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 2025  dicembre 07 Domenica calendario

Prezzi in salita ma più gettito il dilemma degli affitti brevi

Una guerra senza quartiere, quella scoppiata da anni tra i detrattori degli affitti brevi e i suoi estimatori. I primi accusano queste forme di ospitalità diffusa di essere la principale causa di uno svuotamento dei grandi centri urbani, dell’espulsione di intere fasce sociali e dell’aumento del costo degli affitti. I secondi puntano sul benessere economico che queste forme di affitto creano per le famiglie e di conseguenza per lo Stato a cui vanno le tasse. Lo scontro probabilmente andrà avanti a lungo, ma quali sono i numeri dietro questa disputa ideologica? A fare una completa radiografia del settore è stato adesso Lombardini 22, il più grande studio di progettazione in Italia con oltre 500 dipendenti. Lo studio, il cui ceo è Francio Guidi, ha affidato a Marco Marcatili (ex Nomisma) la guida di una nuova entità per approfondire i temi urbanistici su cui si accentra il dibattito.
Le case sfitte
Il primo dato è che se ci sono meno abitazioni in affitto nelle città ciò è dovuto soltanto in parte agli affitti brevi. Il male più grande, infatti, è che il numero delle abitazioni sfitte è ovunque in Italia molto elevato: a Milano è del 13,5 per cento del totale; a Roma dell’11,2; a Napoli del 16,9; a Torino del 15,7. E si arriva a punte di oltre il 20 per cento a Palermo, Messina, Reggio Calabria, Catania e Messina. Qui gli Airbnb e assimilati non c’entrano niente, sono i proprietari che, per una serie di motivi, non vogliono affittare. O non possono, e questo potrebbe essere il caso di città che restano ai margini dei flussi turistici come Reggio Calabria o Messina, dove forse è anche difficile trovare inquilini solventi.
Dove soggiornano i turisti
Un secondo dato è che se gli affitti brevi non ci fossero si… dovrebbero inventare, se vogliamo continuare a ospitare i turisti. Perché le presenze turistiche negli alloggi extralberghieri sono una percentuale considerevole del totale in ognuna delle città metropolitane, come mette in luce la ricerca. A Roma sono circa la metà delle presenze alberghiere (14 milioni contro quasi 29 milioni). A Milano sono 4,5 milioni contro 9,5 milioni circa. A Venezia quasi appaiano le presenze in hotel: 6,3 milioni contro 7 milioni. A Firenze 3 milioni contro 6,2. A Catania sono più della metà delle presenze in albergo. Soltanto Napoli, fra i grandi centri metropolitani, vede un numero ridotto di presenze in appartamenti dedicati agli affitti brevi: 836 mila presenze contro gli oltre 3 milioni negli alberghi. La conclusione è chiara: «Senza affitti brevi – commenta Marcatili – non avremmo la capacità di assorbire i flussi turistici in molte delle città italiane, né di sostenere i numeri determinati da eventi, fiere e picchi stagionali». Se insomma improvvisamente scomparissero gli affitti brevi dovremmo rinunciare ai turisti e perdere gran parte del loro contributo al Pil che Lombardini 22 stima in ben 66 miliardi.
Aree non urbane
Nonostante si parli quasi sempre di affitti brevi nelle grandi città, in realtà più della metà, il 55 per cento, avviene in aree non urbane. E questo porta soltanto benefici: «Le piccole citta toscane, ad esempio – dice Marcatili – hanno registrato una considerevole crescita turistica da 1,75 volte a 4 volte grazie agli affitti brevi. Questi ultimi permettono un turismo diffuso in luoghi dove manca l’offerta turistica tradizionale». Nei centri minori non c’è quindi alcun effetto negativo sui residenti, ma soltanto benefici derivanti dalla possibilità di attrarre turisti in aree dove non sorgono alberghi.
Chi ci guadagna
Per le famiglie mettere sul mercato una casa da destinare ad affitto breve significa portare a casa rendimenti netti compresi tra il 3,7 e il 4,9 per cento annuo, a seconda della località. Questi rendimenti sono superiori a quelli dei titoli di Stato, oggi compresi tra il 2,5 e 3,5 per cento. Gli affitti brevi vincono anche sugli affitti lunghi: rispetto a questi ultimi producono un reddito superiore da almeno 2,3 volte a 4,4 volte. Dal lato dei turisti, gli affitti brevi hanno “democratizzato” il soggiorno per vacanza, un po’ come hanno fatto le compagnie low cost nel settore aereo, rendendo possibili soggiorni familiari in aree con costi prima inaccessibili.
Prezzi e patrimonio
Tra il 2 e il 5 per cento del patrimonio immobiliare abbandonato è stato riconvertito in uso turistico, evitando degrado e inutilizzo e mettendo in moto investimenti. In particolare, molti centri minori o rurali privi di strutture alberghiere sono stati rivitalizzati. I lati negativi si concentrano nelle città a vocazione turistica. L’offerta di affitti lunghi è diminuita del 36 per cento in Italia ma nei centri turistici si arriva fino al 66 per cento. Dal lato dei prezzi, Lombardini 22 ha calcolato che ogni aumento dell’1 per cento delle case cedute in affitto breve provoca una crescita nel prezzo medio dell’affitto dello 0,618 per cento. Inoltre, tra il 10 e il 20 per cento dell’aumento degli affitti urbani è attribuibile agli affitti brevi. La crescita degli affitti brevi provoca una sequenza deleteria di espulsione di studenti, famiglie e anziani. A Venezia – caso limite – tra il 1951 e il 2024 c’è stata una riduzione del 72 per cento dei residenti. A Firenze e Bologna la concentrazione delle case in affitto breve supera il 30 per cento del totale.
Airbnb über alles
Nel comparto c’è un’eccessiva concentrazione del mercato. La sola Airbnb controlla il 55-60 per cento del mercato e addirittura il 70 per cento dei ricavi. Dal lato degli host, l’1,3 per cento di quelli professionali ottiene ben il 38 per cento dei ricavi.
«Si tratta di operatori professionali – spiega Marcatili – che gestiscono una sorta di sistema alberghiero alternativo diffuso». Tutto questo porta a un rischio di oligopolio e riduzione della concorrenza. «La domanda che si devono porre le autorità pubbliche – sostiene Marcatili – non è affitti brevi sì o no. La domanda giusta è: come li regoliamo? Nei centri storici dobbiamo proteggere la mixité sociale e la vita urbana cittadina che deve comprendere necessariamente il permanere dei residenti». Ma come fare? «Serve introdurre limiti o soglie e, parallelamente, incentivare gli affitti lunghi. Varie città lo stanno già facendo: Barcellona, Venezia, Firenze hanno avviato modelli diversi ma convergenti nella direzione della regolamentazione e non del divieto».