la Repubblica, 5 dicembre 2025
Tajani garantisce su Kiev e rilancia l’utilizzo del Mes. La Lega: “Tema da orticaria”
Antonio Tajani rilancia il Mes, anche se a Matteo Salvini «fa venire l’orticaria». La maggioranza di governo si accapiglia sull’utilizzo del fondo Salva Stati, parola tabù per la destra italiana, che però è diventata una delle opzioni sul tavolo dell’Ue per garantire lo sblocco degli asset russi congelati, visto che la Bce si è sfilata e vanno comunque finanziati gli aiuti militari all’Ucraina, 140 miliardi nel prossimo biennio. Il ministro degli Esteri condivide l’opzione Mes, come il grosso dei popolari europei. «Noi eravamo contrari per diversi motivi alla riforma del Mes, ma quei soldi ci sono, il Mes c’è, è vivo e usare quei soldi come garanzia potrebbe essere una soluzione, poi decide l’Unione europea», le parole dell’azzurro, convinto che non ci sia nemmeno necessità di ratificare in Parlamento la revisione del meccanismo. Non servirebbe, insomma, un voto delle Camere. Proprio da Bruxelles però l’altro vicepremier, il capo della Lega, mette a verbale la sua posizione all’opposto. A margine del ricevimento della rappresentanza italiana, Salvini prima sostiene di non avercela con il collega forzista, «la mia non è una risposta a Tajani, su questa vicenda del Mes hanno parlato quelli del gruppo parlamentare». Poi però, quasi di sfuggita, fa capire benissimo come la pensi: «A me solo la parola Mes fa venire l’orticaria». Segnale chiaro. E Meloni? Nella cerchia della premier c’è imbarazzo, perché il meccanismo europeo non è stato utilizzato in passato per altre urgenze, come la sanità. Ma se l’Unione porterà l’idea sul tavolo, sarà considerata, vista la convenienza e la necessità di trovare alla svelta così tanti miliardi. Le difficoltà le riconosce lo stesso Tajani: «Ci sono riserve giuridiche, anche la Bce ha ribadito che non si possono commettere errori».
L’altra spina per la coalizione di governo è il decreto armi, che serve ad autorizzare l’invio di aiuti a Kiev anche l’anno prossimo. Il testo era atteso al Cdm di ieri, ma martedì è stato depennato dall’ordine del giorno, su pressing del Carroccio. Dopo Meloni, anche Tajani conferma: il decreto si farà entro capodanno. «Salvini? Ognuno è libero di dire quello che vuole, ma la politica estera è competenza del premier e della Farnesina». Sulla stessa lunghezza d’onda il partito di Maurizio Lupi, Noi Moderati: «Non possiamo non continuare a sostenere l’Ucraina». Il tempo però è agli sgoccioli: entro tre settimane il provvedimento va licenziato dal Cdm, poi il Parlamento deve convertirlo entro due mesi. Con un voto. L’esecutivo non può permettersi strappi, anche solo dalla Lega.
L’opposizione s’incunea nella frattura a destra su uno dei principali dossier di politica estera. Per Elly Schlein «Salvini non ha ancora tolto la maglietta di Putin, il problema è che questa ambiguità la paga l’Italia che rimane in panchina a causa di questa divisione». «Vicepremier contro vicepremier, mentre la premier Meloni tace. Intanto, la credibilità dell’Italia si polverizza», attacca Riccardo Magi di +Europa. «L’invio è il minimo che possiamo fare e che il governo abbia titubanze è pericoloso» è convinto il leader di Azione Carlo Calenda. Mentre da Italia viva Matteo Renzi osserva che «l’Ucraina non è sacrificabile, perché se la sacrifichi hai perso la faccia. Quello che è certo è che va trovato un compromesso».