Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2025  dicembre 05 Venerdì calendario

Jane Austen, la zitellina di provincia che conquistò il mondo (a 250 anni dalla nascita)

A quei pochi che ancora pensano che Jane Austen sia una scrittrice minore, o peggio per signore, basterà ricordare che la fortuna di “Janeites”, parola che indica i lettori appassionati della scrittrice, si deve a Rudyard Kipling che le dedicò un racconto. Il protagonista è Humberstall, reduce della Grande Guerra che racconta di quando in trincea i suoi compagni avevano formato una società segreta di fan della scrittrice, The Society of the Janeites, e i loro fucili si chiamavano Reverendo Collins e Lady Catherine de Bourgh. Vi viene in mente un contesto meno austeniano in cui ambientare un racconto austeniano di un dialogo tra reduci? Ebbene, sarà proprio un’allusione austeniana (a quel mulino di parole che è la Miss Bates di Emma) a salvare Humberstall. Anche per Kipling i romanzi di Jane erano stati un sollievo: li leggeva a voce alta alla moglie nelle angosciose sere in cui attendeva notizie del figlio al fronte. Lo stesso sentimento invade Pietro Citati quando nell’agosto del 1983 scrive sul Corriere di una convalescenza in cui Jane era stata un balsamo. Quando il corpo è languido i libri vanno scelti con cura: “Shakespeare turba, con la sua massa roteante di immagini. Tolstoj stanca, col suo passo troppo veloce. Balzac nausea, con la sua fisicità soffocante. Dostoevskij sconvolge, col suo urgere irrisolto di problemi. Nulla meglio di un romanzo di Jane Austen: un villaggio o una proprietà di campagna, poche figure e pochi avvenimenti, un’esile quantità di tempo, un’implacabile precisione di tocco e di linee”. Charlotte Brontë, che non la amava, lo aveva spiegato così: Jane Austen “non si occupa tanto del cuore umano, quanto degli occhi, delle bocche, delle mani, dei piedi. Essa non agita il lettore con alcunché di veemente”. E cosa dire dell’irresistibile tratto umoristico della sua penna quando, per esempio, Mr. Bennet rassicura la moglie di non aver affatto intenzione di torturarle i nervi poiché sono suoi vecchi amici.
Oggi festeggiamo i 250 anni dalla nascita della scrittrice che è entrata a pieno titolo nelle antologie critiche ma che, come pochissimi altri, è entrata anche nell’immaginario popolare: a riprova ci sono i mille adattamenti cinematografici dei suoi sei romanzi e la profusione di siti e blog a lei dedicati (tra gli italiani da segnalare: Janeausten.it, tenuto da Giuseppe Ierolli, biografo e traduttore; il sito della Jane Austen society of Italy e Unteconjaneausten.it, curato da Silvia Ogier). Molti titoli in uscita, oltre alla ripubblicazione dei romanzi: Jane Austen dalla A alla Z di Michael Greaney (Donzelli), Il segreto di Jane Austen di Giovanna Zucca (Fazi), Dillo come Jane Austen di Chiara Codecà (Giunti), oltre a quelli già in catalogo come Una verità universalmente riconosciuta… di Stefania Bertola, Ginevra Bompiani e Beatrice Masini (Astoria) e i lavori del professor Diego Saglia per Carocci, Leggere Jane Austen e I mondi di Jane Austen. Su Audible si possono ascoltare le disavventure di Elisabeth e Mr. Darcy, di Anne Elliot e delle sorelle Dashwood magistralmente interpretate da Paola Cortellesi e ora anche un radiodramma tratto da Orgoglio e pregiudizio in cui Isabella Ferrari presta la voce a Mrs. Bennet.
Di Jane sappiamo abbastanza, ma molto ci è stato sottratto perché l’amatissima sorella Cassandra distrusse le sue lettere più personali. Ed è a Cassandra che dobbiamo l’unico ritratto della celebre sorella in cui la modella posa a braccia conserte, con un abito semplice, “il capo di tre quarti illeggiadrito da pochi riccioli sulla fronte e chiuso nella rete d’una cuffietta”, come lo descrive Attilio Bertolucci nell’introduzione a Emma (Garzanti). “Le labbra strette, gli occhi serissimi, acuti e pure perduti, miranti per così dire al di là, ci avvertono che si tratta d’una persona non comune. Accettato il suo status di zitellina medio borghese di provincia, con qualche breve scappata a Londra, Jane si concentra su quanto la circonda e ne sa estrarre una commedia umana limitata nell’estensione, non nella profondità”. Forse non abbiamo bisogno di sapere di più di questa “zitellina” che conquistò il mondo dalla stanzetta di un villaggio dello Hampshire (anche se i suoi romanzi vennero pubblicati anonimi finché lei fu in vita: dopo la sua morte il fratello Henry svelò al mondo l’identità della già amatissima autrice di Orgoglio e pregiudizio e Ragione e sentimento) perché “i suoi romanzi vengono avanti con un’evidenza straordinaria, senza la minima ruga, abbaglianti di chiarezza intellettuale, impressionanti come trompe-l’oeil di realtà esistenziale” (ancora Bertolucci). È così vero che Tomasi di Lampedusa la paragonò a Balzac in quanto a senso della società, per non dire dei molti che l’hanno accostata a Shakespeare (Virginia Wolf e André Gide): anche lui ha scritto d’amore ma nessuno si è mai sognato di biasimarlo, visto che era un uomo. E uomini illustri la odiarono parecchio: D.H. Lawrence la definì “davvero inglese, nel senso più mediocre e snob”; Ralph Waldo Emerson le rinfaccia di pensare solo al matrimonio. Mark Twain si rammaricava che le avessero permesso di morire di morte naturale: “Ogni volta che rileggo Orgoglio e pregiudizio mi vien voglia di dissotterrare Jane Austen e di colpirle il cranio utilizzando la sua tibia”. Ma così scrivendo ci svela di rileggere con costanza il capolavoro dell’odiata scrittrice: Twain era nato solo 18 anni dopo la morte di Jane, ma lei era già un classico.