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 2025  dicembre 06 Sabato calendario

Metà immigrati e metà oriundi: l’incredibile storia della Nazionale «senza italiani» che va ai Mondiali di cricket (mentre il calcio...)

Questa è la storia di un viaggio che comincia nel 1890 a Genova e finisce ai giorni nostri nel Subcontinente indiano. La storia di uno sport di squadra, il secondo più praticato al mondo, che fino a qualche decennio fa nell’Europa continentale pochi conoscevano. La storia di una Nazionale composta da “nuovi italiani” e “italiani di ritorno”, che dal prossimo 7 febbraio disputerà per la prima volta un Campionato del mondo in India e Sri Lanka (mentre gli azzurri del calcio, ironia della sorte, rischiano di rimanere fuori per la terza edizione consecutiva). La storia bizzarra, intricata e avventurosa del cricket in Italia. 
Sono arrivati nel nostro Paese insieme, il cricket e il calcio. Sta per cominciare l’ultimo decennio dell’Ottocento quando i marinai che sbarcano a Genova dalle navi inglesi iniziano a trascorrere il tempo libero praticando due nuovi sport: uno si gioca calciando un pallone coi piedi, l’altro colpendo una pallina con una mazza di legno. 
Proprio qui nel 1893 viene fondata la prima società italiana dedicata agli sport di squadra, il Genoa Cricket and Football Club (si chiama ancora così). Un secolo dopo è molto chiaro quale delle due discipline abbia vinto la sfida: il calcio è lo sport nazionale mentre il cricket è sparito, praticato soltanto da qualche decina di expat britannici. Ma è a questo punto che la trama prende un’altra direzione. 
In un mondo che accelera la sua globalizzazione, a partire degli Anni 80 arrivano in Italia migliaia di immigrati da India, Pakistan, Sri Lanka e Bangladesh. E i parchi delle periferie cittadine iniziano a popolarsi di ragazzi che si divertono con un gioco che somiglia al baseball, ma non è il baseball. 
Simone Gambino, presidente della Federazione Cricket Italiana (FCri) dal 1986 al 2016, intuisce che il cricket può diventare un importante veicolo di integrazione. Nel 2003 anticipa i tempi e, approfittando delle regole internazionali, introduce lo ius soli sportivo. Parallelamente inizia a fare scouting per portare in azzurro i giocatori australiani e sudafricani di origine italiana, i figli e i nipoti dei nostri connazionali che nel secondo Dopoguerra hanno cercato fortuna dall’altra parte del mondo. 
Ecco com’è nata la squadra che ha conquistato la prima, storica, qualificazione al Campionato del mondo T20 (la formula “breve” del cricket, quella che nel 2028 esordirà alle Olimpiadi di Los Angeles). Metà immigrati e metà oriundi, l’Italia del passato e del futuro che si incrociano sul campo da cricket.
Zain Ali nasce nel 2002 a Masoompur, in Pakistan. A 14 anni si trasferisce con la famiglia a Brescia, raggiungendo il padre che nel suo Paese faceva il medico ma già da qualche anno vive in Italia e lavora in fabbrica. «Per me e per i miei fratelli fu uno choc» racconta Zain «non conoscevo una parola di italiano e tutti i miei amici vivevano a migliaia di chilometri di distanza». 
A Brescia s’iscrive alle superiori e frequenta i campetti da basket. «In Pakistan passavo i pomeriggi a giocare con gli amici a cricket, ma non avevo idea che esistesse anche in Italia. L’ho scoperto quando ci siamo trasferiti a Zanica, in provincia di Bergamo, e ho visto dei ragazzi giocare con la tapeball (in gergo, la pallina da tennis avvolta nel nastro adesivo che si usa al parco o in strada, ndr)». 
Zain comincia a giocare nei parchi della zona e poi entra in una vera squadra, i Bergamo Super XI. L’anno successivo, quando con la famiglia si sposta di nuovo a Trescore Balneario, passa al Cividate Cricket Club. Ma nel frattempo è diventato anche un giocatore della Nazionale italiana: «Le regole del cricket sono diverse da quelle degli altri sport» spiega, «per vestire la maglia azzurra è sufficiente essere nati in Italia oppure averci abitato per tre anni consecutivi». 
A 23 anni Zain Ali, che divide le sue giornate fra il lavoro come programmatore in azienda e gli allenamenti, ha fatto parte della squadra che lo scorso luglio, battendo la Scozia, ha conquistato il pass per i Mondiali. «Mi sembra impossibile che la Nazionale di calcio, con tutti i soldi e le strutture a disposizione, non si sia ancora qualificata» dice. «E noi invece sì». 
