si fa difendere dagli Usa senza destinare adeguate porzioni del proprio bilancio alla difesa e i riferimenti all’ideologia liberal dominante nel nostro continente.
Verrebbe da chiedersi perché questo eterogeneo insieme di considerazioni finisce per cadere dentro il documento strategico della Casa Bianca e l’unica risposta è l’assunto da cui siamo partiti. Non è un documento strategico ma un pamphlet della Dottrina Trump che tiene insieme tutte le anime che si muovono dietro di lui e lo hanno riportato al potere. C’è il conservatorismo sociale, il richiamo alla reindustrializzazione degli Usa e alla ricostruzione della classe media, la spinta tecnologica e innovativa che deve tenere gli Usa al primo posto del mondo (in questo passaggio il tono è ispirato, quasi messianico). E si tratta di ambizioni del tutto legittime, evidentemente. Che però, nel momento in cui vanno di pari passo con l’allentamento dei vincoli dell’alleanza atlantica, costringe gli europei a una presa di coscienza e a una decisione, quella sì strategica, su che ruolo giocare. D’altronde non è la prima volta nella storia che l’Europa deve fare a meno dell’ombrello americano, anzi, semmai è vero il contrario. Quest’idea della protezione americana è piuttosto eredità postbellica, sviluppatasi dopo le due guerre mondiali. Oggi le cose sono cambiate.
A contribuire all’incertezza generale è arrivata la dottrina Trump, che può sembrare a tratti contraddittoria, ma non incerta.
A noi europei resta il compito di rinegoziare tra di noi e con la Storia il ruolo che vogliamo interpretare. Dovendo anche ribadire che, il dirci europei, ha un senso non negoziabile. E, la sottolineatura pare necessaria poiché un’altra delle tentazioni malcelate della nuova dottrina della Casa Bianca sembra quella di riportare indietro le lancette della nostra Storia trattandoci come singole nazioni.