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 2025  dicembre 04 Giovedì calendario

Luce sull’invisibile. Orfeo vive in Rilke

«Lì si levò un albero. Oh puro sovrastare!/ Orfeo canta! Grandezza dell’albero in ascolto!/ E tutto tacque. Ma proprio in quel tacere/ avvenne un nuovo inizio, cenno e mutamento». Rainer Maria Rilke, uno dei massimi poeti di sempre, nel primo Novecento ricrea l’incanto di un momento epocale dell’umanità: l’avvento al mondo di Orfeo, il primo poeta, il Padre fondatore della poesia. Che non viene al mondo, nel mito greco, come una disciplina ermetica, per iniziati, ma come espressione diretta di un dono divino capace di incanto assoluto. Alla voce di Orfeo, il primo poeta, un albero si leva e si pone in ascolto. Quella voce, la voce della poesia, agisce nel profondo della natura, che si desta rapita per ascoltare una musica piena di senso e inaudita. Animali in silenzio si avvicinano al cantore, animali mansueti ma anche belve feroci, di colpo ammansiti, dicono anche le pietre piangessero al suo canto. La poesia non appare al mondo come una disciplina preclusa al mondo, ma come l’espressione di una forza che unifica tutte le creature, animali, piante, tutta la vita creaturale colpita da un mutamento operato da Orfeo, il miracolo dell’ascolto: «Tu creasti per loro un tempio nell’udito». Orfeo non è morto. Il primo poeta, il fondatore e il dio della poesia, una delle due creature del mito greco, con Dioniso, entrambi di origine orientale, che persistono perché precedono la civiltà greca in cui nascono, sono realtà della nostra anima. Orfeo non muore, in tutti i sensi: vive in incessanti rielaborazioni nella poesia e nella musica.
Ma il 5 dicembre 1875, centocinquant’anni fa, nasce colui che riporterà Orfeo al centro di tutto, Rilke, poeta di lingua tedesca e di lingua poetica universale, non solo per la conoscenza specifica delle lingue e letterature, ma per la dimensione profonda della sua voce che deriva da quelle di Ovidio, Dante, dei mistici Sufi, portandone l’archetipica potenza nel cuore sanguinante della modernità. Nasce nell’Ottocento ed è presto uno dei massimi del Novecento, uno dei due fondatori della poesia che riscopre il sacro e il mistero, accanto all’irlandese William Butler Yeats. Con lui ritorna, Orfeo, come fu nelle origini e nel mito, il creatore animante della poesia e del suo “trascendere”, nei Sonetti a Orfeo, capolavoro dell’orfismo di sempre. Straordinaria la sua lirica Orfeo, Euridice, Hermes, dove il messaggero degli dèi narra la discesa di Orfeo all’Ade, il passaggio nel buio, lui nel suo azzurro mantello, alla ricerca della moglie perduta, Euridice. E l’incontro, e lei che lo segue, docilmente incantata, lui che, per paura di perderla, violando il giuramento imposto dagli dei di Averno, si volta, e lei si allontana, «turbato il passo dalle bende funebri, /malcerta, mite nella sua pazienza». Chi scrive, Rilke, è in parte Orfeo, il poeta del canto, e dello svelamento dell’amore e di una sensibile trascendenza, ma è anche Hermes, il testimone, il messaggero tra i due mondi. Similmente, in una delle sue lancinanti, incantate poesie su Maria, Annunciazione, la voce del poeta si immedesima in quella dell’angelo: tu non sei più vicina a Dio di noi, scrive, siamo lontani tutti. Ma tu hai mani stupende, nascono chiare a te dal manto, «io sono la rugiada, il giorno,/ ma tu, tu sei la pianta». Questo angelo che stende le sue ali immense nella casa modesta, è preso grazie a Maria da un nuovo turbamento, di fronte a un essere in cui si fondono sogno e salute eterna. E questo angelo, sono certo, influirà sulla nascita del capolavoro di un grande regista tedesco, Wim Wenders, nel memorabile Il cielo sopra Berlino.
Il poeta non è mai l’angelo, in Rilke, ma colui che cerca di tradurre le visioni e le parole dell’angelo. Il poeta è un uomo, un interprete. E il poeta è messaggero anche in un altro polo della poesia rilkiana, quello dei Magi: essi, come lui, sono degli Hermes, sono tramiti, che collegano il mondo astrale, la nascita e il suo racconto agli uomini. E a Maria parla una stella, dopo avere guidato i Magi. In I Re Magi, sottotitolata Leggenda, l’incanto rivive come simultaneamente avvenne nei saggi e eleganti zoroastriani e nel porcaro analfabeta: Rilke fa tutto umile e tutto oro: «Un tempo, quando all’orlo del deserto/ si dischiuse la mano del Signore/ simile a un frutto estivo/ che il suo nocciolo annuncia,/ ci fu un prodigio: da lontano/ si incontrarono e si salutarono/ tre re e una stella». Allora la stella ride, su «quei tre carichi d’oro e di topazi,/ con facce scure e ottuse di pagani,/» corre alla capanna e si rivolge a Maria e le dice, ti porto in viaggio da molti paesi lontani, tre grandi re, ma non avere paura del loro aspetto orientale, regale e fastoso, e dei loro volti bruni. Stanno andando da tanto tempo, seguendomi: sono simili a pastori, stanno per chinarsi alla nascita e perdere la regalità antica, entrando in una nuova dimensione.
Poeta di Orfeo e dei Magi, del cielo e del silenzio, dell’amore e del dolore, in lui coincidenti come accade nei classici, poeta che nomina Dio e gli dèi, il canto della natura e il silenzio, trova ora, nel centocinquantenario della sua nascita, un libro che sa svelarlo e esprimerne la complessa grandezza, un libro degno del suo argomento. In Rainer Maria Rilke. Luce sull’invisibile (Ares, pagine 304, euro 19,00; il libro sarà presentato oggi alle 17.30 presso il Museo Lets di Trieste. Insieme all’autrice dialogheranno Ulisse Dogà e il direttore del Lets Riccardo Cepach) Marilena Garis scrive un saggio che sin dal titolo si rivela molto più di una biografia quale l’autrice lo presenta. O forse questa è una vera biografia ideale, in cui vita e anima dell’autore indagato si compenetrano. Netta, necessaria, la cronologia come la cronaca, narrativamente calzanti i periodi e i temi scelti. Dalla nascita a Praga alle avventure di viaggio, amori, scoperte e passioni letterarie, i vagabondaggi in tante città di un vagabondo calmo, elegante e ansioso d’infinito, alla riflessione sulla natura della sua poesia, così ricca da confondere chi la accosta, dopo averlo folgorato. In Rilke, scrive l’autrice, convergono le ricchezze di diverse culture, diverse traduzioni: «La sua lirica emana l’azzurro del cielo ma parla come pietra scolpita, esprime la vertigine dell’amore terreno ma indossa il terreno variopinto e trasparente dei sogni e delle fiabe».