«Quando ero piccolo, il nonno mi diceva sempre: il cricket è uno sport di mer**, ti porto a Milano a giocare nell’Inter. E io tutte le volte gli rispondevo: nonno, io tifo per il Milan...». Gian Piero Meade, per tutti JP, nasce nel 1996 a Benoni, in Sudafrica, da padre sudafricano e mamma italiana. Per lui il nonno è sempre stato uno solo, quello italiano; l’altro, il nonno paterno che l’ha iniziato al cricket, era granpa. 
La mamma di JP, Antonella, aveva lasciato Milano nel 1968 quando aveva cinque anni. Qualche decennio dopo, il Paese d’origine è tornato a bussare alla sua porta: «Un cugino la chiamò e le disse: ma lo sai che esiste una Nazionale di cricket anche in Italia?» racconta lui mischiando italiano e inglese. «Io mi misi a ridere e risposi che non poteva essere vero... Ma un secondo dopo stavo già guardando i video su YouTube». 
A 18 anni, dopo il college, JP Meade decide di trascorrere un anno in Italia per poter vestire la maglia azzurra. «Giocavo nei Kingsgrove Milano e vivevo a casa di mia cugina. Ma all’inizio non è stato facile adattarmi al cricket italiano» ricorda. «La differenza principale è il pitch (la striscia centrale del campo su cui il lanciatore fa rimbalzare la palla, ndr): in Italia non esistono pitch in erba e questo rende tutto molto diverso. Ricordo ancora il primo allenamento, alla fine ero talmente deluso che chiamai mamma e le dissi che non sapevo se ce l’avrei fatta». 
Da qualche anno i genitori di JP si sono trasferiti in una casa di famiglia a Toano, sulle colline reggiane. Lui invece si divide fra il Regno Unito, dove studia Fisioterapia, il Sudafrica e l’Australia. Ma il Paese di mamma Antonella ce l’ha nel sangue, e sulla maglia. 
«Durante il raduno che ha preceduto il torneo di qualificazione ai Mondiali abbiamo parlato a lungo del perché giochiamo per la Nazionale» racconta. «Ognuno di noi ha un debito da ripagare, nei confronti dei nonni che hanno fatto tanti sacrifici oppure del Paese dove ha trovato accoglienza». E se qualcuno storce il naso per una squadra fatta di oriundi e immigrati, Meade risponde così: «Siamo un gruppo molto unito, e ad unirci è l’Italia. La lingua, il cibo, il passato dei genitori o il futuro dei nostri figli. Se cantiamo l’inno? Certo». 
Periferia nord di Milano, domenica mattina. Un ragazzo con la carnagione olivastra infila tre bastoncini nel terreno al centro di un prato spelacchiato: è il wicket, che il lanciatore deve colpire e il battitore della squadra avversaria difendere. Attorno, una ventina di coetanei si scaldano lanciandosi la tapeball e colpendola con la mazza di legno. Un ritardatario, intanto, si avvicina reggendo in mano un sacchetto che sprigiona l’odore speziato dei samosa e del biryani. 
In Italia, secondo le stime della FCri, sono quasi 18 mila i giocatori “da parco” e 70 mila gli appassionati di cricket. I numeri ufficiali parlano invece di 10 campionati (considerando anche quelli femminili e giovanili), 70 squadre e 2.500 tesserati agonisti. 
Dati che fotografano un movimento in crescita, ma ancora distante da una Nazionale che al Mondiale sfiderà i migliori del mondo, dall’indiano Suryakumar Yadav all’australiano Mitch Marsh. «Il livello di chi si avvicina al cricket in Italia è lontano da quello degli immigrati srilankesi e pachistani, che a loro volta sono un passo indietro rispetto a chi come me gioca all’estero» conferma JP Meade. 
Se i tornei amatoriali della domenica rappresentano la base della piramide, e la Nazionale la punta di diamante, il grande lavoro da fare è con i ragazzi: «La crescita passa dalle scuole e dai bambini» dice la presidente della Federazione Maria Lorena Haz Paz. «Dobbiamo portare il cricket dove crescono gli sportivi di domani: investire nei programmi scolastici, nelle attività giovanili e nella formazione di allenatori qualificati è la nostra massima priorità».
La Nazionale di cricket T20 si è qualificata ai Mondiali per la prima volta nella sua storia. È la categoria più recente, nata nei primi anni Duemila: le partite durano circa 3 ore, mentre quelle tradizionali possono arrivare a più giorni. Gli azzurri debutteranno il 9 febbraio a Calcutta e sono stati inseriti nel girone C con Inghilterra, Indie Occidentali, Bangladesh e Nepal