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 2025  dicembre 06 Sabato calendario

Intervista a Lorenzo Lodici

Lorenzo Lodici a soli 25 anni è lo scacchista numero 1 d’Italia. Oggi è in Giappone, dove alterna allenamenti e tornei dopo il Mondiale in India. Si allena per una maratona ai piedi del Monte Fuji e gira il mondo inseguendo un gioco imparato quasi per caso, a cinque anni. È cresciuto così: tra aeroporti, alberghi e sacrifici, una vita «di clausura» quando da adolescente essere campione italiano non era ancora motivo di vanto. Ai tornei lo portava la nonna, in trasferta. Poi l’Università, il lavoro nei Paesi Bassi, e infine la scelta di dedicarsi agli scacchi. Oggi parla quattro lingue, corre mezzo mondo, e l’amore lo ha incontrato davanti a una scacchiera. Lorenzo prepara i Mondiali di Doha con un obiettivo semplice e gigantesco: giocare contro Magnus Carlsen e magari batterlo.
Col tuo lavoro si viaggia tanto, ora dove si trova?
«Al momento sono in Giappone, sto approfittando dopo il mondiale in India per fare un giro in Asia. Nel frattempo c’è qualche evento di scacchi. Io fin da piccolo ho sempre viaggiato tanto. L’Europa da adolescente l’avevo già girata tutta, dal Portogallo alla Russia, poi pian piano anche il resto del mondo. In India ci sono stato diverse volte. È sicuramente il posto più bello in cui giocare a scacchi perché lì i giocatori sono delle celebrità. Dopo un torneo ci sono sempre 30, 40 persone all’uscita che ti aspettano per foto e autografi».
Perchè gli scacchi? Da dove nasce questo amore?
«È nato proprio per caso, quando mio zio, che non abitava neanche a Chioggia, e io ero piccolino, avevo 4-5 anni, è passato di casa e ha visto che tormentavo mia nonna. Io penso di essere una persona tranquilla e abbastanza posata, quando invece ero piccolo assolutamente non lo ero. Lui sapeva giocare un pochino, mi ha insegnato le regole per farmi distrarre. Da lì è iniziato tutto».
Chi la accompagnava ai tornei?
«Mio padre mi ha sempre accompagnato quando ero un bambino, mi è sempre stato vicino, si metteva a lavorare col computer in hotel mentre io giocavo. E poi mi obbligava, visto che facevo le mosse troppo velocemente e che ero troppo istintivo, a fare la mossa e dopo averla fatta a mettere le mani sotto al sedere. Così non potevo muovere subito. Ha funzionato, l’idea è geniale, questo mi ha portato a calmarmi un pochino».
Lei sei stato campione d’Italia under 12 e under 16. Com’era la vita da adolescente?
«Ho fatto dei sacrifici. Adesso i bambini che giocano a scacchi sono accettati. Giocano a uno sport che è considerato “normale”. Quando ai miei tempi dicevo che giocavo a scacchi e facevo i tornei la gente non capiva. La domanda che ho sentito per tutta l’adolescenza è stata: “Ma scacchi che sport è?”. Quando dicevo che ero campione italiano, ero visto come quello strano, emarginato. Fino ai 15 anni ho avuto solo amici scacchisti. Sono rimasto piacevolmente sorpreso che per la Coppa del mondo il mese scorso ci sia stato tutto questo sostegno anche dall’Italia. Ho iniziato a giocare perché mi piacciono gli scacchi, non ho mai pensato di diventare Grande Maestro».
Il sacrificio più grande?
«Mi mancava vedere gli amici anche solo per un panino, perché fino ai 14-15 anni gli amici che avevo erano solo quelli con cui giocavo a scacchi. Quindi li vedevo ai tornei, ma durante la settimana rimanevo a casa e non c’era tempo per uscire. Avevo il tempo di andare a scuola, di studiare scacchi, di fare uno sport di movimento. Ho messo un po’ da parte tutto. Vivevo una vita di clausura».
Ha studiato Ingegneria, poi anche per lavoro ha viaggiato tanto.
«Sì, ingegneria meccanica a Padova, poi ho vissuto 2 anni in Olanda dove ho lavorato per l’azienda di famiglia. Ma per me era una formalità. Rispetto ai miei coetanei, posso dire di avere visto buona parte del mondo. Ho conosciuto persone provenienti da tutte le Nazioni. Ho intenzione di continuare a dare una mano nell’azienda di famiglia. Però la maggior parte del tempo adesso lo passo sugli scacchi. Ora è più un divertimento andare a dare una mano a loro».
La prima trasferta?
«In Friuli a 11 anni, i miei genitori non mi potevano accompagnare e l’unica che si è messa a disposizione per accompagnarmi al torneo è stata mia nonna, che allora aveva già la sua età. La prima volta all’estero invece sono andato da solo, a Praga, a 12 anni».
Quante lingue parla?
«Parlo bene italiano e inglese, ma anche francese, spagnolo».
Russo?
«Sto imparando il polacco, che è simile al russo. Ma lo faccio per la mia ragazza che è polacca. Anche lei è una scacchista professionista. È la numero due in classifica in Polonia».
Dove vi siete conosciuti?
«L’anno scorso negli Emirati Arabi, l’ho incontrata per caso a un torneo. Poi pian piano è scattata la scintilla, ora sono molto contento».

