Corriere della Sera, 7 dicembre 2025
Gli ex presidenti chiedono gli arretrati. Camere di commercio, bilanci a rischio
Le Camere di Commercio italiane rischiano di essere travolte da un terremoto. C’è una data segnata sul calendario: l’11 febbraio, giorno in cui la Corte costituzionale dovrà dire se fu legittima – oppure no – la parentesi normativa che, dal 2016 al 2021, impose ai presidenti degli enti di lavorare gratis. Una scelta introdotta dal decreto legislativo 219/2016, ai tempi del governo Renzi, e poi cancellata nel 2021 dal Milleproroghe. Cinque anni di onerosità azzerata, cui è seguito il ripristino, che oggi dieci presidenti ed ex presidenti contestano davanti ai tribunali civili, chiedendo gli arretrati.
I primi giudici – da Torino a Treviso – hanno dato loro ragione su un punto cruciale: la questione è costituzionalmente fondata. E hanno rimesso gli atti alla Consulta, che ha fissato l’udienza. Se l’11 febbraio, appunto, la Corte dichiarerà illegittima quella gratuità imposta dall’alto, le Camere dovranno pagare gli arretrati 2016–2021: una cifra che può valere milioni di euro, con effetti pesanti sui bilanci di enti che non ricevono fondi statali e vivono dei soli contributi delle imprese.
A seguire i ricorrenti sono gli avvocati Giulia Bertolissi, Letizia Campanaro e Francesca Donà, sotto la guida del professor Mario Bertolissi: uno dei costituzionalisti più noti d’Italia. A loro, oltre ai dieci che hanno già avviato l’iter giudiziario, si sono rivolti almeno un’altra trentina di presidenti che stanno aspettando la decisione della Corte: se la norma cade, partiranno altre cause. Un potenziale effetto domino destinato a coinvolgere una platea molto più ampia dei ricorrenti attuali.
Fra i casi più significativi c’è quello di Pietro Agen, catanese, ex presidente della Camera di Commercio del Sud Est Sicilia: quattro anni e mezzo di incarico gratuito, tre territori da gestire dopo la fusione degli enti camerali. «È stata una punizione senza logica – dice al Corriere —. Noi non riceviamo un euro dallo Stato, ma ci hanno obbligati a lavorare gratis per cinque anni». Solo lui avanzerebbe circa 400 mila euro. Il caso che aprirà l’udienza della Consulta è però quello di Vincenzo Ilotte, ex presidente della Camera di Commercio di Torino. La sua ordinanza di rimessione è quella che più compiutamente ha ricostruito il paradosso: prima la legge 580 del 1993 che attribuiva un compenso ai vertici camerali; poi il decreto che abolisce tutto; quindi il Milleproroghe che reintroduce l’onerosità, con un decreto attuativo che fissa compensi fino a 160 mila euro lordi. Nel mezzo, gli stessi identici compiti, le stesse responsabilità, lo stesso carico di lavoro. Una sbandata normativa che, per il Tribunale, «non ha alcuna giustificazione logica né finanziaria», perché le Camere non gravano sul bilancio dello Stato.
La posizione delle Camere, ricavabile dalle varie memorie depositate, è opposta: gli enti sostengono che la legge fosse pienamente legittima, che il presidente non fosse titolare di un diritto soggettivo a percepire il compenso e che solo l’ente (non il singolo presidente) avrebbe potuto contestare la norma. Hanno eccepito inoltre la prescrizione di eventuali arretrati. Eccezioni rigettate dai giudici: la gratuità è stata considerata una misura «inequivoca» e «insuscettibile di interpretazioni correttive», tanto da rendere obbligatorio il rinvio alla Corte.
In parallelo, altri tribunali hanno sospeso a loro volta procedimenti analoghi: aspettano la sentenza. Perché la questione, come spiega il professor Bertolissi, «tocca un principio elementare: il legislatore può fare scelte diverse, ma deve essere coerente. Si viola il principio di eguaglianza».
È qui che la vicenda supera il confine del contenzioso privato e sfiora un nodo più profondo. Che non è solo giuridico, ma anche contabile. «Non tutte le Camere hanno accantonato le somme», spiega una fonte che conosce il dossier. Gli arretrati per un presidente di una Camera medio-grande possono oscillare fra i 100 e i 120 mila euro l’anno. Moltiplicati per cinque anni. E moltiplicati, potenzialmente, per decine di presidenti. Un impatto che alcune Camere potrebbero assorbire, e altre evidentemente no.