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 2025  dicembre 05 Venerdì calendario

Il Piemonte malato di reumatismi

Reumatologi, questi sconosciuti: al servizio sanitario regionale, dove emerge un abisso tra gli specialisti inquadrati, una ventina, e gli 800 mila malati piemontesi, l’equivalente degli abitanti di Torino, in maggioranza affetti da forme non infiammatorie. Tra chi soffre di forme infiammatorie, invece, 40 mila sono colpiti da Artrite Reumatoide e Artriti Sieronegative, 2 mila soffrono di Lupus Eritemato Sistemico.
L’allarme è stato lanciato dalle associazioni di riferimento dei pazienti alla Città della Salute, durante la presentazione dei dati relativi al “Reumaday Tour 2025”, iniziativa itinerante che ha attraversato il Piemonte toccando centri nevralgici: a Torino gli ospedali San Giovanni Bosco, San Luigi di Orbassano, Città della Salute, Regina Margherita, Mauriziano.
Obiettivo: evidenziare la discrepanza allarmante tra l’epidemiologia delle malattie reumatologiche, che colpiscono una vasta porzione della popolazione piemontese con costi sociali enormi, e l’attuale assetto organizzativo, caratterizzato da una drammatica carenza di specialisti e da una rete assistenziale ancora in fase di piena attuazione. Il Piemonte, in aggiunta al resto d’Italia, paga anche l’assenza, fino a due anni fa, di una Scuola di specialità.
I numeri, come sempre, sono eloquenti. «Attualmente, i reumatologi strutturati nel servizio sanitario piemontese sono circa 20 – spiegano nella relazione, depositata presso le segreterie degli assessori competenti, Aapra Odv Ets, Anmar Odv Ets,AMaR Piemonte Ets Gils Odv Ets, Gruppo Les Odv Ets e Gruppo Les Italiano -. Secondo le linee guida della Società Italiana di Reumatologia, calcolate sulla base della popolazione residente (circa 4,25 milioni di abitanti censita nel 2023) e della prevalenza delle patologie, il Piemonte dovrebbe disporre di almeno 100 reumatologi. Siamo di fronte a un deficit dell’80% della forza lavoro medica specialistica necessaria».
Uno squilibrio sconcertante, considerato che parliamo di un universo di oltre 150 patologie, molte delle quali su base autoimmune, infiammatoria cronica come l’Artrite Reumatoide, il Lupus Eritematoso Sistemico, la Sclerosi Sistemica, le Spondiloartriti e alcune delle quali anche rare, che colpiscono trasversalmente ogni fascia d’età, inclusi giovani adulti in piena fase lavorativa e bambini. La sola Artrite reumatoide colpisce oltre 400 mila persone in Italia, con una prevalenza netta nel sesso femminile (rapporto 3 a1) e un picco di incidenza tra i 30 e i 50 anni. Significa che aggredisce il cittadino nel momento di massima produttività lavorativa e sociale.
Malattie variamente invalidanti – di origine genetica, sovente innescate ed esasperate da componenti ambientali, in primis gli eventi virali – che in Italia coinvolgono circa 6 milioni di persone, con implicazioni estremamente pesanti per chi le vive nella quotidianità. Il dato sociale più allarmante è la perdita del lavoro: queste patologie, caratterizzate da imprevedibili riacutizzazioni, causano numerose assenze per malattia a breve termine.
Da qui le richieste delle associazioni: un graduale potenziamento del personale specialistico, l’avvio operativo della Rete Reumatologica e l’implementazione dei Percorsi diagnostici terapeutici assistenziali, percorsi più rapidi per diagnosi e follow-up, il rafforzamento del ruolo infermieristico specializzato, la valorizzazione della riabilitazione e dell’accesso alla fisioterapia, un utilizzo più diffuso degli strumenti digitali e della telemedicina.
Un problema nel problema è il tempo tra l’insorgenza dei sintomi e la diagnosi, non semplice, di malattie molto più frequenti di quanto si pensi. È il caso dell’Artrite Reumatoide e Psoriasica. E questo, nonostante oggi siano gestibili grazie ai nuovi immunosoppressori, più maneggevoli, e ai farmaci biologici, in grado di garantire una buona qualità di vita. In media, sono necessari in media 7 anni per scoprire di soffrire di Artrite Psoriasica, 5 per la Spondilite Anchilosante, 3 per la Sclerosi Sistemica e 2 per l’Artrite Reumatoide. è stato spiegato durante un recente organizzato a Roma dalla Società Italiana di Reumatologia (Sir). Il che implica non solo la centralità dei reumatologi, da incentivare, ma la formazione da parte dei medici ospedalieri e di famiglia, ampiamente perfettibile. Il primo passo per cambiare le cose è parlarne.