È importante avere altre passioni oltre gli scacchi?
«Faccio il fantacalcio, mi diverto. Ma amo lo sport in generale. Da due anni mi sono dato alla corsa. Qui in Giappone sto facendo la mezza maratona intorno al Monte Fuji. Sono appassionato di basket, ci ho anche giocato. Con papà siamo grandi tifosi del Verona in A2. Quando vivevo in Italia andavamo a vedere tutte le partite. Ora la mia ragazza mi sta facendo a giocare a tennis, anche se io vengo dal Padel…».
Oltre lo sport?
«La musica mi ha salvato dai periodi più bui. Sono un grande appassionato di Rock Punk… Stile Radiohead. Ma mi piace andare a scovare tutte le band più sconosciute del genere».
Si è dato una spiegazione del boom degli scacchi in questi anni?
«I social, internet. Ii tornei e le partite non sono ancora stati resi un contenuto fruibile per la televisione. Anche i soldi che girano sono ovviamente meno, quindi i top hanno dovuto trovare altri modi. Hanno trovato terreno fertile nello streaming. È un contenuto perfetto per internet, una partita sul cellulare o sul computer è emozionante, in tv ci sono tempi diversi».
Numero 1 in Italia. Ha spiazzato anche la sua famiglia?
«Siamo tutti sorpresi. Se me l’avessero 3-4 anni fa, beh, non me lo sarei mai aspettato. E neanche la mia famiglia, credo. Nonostante mi abbiano sempre supportato fin dall’inizio, non hanno mai visto gli scacchi come una possibilità di carriera fino a qualche anno fa. Però sì, loro sono contenti e il supporto è grande, adesso che hanno capito che la possibilità di arrivare in alto è seria».
Ha un fratello più piccolo, com’è il rapporto con lui? 
«Lui è il piccolo, ma anche il più “cattivo” di tutti. Il più netto nei giudizi perché quando faccio qualche errore viene subito a bacchettarmi. Mi dice: “Ti devi concentrare!”».
Quindi gioca anche lui?
«Ha imparato le regole da piccolo, ma si è messo a giocare online negli ultimi anni. L’anno scorso ho deciso di invitarlo a un torneo a cui partecipavo. Ero in Norvegia, in un hotel, uno dei più belli dove io abbia mai giocato a scacchi. E allora per scherzo gli ho chiesto: “Ma vuoi venire anche tu?” Ha detto di sì mi ha fatto compagnia, e ha anche fatto il suo primo torneo a tempo lungo dal vivo».
Adesso andrà al mondiale a Doha
«Il mio obiettivo è arrivare in top 20. La prima volta al mondiale veloce l’anno scorso arrivai 47esimo. Per essere il mio primo mondiale è stato un ottimo risultato. Quest’anno l’obiettivo è chiaramente una cosa importante, non è facile, perché ogni partita è alla morte. Si gioca veloce.
Ci sarà anche Magnus Carlsen
«Quello che ha fatto per il gioco è incredibile, lo stimo molto. Insieme a Hikaru sono le due pop star del mondo degli scacchi, hanno dato un respiro al movimento molto più grande che nessun altro aveva mai dato. Mi ricordo quando abbiamo battuto la Norvegia di Carlsen alle Olimpiadi nel 2022, è uno dei più bei ricordi».
Spera di incrociarlo?
«Spero di incontrarlo, e magari di fare risultato. Non ci ho mai giocato, né l’ho mai conosciuto di persona. I miei due obiettivi sono giocare contro Magnus e arrivare tra i primi 20 del torneo».
Come ha preso la morte di Naroditsky?
«È stato terribile. Naroditsky è stata una delle figure di cui ci si poteva davvero fidare nel mondo degli scacchi. Sempre positivo, faceva del bene per tutto il movimento».
Cosa pensa del cheating?
«Il mondo degli scacchi professionistico ha un bel problema: è difficile beccare chi bara. Ma lo è anche provarlo. Nel nostro sport è più facile barare perché se un maestro top 50 o top 100 si fa aiutare dal computer ogni tanto, o da un complice, è molto difficile beccarlo. Perchè loro di regola già giocano le mosse quasi “perfette” anche senza il computer».
La sconfitta più amara?
«Uno dei momenti più brutti è stato il primo campionato italiano under 20, quando avevo 15 anni. Ero andato con tutta la famiglia. Ho perso tre partite di fila e sono scappato in spiaggia a piangere. Da lì ho imparato a gestire le sconfitte molto meglio. Una volta per la rabbia dopo aver perso, ho strappato e buttato via il formulario dove scrivo le mosse. Stavo giocando contro un grande maestro molto forte, lui ha stravinto, ho perso la torre in una mossa. Mi è dispiaciuto perché tengo molto al rispetto, gli scacchi sono un gioco di rispetto. Mettere a posto la scacchiera, tutti i pezzi al loro posto, dare la mano all’avversario. Adesso ho cominciato a prendere le sconfitte molto meglio, con più filosofia»