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 2025  dicembre 04 Giovedì calendario

Usa, addio ai penny, coniarli costava il triplo del loro valore reale

I bimbi americani per due secoli hanno collezionato la monetina con il volto di Abramo Lincoln nei loro salvadanai. Così sognavano di accumulare fortuna. Oggi, quel penny, praticamente non ci sarà più. Alla zecca di Filadelfia lo scorso 12 novembre ne è stato coniato l’ultimo di una lunghissima serie durata 232 anni.
La scelta del governo Usa di tagliare i ponti con la più piccola moneta divisionale del dollaro è stata molto semplice: produrlo costava ormai oltre tre volte il suo valore nominale (con un picco nel 2024 di 3,69 centesimi). L’aumento del costo dei metalli, tra cui zinco e rame, è quindi dietro lo stop della zecca. Non saranno più coniati ma non spariranno del tutto: negli Stati Uniti ce ne sono in circolazione 250 miliardi. Certo, se ne terrà conto sempre meno. E l’arrotondamento potrà diventare pratica sempre più frequente.
È stato un addio non facile: il penny era entrato profondamente nella storia americana. Si chiamava Penny press la stampa low cost apparsa intorno al 1830: il modello era il quotidiano Sun. Venduto, appunto, a un penny dagli strilloni agli angoli delle strade di New York. “Era un simbolo di frugalità, qualcosa da risparmiare o guadagnare”, ha scritto il New York Times. Anche Hollywood lo ha celebrato (il film Pennies from Heaven fu candidato agli Oscar nel 1936). È entrato nelle canzoni (con Penny Lover di Lionel Richie) e nella moda con i mocassini Penny loafers con la monetina infilata nella fessura del cinturino che attraversa la parte superiore della scarpa.
La moneta venne coniata nel 1793 per la prima volta ed era completamente di rame. Nella Seconda guerra mondiale questo metallo fu così tanto necessario che la composizione del classico penny cambiò, arrivando, dagli anni Ottanta a oggi, a essere per oltre il 97% di zinco e il restante di rame. La guerra, dicevamo. Ebbene, per errore, nel 1943, una ventina di esemplari venne coniata in rame: e oggi averne uno vuol dire avere una fortuna nascosta. All’asta uno di questi è arrivato a essere battuto per 1,7 milioni di dollari. Donald Trump aveva detto più volte che voleva chiudere i ponti con le monetine. «È uno spreco, per troppo tempo abbiamo coniato penny che ci costano letteralmente due centesimi», uno dei suoi ultimi messaggi sul social Truth. La battaglia era stata cavalcata anche da Elon Musk quando, lo scorso anno, era ancora alla guida del Dipartimento per l’efficienza governativa. «La zecca ha prodotto oltre 4,5 miliardi di penny nell’anno fiscale 2025 – aveva detto il ceo di Tesla e Starlink – circa il 40% degli 11,4 miliardi di monete in circolazione prodotte».
In Europa le monetine divisionarie da un centesimo esistono ancora. Qui sono in acciaio con una placcatura di rame. Sullo stop delle monetine da uno o due centesimi si procede in ordine sparso. All’inizio erano un modo per evitare che il passaggio dalle singole monete nazionali all’euro non avesse una forte politica di arrotondamento al rialzo.
L’Italia smise di coniarli il primo gennaio 2018. La Finlandia ha deciso dall’entrata in vigore della moneta unica, dal primo gennaio 2002, di non produrli. E Belgio, Estonia, Irlanda, Lituania, Paesi Bassi e Slovacchia per vederle il meno possibile nel portamonete hanno deciso di arrotondare i prezzi ai cinque centesimi più vicini. Secondo un sondaggio di Eurobarometro condotto nel 2021, il 67% degli europei è a favore dell’abolizione delle monetine da uno o due cent: il dato arriva al 76% in Italia.
L’Ipzs, l’Istituto poligrafico e zecca dello Stato (quello che si occupa della produzione del conio, ndr), ha smesso di produrre i “bronzini” per l’Italia, ma lo fa per gli altri Paesi europei che non hanno una propria zecca e che realizzano gli euro esternamente alla loro nazione. «L’ultimo anno abbiamo prodotto per Slovenia, San Marino, Città del Vaticano, Lettonia e i tondelli della Croazia. Nel 2024 abbiamo coniato 30 milioni di centesimi», spiega il direttore della Zecca, Lucio Demuru. Secondo quanto emerge dai dati di una interrogazione al Parlamento irlandese, produrre un centesimo di euro costa circa 1,65 centesimi. Quindi, si tratta di un’operazione “in passivo”. Con due centesimi la situazione sarebbe altrettanto critica (costa 3,01 centesimi farli). Ci si guadagna dai 5 centesimi in poi (costerebbero circa 3 euro). E le nazioni che cercano all’estero di farsi stampare moneta le inseriscono in una sorta di capitolati “in stock": quindi, oltre alle monete più redditizie (quelle da 1 e 2 euro in testa), ci sono anche quelle dove le zecche vanno in perdita ma le inseriscono per aggiudicarsi le gare.
«A gennaio, a Berlino, ci sarà la World Money Fair – dice Demuru – In quell’occasione si riunirà il Mind director working group, il gruppo di lavoro dei direttori delle zecche, dove ci confronteremo nuovamente sulla sopravvivenza o meno delle monetine da uno e due centesimi. Ma la decisione sarà politica e spetterà alla commissione Ue».