Corriere della Sera, 5 dicembre 2025
Le chiacchiere del tuttologo che mortificano l’esperto
C’è una categoria umana che da qualche tempo soffre di una grave crisi: l’esperto è sempre più depresso. Attaccato da un’ondata montante di scetticismo («come fa a sapere quelle cose?»), soggetto a sospetti ricorrenti («avrà i suoi motivi per parlare così»), travolto dalla semplificazione dialettica che fa di ogni confronto uno scontro a base di insulti. In questa lenta agonia, che sembra inesorabile, l’esperto riflette sulla propria natura e non trova pace. Eppure, la sua origine è semplice: la parola ci arriva dal latino expertus, participio passato del verbo experiri che vuol dire provare, sperimentare o mettere in atto qualcosa in modo ragionato. Il nostro esperto è quindi chi ha esperienza in un determinato campo e conosce bene un argomento per averlo studiato ed è riconosciuto per i titoli (accademici o di ruolo, o le pubblicazioni) e per l’apprezzamento dell’opinione pubblica. Hanno sempre ragione? No, ma quando sostengono qualcosa possono elencare i motivi per farlo. Come si fa con le note a piè di pagina.
Viviamo un’epoca in cui questo riconoscimento non ha fortuna: il problema non è che nel 2024, tra i 25 e i 34 anni, solo il 31,6% possedeva una laurea e quindi si suppone esperto almeno un po’ nel suo campo. Né che siamo più di 10 punti sotto la media europea, che sfiora il 44%, e lontanissimi dall’obiettivo del 45% fissato per noi dall’Ue per il 2030. Il tema è che nel dibattito pubblico, dai social alla tv, siamo stati invasi da incompetenti, ignoranti e profani che si occupano di tutto, non argomentano quello che dicono, si limitano spesso a urlarlo e con tutto il rispetto per gli amici a quattro zampe, invece di parlare abbaiano.
Non avremmo mai accettato di farci operare al cuore da un «non esperto» e non avremmo mai affidato la costruzione di un ponte a un improvvisato. Invece, sulla scia del chiacchiericcio imperante, succede anche questo. Forse l’agonia non riguarda solo gli esperti.