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 2025  dicembre 05 Venerdì calendario

Ecco come ci vedono gli altri

Esiste ancora un «modello europeo», visto da Washington, Pechino, Mosca, dal Medio Oriente, o dall’Africa? Il Vecchio Continente ha nutrito l’ambizione di essere per il resto del mondo una guida morale, un esempio di equilibrio sociale, un paradigma di diritti e di qualità della vita. Per capire a che punto è quell’aspirazione, bisogna prima chiedersi se esista ancora un «modello europeo» per Berlino, Roma, Parigi. È evidente una correzione di rotta su terreni cruciali.
L’ Europa modera le sue regole sul cambiamento climatico e le politiche energetiche. Pesa la svolta tedesca: il cancelliere Merz preme per rinviare ben oltre il 2035 l’abbandono del motore a combustione, vuole salvare l’industria automobilistica dal «massacro cinese» (invasione di auto elettriche vendute a prezzi di dumping). Bruxelles corregge in senso permissivo anche la sua imponente regolamentazione digitale. Accoglie tra l’altro l’esortazione di Mario Draghi: l’eccesso di norme e di burocrazia taglia fuori il Vecchio Continente dalla rivoluzione dell’intelligenza artificiale. Ancora più importante: l’Europa abbandona l’antica illusione di essere l’unica «superpotenza erbivora» del pianeta, capace di farsi valere senza investire nella propria difesa. Le aggressioni di Putin e il disimpegno di Trump sono fattori decisivi per avviare un riarmo, sia pure tra resistenze enormi. La responsabilità europea per la propria difesa fu un tema sollevato fin dai tempi in cui c’erano Dwight Eisenhower e poi John Kennedy alla Casa Bianca. Ma è inutile nascondersi il godimento con cui l’America trumpiana osserva i tanti ripensamenti e dietrofront a cui l’Europa è costretta. Ivi compreso sull’immigrazione: il laburista Starmer, i socialdemocratici danesi, il democristiano Merz, tutti adottano politiche più restrittive.
Vista da Pechino? Ci fu un’epoca in cui la Cina studiava davvero l’Europa come un modello, una «economia mista» interessante, meno estrema e diseguale rispetto al capitalismo americano. I prodigi compiuti dalla Repubblica Popolare nello sviluppo tecnologico e nell’innovazione si possono attribuire in parte all’imitazione di politiche industriali che ebbero dei pionieri in Europa («l’economia sociale» del capitalismo renano-germanico, le Partecipazioni statali nell’Italia del miracolo post-bellico) anche se il modello più studiato dai comunisti cinesi è stato il Giappone. Di quella curiosità e rispetto cinese oggi rimane poco. Xi Jinping disprezza il welfare, lo considera tipico di civiltà decadenti, esorta i suoi giovani disoccupati a «masticare amarezza» e accettare lavori inferiori alle loro aspettative. Si ricorda degli europei quando vuole tentare di reclutarli come alleati subalterni contro i dazi di Trump… per poi invadere il mercato Ue con i prodotti che l’America gli compra sempre meno. In queste ore Pechino ripropone lo stesso metodo nella sua querelle con il Giappone. Poiché la premier nipponica ha osato dire verità sgradite su Taiwan, Xi lancia un appello a Inghilterra e Francia per riesumare contro Tokyo «l’alleanza antifascista» della Seconda Guerra mondiale. Xi tratta i leader europei secondo lo schema collaudato da Stalin quando parlava di «utili idioti»: pedine da manipolare e poi sacrificare.
Di Putin sappiamo. Le cronache dicono cosa pensa dei tentativi europei di giocare un ruolo nel negoziato di pace: li ignora. Quando vuole eccitare la propria platea, lancia qualche minaccia nucleare, agita lo spettro della Terza Guerra mondiale, e si gode lo spettacolo del panico nelle opinioni pubbliche europee. D’altronde perché dovrebbe rispettare una Unione dove basta il piccolo Belgio, o la marginale Ungheria, per bloccare da mesi una sanzione come il sequestro dei beni russi nelle banche? Come ai tempi di Stalin, Kruscev, Brezhnev, anche Putin ha le sue quinte colonne nei Paesi europei, partiti politici e lobby su cui può contare: gli «utili idioti» che lo serviranno fedelmente.
Visto dal Medio Oriente? Gran parte dell’Europa si è adoperata per il riconoscimento dello Stato palestinese. Non per questo si è guadagnata qualche ruolo nelle trattative sul futuro di Gaza. Gli attori regionali filo-palestinesi, dall’Arabia alla Turchia, dagli Emirati al Qatar, dall’Egitto alla Giordania, considerano l’America come l’unica potenza esterna che conta.
In Africa quali sono le ultime novità geopolitiche di rilievo? I cristiani della Nigeria si sentono appoggiati solo da Trump, di fronte all’escalation di persecuzioni di segno jihadista. Su altri fronti si riaffaccia la Russia. In Sudafrica fa scalpore il reclutamento di mercenari per andare a combattere con i russi in Ucraina. In Sudan la giunta militare offre a Putin quella che sarebbe la sua prima base navale africana: Port Sudan, strategico affaccio sul Mar Rosso, arteria di comunicazione vitale soprattutto per gli europei. Anche in Africa le classi dirigenti sembrano guardare ai rapporti di forze, e l’Europa è debole.
A sorpresa, un’avanzata recente del «modello europeo» c’è stata a New York. È l’elezione del socialista Mamdani che promette un welfare scandinavo, autobus pubblici gratis, blocco dei fitti, supermercati municipali a prezzi politici, scuole per l’infanzia gratuite. Il ciclo politico americano sembra preannunciare una rivincita dei democratici tra undici mesi alle legislative di metà mandato. Se prevarrà un partito democratico dominato dalla figura di Mamdani, l’Europa avrà una rivincita indiretta, simbolicamente potente. Ma l’America è grande, il partito democratico pure, scommettere che l’ euro-programma di Mamdani conquisti il Midwest e il grande centro moderato sarebbe prematuro.